Intervista a Tomaso Kémeny.
Da quando l’Uomo ha percepito dentro di sé l’idea del Bello, ovvero quella folgorazione dell’anima che fa rimanere impietriti di fronte a ciò che viene percepito non solo dalla vista, il concetto di “innamoramento” ha preso spazio, conducendo l’essere verso ogni forma di empatia.
Ci si innamora di un luogo, di un tramonto, di una musica, di un progetto e… a maggior ragione di una donna o di un uomo, senza per altro scoprirne mai i dettagli che ne hanno determinato la causa, ma vedendone gli effetti.
Gli archetipi, quelle forme invisibili che ci avvicinano alla matrice universale, fluttuano intorno a noi in attesa che li raggiungiamo per approfondire la conoscenza di noi stessi.
Sfortunatamente, l’Illuminismo con l’esaltazione di uno solo degli aspetti dell’Uomo, la razionalità, ha precluso per molto tempo (e ancora oggi spesso imperversa) la completezza della nostra percezione della realtà nel quotidiano.
La realtà che stiamo vedendo è fatta di numeri, di diktat, di bla-bla pseudo scientifici, di immagini televisive al limite del ridicolo, di comunicati imbarazzanti da parte dei nostri governanti, diventati ormai una narrazione grottesca che può essere definita semplicemente “Bruttezza”
Tra i sinonimi di Bruttezza troviamo: bruttura, disarmonia, sproporzione, deformità, orrore, porcheria, schifezza… tutti termini che si adattano perfettamente alle mostruosità che stiamo subendo.
E se "La bellezza salverà il mondo" ci comunica il principe Myskin nel romanzo "L'idiota" di Dostoevskij, forse sarebbe ora di svegliarci e trovare la nostra parte migliore, la nostra bellezza interiore e metterla all’onor del mondo.
Uno dei fondatori del Mitomodernismo, corrente letteraria nata nel 1994 il cui nucleo centrale risiede proprio nella Bellezza, è Tomaso Kemeny: già docente di lingua e letteratura inglese all’Università di Pavia, si occupa da sempre di poesia, di poesia visiva, teatro e narrativa. Tra le altre innumerevoli attività, ha lavorato nel cinema con Alberto Lattuada, proponendo un linguaggio di sua invenzione utilizzato dagli indiani d’America nello sceneggiato Cristoforo Colombo, del 1985.
Con il professore, abbiamo indagato non solo sul concetto di bellezza, ma anche in particolare sull’incarnazione della bellezza e del fascino della donna nei secoli… e immancabilmente il mito si è affacciato nell’intervista prepotentemente
“Il mito è il linguaggio sovrapersonale e sovratemporale con cui l’universo parla di se stesso. Non è il passato, ma è il futuro, la coscienza cosmica dell’umanità” sono uno dei fondamenti del Mitomodernismo ci ha dichiarato e ha proseguito con un secondo riferimento “Il mito riporti tra noi anima, natura, eroe, destino”.
SE DOVESSE SCEGLIERE LA POETESSA CHE MEGLIO INCARNA IL CONCETTO DI BELLEZZA?
Sicuramente Saffo. Dai frammenti che ci sono giunti c’è un tale lirismo e nello stesso tempo una tale potenza da renderla immortale. Un femminile e maschile fuso in una unica armonica espressione, aldilà della sessualizzazione che in qualche modo la limiterebbe.
QUALE È LA DIVINITÀ FEMMINILE CHE LA AFFASCINA E QUAL È LA FIGURA FEMMINILE CHE NE È L’INCARNAZIONE UMANA?
Diana, Diana cacciatrice con arco e frecce, seguita dalla muta dei cani… e come non pensare a Janne D’Arc, una visionaria che ha combattuto fra i soldati francesi portando alla vittoria un esercito non proprio eccellente?
SOLO DIANA?
No, anche a Venere sono devoto…
E LA DONNA VENUSIANA PER ECCELLENZA?
Mata Hari, la spia che seduceva uomini con una danza assolutamente irresistibile!
INSOMMA, I DUE ESTREMI…
Sì, la santa e la spiona. Due forme estreme del carattere femminile: quella che seduce per tradire e quella che s’impegna sino al martirio e a volte fino alla santità.
INIZIAMO DAL VIZIO O DALLA VIRTÙ?
Dal vizio. Mata Hari, cioè Margaretha Geertruida Zelle, è prima di tutto una danzatrice, poi un agente segreto olandese, condannata alla pena capitale per spionaggio nella prima guerra mondiale.
La sua carnagione era creola, scura, i capelli neri. A quattordici anni il padre fallisce, la madre muore e da una vita agiata viene catapultata in un mondo che non le si addice: sotto la tutela del padrino viene messa in un collegio per diventare maestra d’asilo. Viene molestata da un insegnante, per cui inviata all’Aja da uno zio. A vent’anni sposa il capitano MacLeod, inviato a Sumatra, dove vivono il matrimonio in modo non proprio idilliaco a causa della spensieratezza di lei e la relativa gelosia di lui, piuttosto dedito all’alcool. La vita di Margaretha subisce un profondo trauma a causa della morte del figlio, rasenta la follia: nel tentativo di portare pace con il cambiamento, il marito chiede il trasferimento a Giava. Lì la donna viene folgorata alla vista delle danze giavesi e si immerge in quella realtà fatta di movenze e ritmi particolari.
COME SE AVESSE RITROVATO LEGAMI KARMICI CON LA TERRA?
Sì, un vero sconvolgimento. Lì nasce Mata Hari che in indonesiano significa Occhio dell’alba.
E IL MARITO?
Al rientro in Europa i due si separano e lei trova più consono al suo temperamento tentare la scalata sociale nella Parigi della Belle Époque, cosa che le riesce perfettamente. Durante una raccolta fondi per beneficenza si esibisce nella danza dei sette veli, rimanendo praticamente nuda… e il successo è raggiunto.
LA DANZA QUINDI È GALEOTTA
Una danza in cui veniva quasi “posseduta” durante la quale mai mostra i seni che ritiene troppo piccoli, quindi tenuti coperti da due cupoloni tempestati di gioielli. A 27 anni fa la modella a un pittore, a 28 anni diventa l’amante del barone Henri de Marguerie. A 37 anni si esibisce alle Follies Bergères a Parigi e l’anno dopo va a vivere a Berlino. Nel 1914 allo scoppio della guerra mondiale diventa l’amante del banchiere Van der Schalk. In seguito agente segreto tedesco, e anche spia russa.
Scoperta viene condannata a morte dai francesi e sepolta in una fossa comune affinché non diventi un luogo di culto.
DOVEVA ESSERE BEN NOTA PER SUBIRE UN SIMILE TRATTAMENTO…
Certamente e la fama è proseguita: su di lei sono stati girati 8 film e infinite telenovele. Quindi ha avuto un successo di pubblico anche post mortem.
LA DANZA È UNA FORMA ARTISTICA
Lei in effetti si reputava tale. Ha impersonato una bellezza distruttiva, ma pur sempre bellezza. Tanto da essere definita “donna che è lei stessa la danza”, cioè un’identificazione con Tersicore, la musa.
PASSIAMO A GIOVANNA D’ARCO?
Una donna impegnata fino al martirio e anzi fino alla santificazione è Giovanna d’Arco, Jeanne d’Arc nata nel 1412 e morta a Rouen a 19 anni.
La sua vita eroica ebbe inizio all’età di 13 anni, quando incominciò a sentire le voci accompagnate da luminosità, da voli degli arcangeli, Michele e Gabriele; voci simili a quelle di Santa Caterina e Santa Margherita.
Consacrata totalmente a Dio fece voto di castità: estremo opposto a Mata Hari.
La guerra dei cent’anni stava favorendo gli inglesi quando lei, convinta anche di essere guidata dal sovrannaturale, rovesciò la situazione, le sorti della guerra. Si avvicinò al delfino Carlo VII e lo riconobbe tra tutti i presenti nella sala del trono, convincendolo delle sue capacità di visionaria. Ella non solo guidò all’attacco le truppe francesi portandole alla vittoria, ma impose una vita rigorosa alle truppe, bandendo lo stupro, la violenza, i saccheggi; persino le bestemmie erano state vietate. In seguito a questo comportamento generale il carisma della giovane Giovanna portò alla riscossa i francesi, trascinati all’attacco sotto uno strano stendardo bianco con i volti degli arcangeli Michele e Gabriele. Dopo molte vittorie e qualche sconfitta, catturata dai traditori Borgognoni, fu condannata per eresia e il 30 maggio del 1431 salì sul rogo: si racconta che il suo cuore sfuggì alle fiamme e rimase intatto. Ebbe una rivincita post mortem quando nel 1920 il papa Benedetto XV la santificò.
La sua figura fu mitizzata da molti mitici film, romanzi, biografie, trame e persino l’opera lirica. Il Calendario dei Santi della chiesa anglicana ricorda Giovanna d’Arco come santa. Oggi è la santa patrona della Francia insieme a Teresa di Lisieux, naturalmente dopo la Madonna, Madre di Dio.
AVVICINARE L’UNA ALL’ALTRA IN CHE MODO?
Entrambe per la capacità di sedurre, con due danze completamente diverse: una con esibizioni praticamente nuda, l’altra con una corazza luccicante sul campo di battaglia. Entrambe con un ascendente fuori dal comune sull’uomo; una fucilata, l’altra bruciata sul rogo. Di Mata Hari non esiste la tomba, di Giovanna esiste l’assunzione al cielo, santificata. Due donne martiri, usate dall’uomo che le abbandona vigliaccamente al loro destino.
“VENERE VINCERÀ”. IL 14 NOVEMBRE A FIRENZE UNA MANIFESTAZIONE PACIFICA DI SOLE DONNE È PREVISTO ABBIA COME FULCRO LA PORTA DEL PARADISO. COME GIUDICA QUESTA IMPRESA?
Giustissimo che la donna manifesti il suo pensiero di pace, di calore, di delicatezza, ma anche di lotta per l’acquisizione dei diritti fondamentali, come l’eguaglianza senza limitazioni.
Aspettiamo dunque che Firenze venga inondata dal vento di libertà che trasporta i semi di un femminino sciolto dalle pesanti catene di secoli e che questa manifestazione possa essere una Rinascita sotto l’egida di Venere.
Così Nunzia Alessandra Schilirò giustamente dichiara: “La donna rappresenta il simbolo della pace, è la donna che dà la vita, ed è la donna che deve riportare giustizia alla vita. Perché una vita senza libertà non è degna di essere vissuta”.
Di ugual parere è la dottoressa Barbara Burroni quando dice “Vogliamo riportare l’energia femminile nel mondo che rappresenta la non violenza, la gentilezza, l’accoglienza. Viviamo un periodo molto buio, le persone non sono serene”.
E che la Luce scenda su di noi…
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Articolo pubblicato il 11/11/2021