Alzando gli occhi al Cielo

Drammi e storie d'amore tra le piccole luci della Volta stellata

In alto, molto in alto, la volta stellata ci racconta storie incredibili.

Osservando quella quanità enorme di punti luminosi che qualche antico astronomo ha unito in varie costellazioni immaginando forme suggestive che spesso sembrano identificare mitologici personaggi, potremo accorgerci che in taluni casi raccontino fantasiose storie, o rappresentino le leggende che hanno cantato i poeti e cercato di spiegare i filosofi. 

Questi insiemi artificiali di stelle e galassie sono una sorta di fumetti dalle immense dimensioni che possono farci rivivere i drammi del passato.

L’Orsa Maggiore, quella Minore con la Stella Polare, la Costellazione di Orione e molte altre che percorrono la linea zodiacale, conosciute da tutti per le note implicazioni astrologiche, fanno parte della nostra storia da sempre, fin dai tempi più antichi, quando l’assenza d’inquinamento luminoso concedeva ai nostri antenati di leggere il futuro osservando quella volta celeste che illuminava la fantasia e l’immaginazione.

Altre costellazioni, forse meno note al grande pubblico, furono cantate da grandi poeti che, giocando con esse, costruirono leggende e miti conosciuti e studiati ancora oggi. E’ il caso di Ovidio, con il mito di Andromeda e Perseo, che fa parte del poema chiamato “Le Metamorfosi”.

Tutto ebbe inizio con il personaggio di Cassiopea, la cui nota e omonima Costellazione, che presenta una caratteristica forma a W o a sedia, risulta essere ben visibile anche nelle serate invernali.

La sua storia ha dei tratti terribilmente umani: donna arrogante e molto vanitosa, secondo alcuni fu Regina d’Etiopia, secondo altri una bellissima Ninfa. Ebbe da Cefeo, figlio di Belo e Anchinoe, una figlia altrettanto bella, Andromeda.

Cassiopea ebbe l’ardire di dichiarare apertamente che la propria bellezza e quella di sua figlia Andromeda, superavano di molto quella delle Ninfe Nereidi. Questa arrogante affermazione giunse alle orecchie della Ninfa Anfitrite, moglie di Poseidone, il dio del mare dal difficile carattere, che inviò subito il mostro marino Cetus, affinché devastasse le terre di Cefeo e ne massacrasse l'inerme popolazione.

Cefeo, preoccupato a ragione delle conseguenze dell’incauto gesto della consorte, interpellò un Oracolo che gli predisse una rapida distruzione del proprio regno. L’unico modo per ovviare a tale sciagura sarebbe stato quello di sacrificare la loro bellissima figlia Andromeda.

Fu così che la poveretta venne incatenata ad uno scoglio e offerta in pasto al mostro Cetus.

Tuttavia la bellezza non lascia mai indifferenti gli uomini, gli dei, e tantomeno gli eroi, così Perseo, figlio di Zeus e della Principessa di Argo, Danae, venne a sapere che la bella Andromeda se la stava passando piuttosto male. Propose ai genitori della poveretta di salvarla in cambio di una sua promessa di matrimonio.

Presumo che Cefeo immaginando la tragica fine di Andromeda e vedendo le roventi fiamme che uscivano dalle fauci di Cetus abbia deciso piuttosto rapidamente.

Perseo, cavalcando il mitico cavallo Pegaso, sfidò e uccise il terribile il mostro marino.

Poseidone, che come si è detto non doveva avere certo un buon carattere, deglutì il boccone amaro della morte del suo amato Cetus, dal quale, peraltro, prendono nome i mammiferi marini dell’Ordine dei Cetacei, e spedì la superba Cassiopea lontano dall’Etiopia, tra le stelle dell’omonima Costellazione.

Di notte nel Cielo stellato potremmo ammirare in alto a sinistra Perseo, sulla destra Cassiopea, poco più sotto Andromeda, un po' più in alto Cefeo e in basso Pegaso: un bel quadretto di famiglia con genero, suocera, suocero, moglie, l’immancabile cavallo alato e, poco spostato sulla destra, l'improbabile mostro marino... il mitico Cetus. 

 

 

Per coloro che desiderassero approfondire, riporto una traduzione del poema di Ovidio relativa ai  passi sopracitati:

 

Le Metamorfosi

 Libro quarto paragrafo 54

 

... Se io la chiedessi in sposa, io, Perseo, figlio di Giove e di colei

che fra le sbarre Giove rese madre fecondandola con l'oro,

io, Perseo, che ho vinto la Gòrgone dalla chioma di serpi e spazio

senza timore nel cielo con un battito d'ali,

sarei certo preferito a tutti come genero. Ma ancora un merito,

se mi assistono gli dei, cercherò di aggiungere a tanto prestigio.

Facciamo un patto: che sia mia, se la salvo col mio valore!".

I genitori acconsentono (chi avrebbe esitato?)

e lo scongiurano, promettendogli in più un regno in dote.

Ed ecco che come una nave, spinta dal sudore

di giovani braccia, col rostro proteso solca rapida il mare,

il mostro, fendendo i marosi con l'impeto del suo petto,

ormai non distava dallo scoglio più dello spazio che un proiettile,

scagliato dal vortice di una fionda, può percorrere nel cielo.

D'un tratto allora il giovane, puntando i piedi al suolo,

si lancia in alto fra le nubi: non appena sullo specchio d'acqua

si disegna la sua ombra, contro quella si avventa il mostro.

Come l'uccello di Giove, quando scorge in un campo aperto

una biscia che espone al sole il suo livido dorso,

l'assale alle spalle e, perché non si rivolti a ferire coi morsi,

le conficca i suoi artigli aguzzi fra le squame del collo,

così lanciandosi a capofitto nel vuoto, con volo fulmineo

l'erede di Ínaco piomba sul dorso della belva e nella scapola

le pianta il ferro, mentre si dibatte, sino al gomito dell'elsa.

Trafitta dalla profonda ferita, quella si erge qui nell'aria,

là si tuffa in acqua, lì si rivolta come un cinghiale selvatico

atterrito da una muta di cani che gli latra intorno.

Con un battito d'ali Perseo si sottrae a quei morsi rabbiosi

e dove trova un varco, vibra fendenti col filo della spada,

ora sul dorso incrostato di conchiglie, ora in mezzo alle costole,

ora dove l'esilissima coda termina in quella di un pesce.

Il mostro vomita sangue purpureo dalla bocca insieme all'acqua.

Gli spruzzi inzuppano, appesantendole, le ali di Perseo;

e lui, non osando più affidarsi a quei sandali imbevuti d'acqua,

avvistato uno scoglio la cui cima affiora quando il mare

è tranquillo, ma è sommersa quando questo è in burrasca,

vi si posa e, reggendosi con la sinistra alle sporgenze,

tre quattro volte senza tregua gli affonda la spada nelle viscere.

Grida di applauso riempiono la spiaggia e le dimore degli dei

nel cielo. Cassìope e Cefeo, il padre, esultanti salutano

Perseo come genero e lo dichiarano soccorritore

e salvatore della famiglia. Liberata dalle catene,

si avvicina la vergine, ragione e premio di quella fatica.

L'eroe intanto attinge acqua e si lava le mani vittoriose;

poi, perché la rena ruvida non danneggi il capo irto di serpi

della figlia di Forco, l'ammorbidisce con le foglie, la copre

di ramoscelli acquatici e vi depone la faccia di Medusa.

I ramoscelli freschi a ancora vivi ne assorbono nel midollo

la forza e a contatto col mostro s'induriscono,

assumendo nei bracci e nelle foglie una rigidità mai vista.

Le ninfe del mare riprovano con molti altri ramoscelli

e si divertono a vedere che il prodigio si ripete;

così li fanno moltiplicare gettandone i semi nel mare.

Ancor oggi i coralli conservano immutata la proprietà

d'indurirsi a contatto dell'aria, per cui ciò che nell'acqua

era vimine, spuntandone fuori si pietrifica.

A tre numi Perseo innalza altrettanti altari di zolle:

quello a sinistra a Mercurio, quello a destra a te, vergine guerriera,

l'ara al centro è di Giove; e sacrifica una vacca a Minerva,

un vitello al dio alato, un toro a te, sommo fra gli dei.

E subito si prende Andromeda, premio di così grande impresa ...

 

 

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Articolo pubblicato il 09/03/2021