Torinese, malinconica ed elegante... come la sua poesia

Alla riscoperta di un grande talento torinese: Amalia Guglielminetti

Asprezze

Aspra son io come quel vento vivo
di marzo, il quale par crudo di geli
ma discioglie la neve su pel clivo.

Vento di marzo che agita gli steli
pigri, scopre viole in mezzo all’erba,
scompiglia erranti nuvole pei cieli.

Asprigna io sono e rido un poco acerba.
Mordere più che accarezzar mi piace
ed apparir più che non sia superba.

Come il vento di marzo io non do pace.
Godo sferzare ogni anima sopita,
e trarne l’ire a un impeto vivace

per sentirla vibrar tra le mie dita.

 

Questa meravigliosa poesia nasce dalla mano della elegantissima donna ritratta nella fotografia: Amalia Guglielminetti, squisita scrittrice e poetessa torinese della quale oggi vogliamo ricordare la vita.

Amelia nacque a Torino nel 1881, città in cui il bisnonno si era trasferito da Cravanzana verso il 1858 fondando una piccola industria di materiali in legno; fu proprio lui, fornitore del Regio Esercito, l’inventore intorno al 1860 della borraccia, allora fabbricata in legno.

Alla morte del padre nel 1886, la famiglia di Amalia si trasferì presso il nonno Lorenzo, vecchio parsimonioso industriale, rigido clericale e severo custode del focolare domestico, che la fece studiare in scuole religiose. Nel 1901 una giovanissima Amelia iniziò a collaborare con la Gazzetta del Popolo pubblicando poesie sul suo supplemento domenicale, parte delle quali saranno raccolte nel volume Voci si giovinezza, edito nel 1903.

Si trattava però di versi scolastici, spesso goffi, che non lasciarono alcuna traccia nel panorama letterario torinese. Molto diversa e favorevole fu invece l’accoglienza riservata alle poesie de “Le Vergini folli” il cui manoscritto offerto in visione al professor Arturo Graf fu da questi pubblicamente definito “collana preziosissima di versi belli e nuovi.”

Nella poesia di Amalia c’è una malinconia soffusa, come una sorta di alone di nebbia che ammanta ogni cosa. Negli anni, la sua scrittura però si svincolò progressivamente dalle influenze dannunziane, acquistando in forza e profondità; i versi si fecero più concisi, lo stile più essenziale, l’uso degli aggettivi più limitato. Poco dopo la pubblicazione del libro Amalia intraprese una relazione con il poeta e scrittore Guido Gozzano; divenne poi per breve tempo l’amante di Pitigrilli: una relazione burrascosa che terminò con una causa in Tribunale. Nel 1935 si trasferì a Roma tentando la carriera giornalistica ma non ebbe successo e fece così ritorno due anni dopo (1937) a Torino, dove passò gli ultimi anni della sua vita in solitudine.

Il 4 dicembre 1941 morì a causa di una setticemia generata da una ferita che si era fatta diversi giorni prima cadendo dalle scale nel tentativo di raggiungere di corsa il rifugio antiaereo dopo aver udito le sirene d’allarme per il bombardamento. Nel 2012 l’editore Bietti ne ha ripubblicato l’opera in versi e l’epistolario con Guido Gozzano, a cura di Silvio Raffo. Amalia Guglielminetti è sepolta al Cimitero Monumentale di Torino.

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Articolo pubblicato il 04/12/2020