Democrazia
Il governo di Sua Emergenza Conte: l'abisso.

Perché avere paura delle elezioni? (di Aldo A. Mola)

Ma il 20 settembre le votazioni non erano un babàu?

Il 20 settembre 2020, settantacinque giorni fa, gli italiani, tutti, dalla A alla Z, in ogni comune d’Italia, sono stati chiamati alle urne per confermare o cassare il “taglio” dei parlamentari approvato quasi all’unanimità da Camere suicide. Ultimi barbagli d’estate, appena dopo le scandalose “pance al sole”, le perverse “movide”, le “discote-covid 19” a tutto contagio. Su disposizione del governo “Conte II” i seggi furono aperti. Debitamente mascherati gli italiani si misero in fila longobarda, certificato elettorale in una mano, carta di identità nell’altra. Acciuffarono la matita e la scheda e a lume di una fioca lampadina, in una sorta di confessionale, appoggiati su un rettangolo di squallido compensato, tracciarono la loro croce. Lì non aleggiavano né esalavano virus? Mistero, mistero...

Votare dunque si poté, tra l’una e l’altra ondata di una pandemia che non sappiamo donde venne, come vaghi come foglia frale e sino a quando scorrazzerà. Alcuni sussurrano che circolerà a tempo indeterminato. Campa cavallo, allora, se per votare un’altra volta dovessimo aspettare il benestare di Sua Emergenza, del Comitato tecnico-scientifico, dell’OMS e di chissà chi altri. Quindi: chi sono mai Conte e tutti i suoi “esperti” per decidere la democrazia in Italia?

Secondo la Costituzione vigente (al riguardo abbastanza ingarbugliata e pertanto disattesa, sicché sulla forma prevale la prassi) la cosa funziona così: il governo deve avere la fiducia dei due rami del Parlamento. Se viene sfiduciato, il Capo dello Stato, consultati i rispettivi presidenti, può sciogliere le Camere o anche solo una di esse (articolo 88 della Carta). Non è neppure tenuto alle estenuanti consultazioni rituali di delegazioni di partiti, movimenti e compagnia cantante, croce e delizia di quirinalisti, spesso sedicenti. Non può sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato (art. 88 comma 2). Oggi mancano nove mesi abbondanti all’inizio del “semestre bianco” e quindici mesi all’elezione del Presidente venturo. Il Paese, però, non può attendere tempi biblici; ha urgenza di capire dove stiamo andando, o meglio dove veniamo trascinati a suon di decreti del presidente del Consiglio dei ministri, i famigerati Dpcm. Dall’estero ci guardano con preoccupazione crescente. Non vogliono essere trascinati nel “cupio dissolvi” del Conte bis.

Perciò proprio non si capisce perché le elezioni anticipate sarebbero chissà quale attentato alla democrazia. Semmai vale l’opposto. Tutti concordano che l’attuale parlamento non rappresenta più il Paese. I motivi sono tanti e noti, ma conviene ripeterne un paio per chiarezza. A parte la asimmetria fra quanto da due anni emerso dai rinnovi dei consigli regionali, che oggi vedono il centro-destra al governo in 15 regioni su 20, a cominciare dalle più popolose e prospere (dalla Lombardia alla Sicilia, per intenderci), tutti i sondaggi degli orientamenti di voto concordano sul fatto che il numero dei probabili astenuti è stabilmente attestato intorno al 40%. La partita si giocherà quindi tra il restante 60% degli aventi diritto. Nel frattempo, con il consenso bulgaro delle Camere il Parlamento si è tagliato 230 deputati e 115 senatori: un’amputazione che rende sempre meno accettabile la sopravvivenza dei patres nominati dal presidente della repubblica, che corrispondono al 3% circa dei futuri senatori elettivi: un “partitino” tutt’altro che trascurabile. La nuova geografia dei collegi (dei cui nuovi confini gli elettori poco o nulla sanno) ha stravolto settant’anni di storia delle elezioni e riserverà molte e clamorose sorprese. Infine, siamo sempre in attesa della nuova legge elettorale, che potrebbe anche non decollare per incapacità dei partiti, a cominciare dal Partito Democratico, che ne fece una malattia prima del 20 settembre ma ora tace (su questo come su ogni altro tema fondamentale) e non cava un ragno dal buco.

Con o senza di essa questo governo non può durare perché manca di un minimo di coesione e quindi non è in grado di darsi un programma vero, politico. Vive di rinvii su partite vecchie (Alitalia, Ilva, Autostrade...). Figurarsi se è capace di prospettive. Ora ha perso ogni credibilità anche nella prevenzione contro il contagio, unico appiglio che gli ha consentito di vivacchiare ansimando di mese in mese.

 

Il ballo in mascherina nel Castello di carte

Una verità va detta. A differenza di quanto strepitano Speranza, Orlando e altri Savonarola da strapazzo, i morti per covid-19 di questi giorni non sono imputabili alle immaginose scostumatezze di Ferragosto!

Il 31 gennaio di questo bisestile 2020 Giuseppe Conte dichiarò che il governo assumeva pieni poteri nella lotta contro il misterioso contagio (i cui segnali c’erano, eccome: prima o poi la storia verrà scritta) e comunque rassicurò: tutto era pronto per affrontarlo. Settimane dopo agli italiani fu “fortemente raccomandato” di lavarsi le mani (non lo facevano? Non discendono da Ponzio Pilato?) e di tenere le distanze “sociali” (cosa raccomandabile anche in tempi normali, onde non essere scippati all’angolo della strada). Infine, per arginare il contagio occorreva coprire naso e bocca con mascherine. Quali? Dove trovarle? Il governo non ci pensò proprio. Il loro approvvigionamento divenne pascolo sterminato di improvvisazioni e di truffe. Prevalse quindi il “fai da te”: fazzoletti, sciarpe, pizzi di Bruges. Ancora oggi se ne vedono di tutti i colori, in assenza di una normativa chiara e univoca, come sulla “distanza” e sui detergenti. Meno ancora governo e regioni provvidero a dotare almeno il personale sanitario di protezioni adeguate. Poi fu la volta dei tamponi per accertare lo stato di infezione, altro capitolo dominato dalla confusione perenne e perdurante. Anziché in strutture sanitarie oggi ci si può tamponare anche nei parcheggi aeroportuali.

In poche settimane il Paese precipitò dalla beata incoscienza d’inizio gennaio al baratro della chiusura totale da marzo a maggio, delle misure estreme e delle sottovalutate coartazioni di libertà costituzionalmente garantite. Sono trascorsi appena sette mesi dal quel “blocco”. Un incubo. Sembra il passato remoto, eppure è solo ieri. Nel frattempo, mentre all’ora dei vespri ogni giorno veniva recitato, come fosse il rosario, il numero dei contagiati, dei ricoverati in terapia intensiva e dei morti, il governo assicurava che dal male nasce il bene e che gli italiani avevano motivo di sperare in un’estate tranquilla, grazie... ai raggi ultravioletti. Tutto andrà bene si leggeva sulle cantonate.

Conte si trincerò dietro i “pareri” (che non sono affatto vincolanti) del fantomatico comitato tecnico-scientifico, i cui verbali furono secretati (e in parte tuttora indisponibili), mentre sono sotto gli occhi di tutti le liti furibonde tra epidemiologi, virologi, infettivologi e i tanti addetti a “dare i numeri”, divisi su tutto tranne che sulla constatazione più banale: non si sa dove il virus sia “nato”, donde sia giunto, quanto durerà, se e quando se ne andrà e quali conseguenze lascerà. Eravamo e restiamo nel vago.

Dopo esami farsa e la promozione in massa di studenti non valutati da mesi, per l’intera estate venne assicurato che le scuole sarebbero state riaperte senza più ricorrere alla sciagurata e socialmente discriminante “didattica a distanza”, con aule spaziose, banchi monoposto (dalle fogge più bizzarre e a costi di cui prima o poi si dovrà rendere conto) e, se di necessità, con utilizzo di edifici e spazi pubblici in abbandono. L’Università statale di Milano noleggiò per anni sale cinematografiche per lezioni “di massa”.

Sappiamo come è finita.

I media hanno imperversato con immagini distorcenti della realtà: le file di bagnanti (persino con mascherina) in acqua solo fino al ginocchio in questo paese che ama il mare e i laghi solo per pediluvio e farsi la foto ricordo, non per nuotarci; le passeggiate sui lungomare o sui sentieri di collina e di montagna: materiale di riserva per poi demonizzare le malefatte di cittadini scavezzacolli.

Nel frattempo, come noto, tramite i comitati (alla Colao) e le girandole di esperti (stile Villa Pamphili) il governo assicurò che avrebbe badato a tutto. Ma il ministro dei Trasporti, De Micheli (PD), scordò di organizzare il trasporto degli allievi. Una dimostrazione da manuale della totale assenza di strategia. In un paese serio, i responsabili sarebbero stati non solo rimossi ma messi ai ceppi, da tempo. Da noi invece restano in carica. Intoccabili. Insostituibili. Perché questo governo è un castello di carte. Ne togli una, crolla tutto.

Alla fine, l’appuntamento fatale. Il governo s’incaponì a riaprire le scuole il 14 settembre, cosa mai vista da anni in Liguria e nel Mezzogiorno. La fretta era del tutto ingiustificabile perché pochi giorni dopo, come già ricordato, gli italiani furono convocati alle urne per rinnovare consigli regionali e dire la loro sul taglio dei parlamentari: una consultazione nazionale, dunque, quando da settimane erano chiuse le famigerate discoteche accusate di tutti i mali del mondo e i pochi italiani rientrati dalle vacanze all’estero erano stati sottoposti a tutti i controlli di rito. Conte imitò Sanchez che scatenò il contagio in Spagna con l’8 marzo e Macron che non rinviò le elezioni amministrative in Francia. Tutte teste d’uovo.

A scatenare questa “seconda ondata” non sono state la movida, le cene all’aperto, la tarantola e i pochissimi convegni di studio tra fine settembre e inizio ottobre, bensì la totale assenza di un piano strategico governativo.

Da allora, con la macabra scusa del contagio virale e malgrado la modesta capacità offensiva dell’opposizione, la coalizione di governo non è avanzata di un millimetro nelle scelte politiche vere. Dopo mesi di chiacchiere sui Piani dell’Unione europea per rimettere in sesto l’economia e al tempo stesso segnare una svolta di lungo periodo, l’Italia non ha un progetto chiaro e condiviso, a parte vaghe linee guida che dicono tutto ma non contengono nulla. Il covid-19 fa forse comodo a qualcuno? Per ora è solo un dubbio. Domani potrebbe divenire una triste constatazione.

 

Alle urne e una legislatura Costituente per salvare il salvabile

Da mesi il sistema politico-istituzionale è allo sbando: una deriva che non può essere ulteriormente ignorata. Lo ripetono decine di costituzionalisti illustri, non per carrierismo (sono in massima parte docenti emeriti) ma per obiettività. Lo ha detto anche il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda carica dello Stato, che ha rivendicato il ruolo del Parlamento troppe volte eluso dal governo o con l’imposizione di voti di fiducia, o con il giochino degli emendamenti infilati in decreti-legge di tutt’altra natura: un malcostume deplorato persino dal taciturno Capo dello Stato. Che questo avvenga con un presidente del Consiglio avvocato (non più “del popolo”, ma di sé medesimo) è paradossale. Ma è tragicomico anche che il capo del governo per la prima volta nella storia sia costretto a narrare in Parlamento i fatterelli privati per “giustificare” le piroette della sua “scorta”.

Il punto della crisi è però un altro: dalle cronache che ne rimbalzano all’esterno, le sedute del Consiglio dei ministri (quando ne leggeremo i verbali?) sono ridotte a piazzate furibonde dominate da alcuni giacobini in servizio permanente effettivo, a cominciare dal ministro della Sanità, rappresentante dei leu-cociti, e i suoi emuli, quali il titolare dei rapporti con le regioni e il ministro agli scavi archeologici, con piddini e pentastellati divisi su tutto.

Solo sotto il tallone di giacobini da strapazzo è possibile che in un’Italia in ginocchio, tartassata, con milioni di cittadini senza lavoro e senza indennizzi o tenuti a carico delle imprese per decreti legge ma prima o poi condannati alla disoccupazione, con una miriade di aziende piccole e grandi prossime al fallimento e alla chiusura, con un presidente del consiglio prono dinnanzi ai “duri e puri”, venga proposta la “patrimoniale”, ora sponsorizzata anche dal comico redivivo, Grillo Giuseppe, “che tutti chiamavan Beppe”.

Solo in presenza di questo stravolgimento delle regole le parole di buon senso che si levano dall’interno e da fuori del governo (da Renzi, Calenda e Della Vedova, per esempio) vengono messe a tacere come lesa maestà. Ma qualcuno dovrà pur chiarire perché, a parità di sicurezza, bar e ristoranti debbono restare chiusi la sera anziché la mattina; perché, malgrado le misure adottate, rimangano chiusi cinema, teatri, musei e circoli culturali; perché, sempre eseguite le sanificazioni del caso, le chiese debbano chiudere a una certa ora di un certo giorno. Qualcuno dovrà spiegare perché un cittadino può percorrere centinaia di chilometri all’interno dei confini (meramente amministrativi e spesso indistinguibili) della propria regione e non può valicarli di cinque chilometri se gli vien bene di farlo, magari per visitare un parente o chissà chi altro, anche se non decrepito. E qualcuno dovrà ricordare a Conte e ai giacobini che gli tengono bordone (Zingaretti incluso) che vi sono Comuni con aree minime, senza servizi di sorta e dai quali è pertanto può essere necessario muoversi anche a Natale, Santo Stefano e Capodanno senza incappare in alabardieri frustrati.

Già che siamo sotto le feste, doniamo loro una Carta d’Italia, con l’invito a studiarla bene, magari mentre cenano in camera d’albergo in attesa della fatidica Mezzanotte...

 

Alla resa dei conti, non tiriamo in mezzo il Quirinale

Con questo governo l’Italia non è più un paese da G7 ma di spaventapasseri.

E qui si viene al punto politico.

Il governo che rivendica pieni poteri, raggira regioni e comuni e gonfia il petto con Commissari tuttofare, ancorché “della domenica”, tipo Arcuri, non è stato in grado di fornire per tempo una quantità sufficiente di vaccini antinfluenzali ordinari. Avvolto nei candidi manti dei plenipotenziari nostrani dell’OMS (che diventano extraterritoriali quando vengono richiesti di render conto del loro operato), Conte rinvia alle calende greche l’erogazione del vaccino anti-covid 19, benché (dichiara il solito Commissario) ne sian state ordinate quantità stratosferiche e di varie marche e sottomarche, sicché alla fine saranno come le pizze: ognuno potrà scegliere il gusto che gli pare e farsi fare il richiamo con uno diverso.

Ma vogliamo fissare un giorno per la verifica della bontà di tutte le privazioni imposte ai cittadini o si andrà avanti all’infinito perché Sua Emergenza continuerà a prorogarle ad libitum? C’è una data di verifica o si andrà da una ondata all’altra? Il decreto-legge in Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre curiosamente indica il 15 gennaio 2021 quale termine delle sue norme. Pendiamo quella data come limite per la resa dei conti?

Che cosa fa più male all’Italia? Il virus o l’inconcludenza del governo?

L’elezione del prossimo presidente della Repubblica, altro spauracchio tirato in campo, è un falso problema, per di più oltraggioso nei confronti dell’attuale capo dello Stato. Il solo fatto che venga accampata quale motivo di sopravvivenza dell’attuale Parlamento dimostra che i deputati e i senatori che oggi lo compongono non meritano di rimanere in carica: ove fossero loro a eleggere il nuovo Presidente, infatti, ne pregiudicherebbero la credibilità e l’autorevolezza.

 

Aldo A. Mola

Il governo di Sua Emergenza Conte: l’abisso.

(Pieter Bruegel il Vecchio, La parabola dei ciechi, 1567).

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Articolo pubblicato il 06/12/2020