Conoscere, discutere, deliberare

Aggettivi o fatti? Per “risolvere” serve “studiare”

Un illuminante aforisma recita come “un buon tacer fu mai scritto”. Specie se a parlare, indipendentemente dall’argomento oggetto di conversazione, è qualcuno non consapevole e conscio della materia.

Sproloquiare a vanvera risulta fra le azioni più deleterie che si possano compiere, tanto più se a farlo sono personaggi con in capo responsabilità politiche significative e determinanti per la vita di tutti i Cittadini. Asseriva un illuminato statista del secolo scorso, Luigi Einaudi, che occorre giustappunto “prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”: diversamente i problemi – non affrontabili perché non conosciuti e di conseguenza non compresi – risulteranno sempre difficili da aggredire con efficacia e debellare.

D’altro canto le soluzioni non si trovano titillando aggettivi altisonanti del tipo “eccezionale” o “bellissimo” (salvo peraltro essere poi smentiti da dati, indicatori e soprattutto dal comune sentire delle persone). Serve qualcosa di più complicato, qualcosa che richiede energie personali e che costa fatica: ascoltare...

Ascoltare e studiare. E saper mettere in pratica quello che si sa o si crede di sapere (“io so di non sapere”, asseriva il saggio Socrate) là dove le difficoltà si sviluppano: quindi in mezzo alle persone e non solo barricati all’interno dei palazzi.

Esattamente come lo studio della Matematica: esso è sterile e astratto quando finalizzato solo a se stesso. L’utilità e la concretezza scaturiscono solo se si prova ad applicare quanto appreso, approcciando i – non a caso – problemi per ricercare adeguate soluzioni.

Non bisogna essere dei “fenomeni” per rendersene conto (o, secondo taluni, evidentemente sì).

Di certo questo Paese ha bisogno che finalmente la si smetta di dare i numeri.

 

(Immagine in copertina tratta da senato.it)

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Articolo pubblicato il 10/01/2020