I papi di Dante non sono in Paradiso
Dante e Bonifacio VIII

Il fatto assai curioso che Dante non collochi in Paradiso alcun Vicario di Cristo induce sicuramente a riflettere.

 

Leggendo la Divina Commedia in modo trasversale, per comprendere meglio le complesse relazioni tra gli eventi e gli attori descritti da Dante, si fanno delle semplici scoperte che potranno anche stupirci.

Potrà sembrare quantomeno curioso ma il Poeta nel suo capolavoro letterario incontra i papi esclusivamente nell’Inferno e nel Purgatorio.

I motivi di tali inaspettate collocazioni sono da ricercare nelle opere e nelle storie personali dei Vicari di Cristo rappresentati nella Divina Commedia.

Dante si è mostrato sempre molto severo nei giudizi verso la Chiesa di Roma, non risparmiando a nessun successore di Pietro alcuna critica feroce.

In taluni casi, come per papa Celestino V che, come vedremo sarà canonizzato da Clemente V, la pena dell'Inferno potrà sembrarci eccessiva, visto che si trattava di un Papa che per sua stessa ammissione aveva compreso di essere un uomo debole e non in grado di reggere le sorti del Vaticano.

La severità del Poeta non sembra risparmiare alcuno e tali condanne paiono spesso ispirate da questioni di carattere personale, tant’è che nessun papa, nessun cardinale, arcivescovo o monsignore viene incontrato in Paradiso, luogo dove ci si potrebbe aspettare di trovare qualche degno rappresentante della Chiesa.

L'Opera dantesca conobbe censure e tagli e, come nel caso del De Monarchia, la messa all'indice nel 1329 da Bertrando del Poggetto. Nel 1559, il De Monarchia, fu inserito dal Sant'Uffizio nel primo indice dei libri proibiti e la condanna fu estesa fino alla fine del XIX secolo. Dovremo attendere il 1921 per veder riscattata e accettata l'opera di Dante, questo fu dichiarato nell'enciclica "In Preclara Summorum", ad opera di papa Benedetto XV.

Dante colloca Nicola III, Celestino V, Bonifacio VIII e Clemente V nell’Inferno e, Adriano V Martino IV, nel Purgatorio, mentre Clemente IV viene solo citato (nel Purgatorio).

Si potrebbe ipotizzare una scelta mirata, forse una provocazione dettata dalla sua rabbia verso la Sacra Istituzione che stava assumendo un potere non solo spirituale.

Da buon Guelfo bianco era molto vicino alla fazione Ghibellina, questa sua scelta ne determinò sicuramente, nel 1302, la condanna all’esilio.

Se è vero che la penna ferisce più della spada, quella di Dante doveva essere ben affilata, e come qualcuno disse usò il sangue al posto dell’inchiostro.

Dante condanna ben sette papi, quattro andranno direttamente all’Inferno e tre in Purgatorio, vediamo di chi si tratta, presentandoli in ordine cronologico di papato:

Papa Adriano V

Papa Adriano V (1276), Ottobono Fieschi: Purgatorio (XIX 97-102), tra gli avari. Fu eletto papa l'11 luglio 1276 e trasferì la sua sede a Viterbo. Non più giovane e dalla salute malferma, morì dopo solo 38 giorni di pontificato, il 18 ag.1276.

Ed elli a me: «Perché i nostri diretri 
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima 
scias quod ego fui successor Petri.

Intra Sestri e Chiaveri s’adima 
una fiumana bella, e del suo nome 
lo titol del mio sangue fa sua cima.

Purg. 97-102

Dal momento che non vi sono documenti che comprovino la sua presunta avidità, è possibile che Dante lo abbia confuso con papa Adriano IV (1154 – 1159), che secondo le parole di Giovanni da Salisbury, sembrava attaccato al denaro e al potere.

 

Papa Nicola III (1277-1280), Giovanni Gaetano Orsini messo all’Inferno (XIX 31-35) tra i simoniaci perché era divenuto pontefice a pagamento (Atti 8:18-23). Appartenente a una famiglia di antica nobiltà romana, divenne papa col nome di Niccolò III. Eletto al soglio pontificio nel 1277, si oppose a Carlo I d'Angiò divenuto re di Napoli e Sicilia, dandosi alla simonia e al nepotismo per rafforzare la sua posizione (come testimoniato anche da G. Villani).

Si tratta di quel famoso papa che scambia Dante per Bonifacio VIII, destinato a seguirlo nella stessa buca nella quale era conficcato con i piedi che bruciano visibilmente. Dopo aver chiarito l’equivoco, Niccolò III si presenta come figliuol de l’Orsa cupido sì per avanzar gli orsatti che su l’avere e qui me misi in borsa.

Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, 
che tu abbi però la ripa corsa, 
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;

e veramente fui figliuol de l’orsa, 
cupido sì per avanzar li orsatti, 
che sù l’avere e qui me misi in borsa.

Inferno  XIX, 67-72

 

 

Papa Martino IV (1281-1285), Simon de Brion, citato nel Purgatorio (XXIV 20-24) tra i golosi perché era un vero ghiottone, che pensava più ai banchetti ed al rimpinzarsi o a mangiare abbondantemente più che a servire il Signore.

…………. e quella faccia 
di là da lui più che l’altre trapunta   

ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: 
dal Torso fu, e purga per digiuno 
l’anguille di Bolsena e la vernaccia».

Purg. XXIV, 20 -24

Passato alla storia per le proprie prodezze gastronomiche, sembra trascurasse l’ufficio ecclesiastico. Iacopo della Lana lo descrive così: “Fu molto vizioso della gola e per le altre ghiottonerie nel mangiare ch’elli usava, faceva tòrre l’anguille dal lago di Bolsena e quelle facea annegare e morire nel vino alla vernaccia”.

Sulla sua tomba pare ci fosse scritto:Gaudent anguillae quod mortuus hic jacet ille qui, quasi morte reas, excoriabat eas” ossia “Gioiscono le anguille perché giace qui morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava”.


 

Papa Celestino V (1294), Pier da Morrone: Inferno (III,59-60; XIX 82) tra i codardi o pusillanimi, che aveva paura anche della sua ombra, perché al momento del cimento si ritirò per non esporsi troppo.

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, 
vidi e conobbi l’ombra di colui 
che fece per viltade il gran rifiuto.

Inf. III, 58-60

 

Nota è la sua Bolla Pontificia, stilata a Napoli il 13 dicembre 1294:

«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.»

Il 5 maggio 1313, fu canonizzato da papa Clemente V a seguito di sollecitazione da parte del re di Francia Filippo il Belloe da forte acclamazione di popolo, accelerando moltissimo l'iter avviato da Bonifacio. Tuttavia Clemente V non lo canonizzò quale martire come avrebbe voluto Filippo il Bello, ma come confessore.

 

Papa Bonifacio VIII (1294-1303) Benedetto Caetani, citato nell’Inferno (XIX 53; XXVII 70) e fautore di molti peccati, è messo fra i simoniaci. Bonifacio VIII aveva costretto Dante a scappare dalla sua amata Firenze.

Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero, 
credendomi, sì cinto, fare ammenda; 
e certo il creder mio venìa intero,

se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, 
che mi rimise ne le prime colpe; 
e come e quare, voglio che m’intenda.

Inferno XXVII, 67-72

Dante incontra il condottiero Guido da Montefeltro, che denuncia Bonifacio VIII (il gran prete) di averlo indotto a peccare di tradimento, facendogli indicare come si sarebbe potuto espugnare il castello dei Colonna. Bonifacio lo convinse a tradire una casata cristiana invece di utilizzare le sue indubbie capacità strategiche per combattere contro saraceni o ebrei.

 

 

Papa Clemente V (1305-1314) Bertrand de Got citato all’Inferno (XIX 82) tra i simoniaci, perché pensava di poter ottenere tutto nella chiesa con il denaro. È ricordato per aver eseguito un decreto di sospensione contro l'ordine dei Templari (1307) e per aver trasferito la Santa Sede in Francia. Inoltre, fu il primo Papa ad assumere la tiara.

Di sotto al capo mio son li altri tratti 
che precedetter me simoneggiando, 
per le fessure de la pietra piatti. 


Là giù cascherò io altresì quando 
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi
 
allor ch’
i’ feci ’l sùbito dimando.

Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi 
e ch’i’ son stato così sottosopra, 
ch’el non starà piantato coi piè ross
i:

ché dopo lui verrà di più laida opra 
di ver’ ponente, un pastor sanza legge, 
tal che convien che lui e me ricuopra.

Inferno XIX, 73-84

In questi versi, tratti dall’Inferno, a parlare è Giovanni Orsini, papa Niccolò III, che si trova conficcato in una buca a testa in giù. Niccolò III crede che Dante sia Bonifacio VIII (che morirà solo nel 1303) e predice anche un’altra presenza, quella di papa Clemente V che morirà nel 1314. Secondo la visione dantesca, che prende spunto da una antica leggenda, i peccatori condannati per simonia erano letteralmente piantati in una buca, legati ad una scala che bruciava e arrostiva i loro piedi. Bonifacio VIII prima, quindi Clemente V, prenderanno da morti il posto di Niccolò III. L’ultimo arrivato spingerà quelli che lo hanno preceduto, sempre più profondamente nella terra.

 

Clemente IV (1265-1268) Gui Folques, Dante non lo inserisce tra i penitenti, ma lo ricorda nel III Canto del Purgatorio (124-129), quale ispiratore dello scempio del cadavere di Manfredi operato, di fatto, da Bartolomeo Pignatelli, vescovo di Cosenza.

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia 
di me fu messo per Clemente allora, 
avesse in Dio ben letta questa faccia, 


l’ossa del corpo mio sarieno ancora 
in co del ponte presso a Benevento, 
sotto la guardia de la grave mora.

Purgatorio III, 124-129

Una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo  riconosce. Dante lo osserva con attenzione, ma gli risponde di non averlo riconosciuto. Il penitente gli mostra una piaga che gli squarcia il petto. E’ Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla

Manfredi racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, si pentì dei suoi peccati e venne perdonato dalla grazia divina. Il vescovo di Cosenza, istigato da papa Clemente IV, lo fece disseppellire e trasportare fuori dai confini del regno di Napoli. Manfredi esprime il proprio grave rammarico per la mancanza di pietà di Clemente IV e prega dunque Dante di rivelare la triste verità alla figlia Costanza, perché lei con le sue preghiere possa ridurre la sua permanenza nell'Antipurgatorio.

 

Infine, come cita Silvio Caddeo in un suo interessante lavoro pubblicato sul web, vi è un altro papa citato da Dante, e questa volta ne parla in Paradiso…

“…Papa Giovanni XXII (1316-1334) Jacques Duèze,  non lo si trova né all’inferno né in Purgatorio, ma non perché fosse stato bravo. A quel tempo, mentre Dante stava scrivendo la sua Commedia, quel pontefice non era ancora morto. Tuttavia, Dante lo cita come un personaggio pericoloso (Paradiso XVIII 130-136; XXVII 58-60) come colui che stava guastando la vigna del Signore, per la quale erano morti gli Apostoli”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 02/12/2020