Pistoia medievale e misteriosa
Pistoia: San Pier Maggiore

Quanti misteri e curiosità nella città del silenzio?

È stato Gabriele D’Annunzio a definire Pistoiala città del silenzio”.

Potrebbe anche essere chiamata la città dei pulpiti, tutte opere d’arte di rara bellezza: nella Pieve di Sant’Andrea si trova un capolavoro di Giovanni Pisano, del 1301; a San Giovanni Fuorcivitas c’è il pulpito del 1270 di fra’ Guglielmo da Pisa; a San Bartolomeo in Pantano rimane l’opera del comasco Guido Bigarelli, della metà del XIII secolo, nella quale le figure allegoriche degli Evangelisti schiacciano una testa di demonio; nella cripta della cattedrale di San Zeno (nella cripta due lastre di eccezionale fattura sono quel che rimane di un grande pulpito dimenticato del Duomo: quello risalente al XII secolo attribuito al maestro Guglielmo, perduto a causa dei lavori di riedizione dell’edificio sacro dopo il Concilio di Trento); infine, andando fuori città, si scopre il pulpito della Pieve di San Michele a Groppoli.

La mia ultima visita a Pistoia mi ha permesso di scoprire uno splendido scrigno medievale intarsiato di misteri.

Iniziamo da San Pier Maggiore. Le sue origini sono incerte, da alcuni storici fatte risalire a un certo Guinifredo in epoca longobarda. La chiesa è sconsacrata e non è visitabile, chiusa da tempo, con un attiguo impianto castellano ormai fatiscente. Nella parte alta della facciata si nota un “green man”; in basso a sinistra dell’ingresso una scritta misteriosa mai decifrata. In questa chiesa, come attestato da una minuziosa cronica del 1561, veniva celebrato un matrimonio mistico fra ogni nuovo Vescovo di Pistoia e la Badessa del convento di San Pietro (analogamente a quel che avveniva nell’omonimo monastero di Firenze), in occasione dell’insediamento del prelato, in quanto la Badessa simboleggiava la Chiesa pistoiese. Il nuovo Vescovo entrava in città da Porta Lucchese (a ricordo della nascita della Diocesi come scorporo da quella di Lucca) su un cavallo bianco e si dirigeva verso questa chiesa dove avveniva la cerimonia: i due “sposi” si sedevano su un fastoso letto, che rappresentava la “consumazione” (in seguito edulcorata con una più pudica seduta su due seggioloni); quindi il Vescovo consegnava un anello alla Badessa e prendeva la via per la Cattedrale.

Inoltre, sullo stipite sinistro del portale della chiesa, vergata su tre righe, si vede una scritta, o una serie di lettere, intraducibile ai nostri sensi. Vi sono pochissimi altri casi simili in Italia. Che cosa vorranno dirci quelle tre righe il cui significato oscuro è scomparso insieme al suo ignoto scultore?

Un salto indietro nel tempo ci riporta alla morte di Catilina… La storia di Pistoia da qualuno è collegata alla figura di Lucio Sergio Catilina (108-62 a. C.), morto in combattimento nei pressi della città durante la battaglia decisiva tra il suo esercito di rivoltosi e le truppe senatorie romane. In memoria di questo scontro e della morte di un personaggio dalla fama così sinistra e controversa, Pistoia e il suo territorio conserverebbero due testimonianze, oltre ad una tradizione secolare diffusa dalla letteratura e dalla storiografia dell’età medievale.

La Torre di Catilina si trova all’estremità di piazza Duomo, all’angolo fra via Tomba di Catilina e via XXVII Aprile: alto una trentina di metri, secondo una tradizione leggendaria accoglierebbe, sotto il proprio basamento, il tumulo dove fu sepolto il cadavere di Catilina. Secondo un’altra versione, altrettanto diffusa, il corpo del comandante ribelle sarebbe stato sepolto presso l’attuale edicola votiva sul lato della chiesa di San Salvatore, lungo via Tomba di Catilina, in cattivo stato di conservazione.

Un luogo molto particolare è rappresentato dalla chiesa di San Giovanni Decollato (o chiesa del Tempio). Si trova all’interno di un complesso edificato in epoca altomedievale chiamato “il Tempio”, delimitato da largo Santa Maria, via Laudesi, piazza dei Servi, via S. Pietro e via del Nemoreto. Tale toponimo sembra derivare dalla parola latina nemus o dal motto memor est, indicando un’area boschiva o un luogo di antiche sepolture. In questa zona, situata al di fuori della prima cerchia di mura, era presente uno spedale, edificato tra il 1090 e il 1095 per volere di Guido dei Conti Guidi, Conte Palatino di Toscana e protetto di Matilde di Canossa.

A Pistoia un hospitium è documentato fin dal secolo XI nella zona extraurbana, successivamente posto fra la prima e la seconda cerchia di mura. Esso risulta donato nel 1111 all’Abbazia di San Salvatore di Fonte Taona, passa poi all’ordine dei Templari dal quale prende il nome di Tempio. Lo Spedale è retto, quasi dalle origini, dall’Ordine Cavalleresco Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme, poi divenuto Ordine di MaltaLa chiesa nel secolo XI era probabilmente un minuscolo santuario, che viene ampliata e rimodellata tra il XIV e XV secolo, momento a cui risalgono i due affreschi di devozione mariana ancora oggi nel complesso.

Il più conosciuto è quello presente nell’antiportico, la Madonna del Rastrello, datato tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento. Quest’opera, attribuita sia ad Alesso d’Andrea che a Sano di Giorgio, era situata sopra la porta d’ingresso al centro dell’originaria facciata, e rappresenta la Vergine nel gesto d’allattare il figlio su un cuscino. L’affresco, intitolato secondo la tradizione al Rastrello per la presenza della cancellata che lo protegge, è la scena di un miracolo nel 1534, quando si anima e la Vergine “mosse gli occhi, come se viva fosse stata e non dipinta”. Fin da subito l’opera suscita una sentita devozione popolare e l’intero corpo architettonico, nei secoli, è stato modificato proprio per darle risalto. Inizialmente viene chiusa la porta di accesso alla chiesa, aprendo le due laterali, e viene protetto da un riparo ad edicola. Un intervento di rimodernamento più complesso invece è testimoniato nel XVII secolo, quando la famiglia Medici sale al controllo della Prioria pisana. In questa occasione sarà chiuso definitivamente il passaggio sulla via, coperto, come l’interno della chiesa, da un soffitto a cassettoni. Il risultato di tale operazione è un unicum nell’area pistoiese: essa può, infatti, essere considerata una chiesa di passaggio, aperta alla preghiera a tutte le ore.

Il complesso di San Domenico (senza i Domenicani).

Le prime notizie di un convento di domenicani in città risalgono al 1259; attorno alla comunità convivano gruppi di laici uniti in confraternite e le suore claustrali, tra cui la Compagnia dei Magi di cui resta documentazione in un affresco di Benozzo Gozzoli (Scandicci, 1420 – Pistoia 1497) “La cavalcata dei Magi” nella Cappella dei Magi (titolo dato alla ex sacrestia, ora trasformata in cappella) e nel nome di una strada adiacente al convento (via dei Magi). Nel 1785 il Granduca Leopoldo, appoggiato dal Vescovo “giansenista” Scipione de’ Ricci, sopprime tutti gli istituti religiosi maschili della Diocesi, rimangono i conventi di suore. Il convento da quel momento è affidato alle sorelle domenicane, per quasi un secolo e mezzo. Dopo i Patti Lateranensi, i Domenicani tornano a Pistoia nel loro convento, ma la sfortuna incombe…

Padre Alberto Zucchi (1866 – 1947) ricostituisce con acquisti la biblioteca dispersa, fino ad arrivare a 50.000 volumi; San Domenico subisce un bombardamento alleato che incendia l’edificio: il fuoco e l’acqua usata per spegnere hanno provocato danni ingenti ai libri, come in una lotta fra bene e male o la scena finale del film “Il nome della rosa”. Il lascito di Padre Mariano Cordovani (1883 - 1950) regala una terza vita alla biblioteca. Attualmente non ci sono più religiosi nel complesso, che è rimasto di proprietà dell’Ordine di San Domenico. Nel complesso è stato sepolto Benozzo Gozzoli, una lapide lo ricorda, ma si è persa memoria del suo sepolcro, lo stesso si può dire per il sepolcro dei monaci.

Ex chiesa del Tau (o di Sant’Antonio Abate)

L’esterno è quasi anonimo. L’interno ha avuto una storia travagliata, che ha di molto danneggiato gli affreschi. Era stata frazionata in tanti appartamenti privati; insieme all’attiguo Palazzo del Tau (dalla T greca di smalto azzurro che i religiosi portavano cucita alla tunica e al mantello in ricordo della testa del bastone al quale il Santo era solito appoggiarsi), dal 1990 ospita il Museo e la Fondazione Marino Marini. Gli affreschi superstiti sono molto interessanti, perché si sviluppano in verticale su quattro temi: nella fascia in alto le scene dell’Antico Testamento, quindi Nuovo Testamento, Storie di Sant’Antonio, Madonne e Dame. In un riquadro della prima serie noto la raffigurazione dei Giganti…

Leggiamo al capitolo 6 della Genesi:

1 Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie,

2 i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta.

3 Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni».

4 C’erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.

Chi erano i misteriosi “Giganti”, questo popolo che si unì alle figlie dell’uomo? Nella Bibbia vengono chiamati con il termine “Nephilim” tradotta in “giganti”. Da molti studiosi sono stati indicati come extraterrestri o esseri soprannaturali che popolavano il nostro pianeta o angeli caduti, rimangono una pagina enigmatica della Bibbia.

Madonna dell’Umiltà

Possiede la terza cupola più grande d’Italia, con la sua altezza di 59 metri e un diametro di 20,5, opera di Giorgio Vasari. La prima pietra viene posata sulle fondamenta della preesistente chiesa di Santa Maria Forisportam. Il 17 luglio 1490, mentre in città infuriavano fratricide lotte intestine, soprattutto fra le famiglie Panciatichi e Cancellieri, alcuni fedeli vedono lacrimare l’immagine della Madonna dell’Umiltà, lì conservata. Le autorità locali decidono subito di onorare tale evento con la costruzione di un grandioso tempio, in cui riporre il dipinto all’origine del miracolo, l’unico al momento riconosciuto nella Diocesi di Pistoia.

Voglio raccontare il miracolo con le parole di un antico cronista, Cosimo Bracciolini: “L’anno del Signore 1490 alli 17 di luglio in giorno sabbato, fu veduta questa immagine spargere sudore, o vero liquore della sua Santa Testa alla similitudine d’acqua viva d’un limpido fonte, e dall’una, e l’altra parte della fronte, che miracolosamente irrigavano le sue vestimenta” (1).

Ex Oratorio di San Desiderio

Sconsacrato, rappresenta la memoria di quella che doveva essere la chiesa del convento delle benedettine di cui si hanno notizie fin dal 1084. Nel 1440 papa Eugenio IV sopprime il convento e l’edificio (assegnato alla compagnia de’ Rossi o dei Disciplinati dei Servi di Maria) viene trasformato in un ospedale destinato a prestare soccorso ai pellegrini e ai viandanti che arrivavano a Pistoia sulle orme di San Jacopo. Conserva l’affresco di Sebastiano Vini detto “il Veronese”, (in omaggio alla città di origine, operante a Pistoia a partire dal 1548), noto con il titolo “La crocifissione di San Desiderio e dei diecimila martiri”, episodio dell’epoca di Diocleziano. In realtà rappresenta ‘La crocifissione di Acacio e dei diecimila martiri sul monte Ararat’: questi diecimila martiri erano un gruppo di soldati romani che, guidati da Sant’ Acacio (ex centurione romano vissuto nel Il secolo d.C.), si convertono al Cristianesimo e per questo vengono crocifissi sul monte Ararat in Armenia, dove vi sarebbero i resti dell’Arca di Noé.

Le buchette del vino

Il 13 dicembre 1887 la Giunta Municipale di Pistoia esamina alcune domande “per conseguire la patente per vendita di vino e liquori” che erano state presentate in precedenza. Tra queste figura tale “Bargellini Angelo fu Giovan Battista che vuole aprire uguale esercizio in questa città, Piazza dello Spirito Santo in Casa Rospigliosi” (questo documento è consultabile nel registro dell’anno 1887 delle delibere della Giunta Municipale del Comune di Pistoia, conservato presso l’Archivio Storico del Comune).

Le “buchette del vino” sono piccole porticine presenti in alcuni palazzi pistoiesi (e in altre località della Toscana) che servivano alla vendita del vino; grandi quel che basta a permettere il passaggio di un fiasco proveniente dalle cantine del palazzo; chi bussava allo sportellino richiedeva ai servitori del palazzo (i cui proprietari erano produttori di vino nelle loro tenute di campagna) la vendita del prodotto. Questa usanza ha perfino ispirato una poesia: “Sbirciare/da una buchetta/di vin furtivo/storie di eroi/frati e briganti/d’una terra di sosta” (Gabriele Carradori, Pistoia. Storie di vie, leggende e versi).

Concludo questa camminata inusuale per le strade di Pistoia ritornando verso il centro, al suo cuore antico.

Alla base del campanile della Cattedrale di San Zeno è rimasto un anello che era utilizzato come gogna. Si trattava di uno strumento punitivo, di contenzione e controllo, utilizzate durante il Medioevo. Era costruita come un collare in ferro, fissata a una colonna per mezzo di una catena, che veniva stretta attorno al collo dei condannati esposti alla berlina.

Nei lontani tempi in cui onore e disonore erano sentimenti “sociali” è nata la cosiddetta pittura infamante (o pittura d’infamia), diffusasi fra il Duecento e il Cinquecento, in particolare nell’Italia settentrionale e centrale. Questa pratica figurativa, forse peggio della gogna, era una singolare tipologia di pena inflitta dai rappresentanti dei Comuni e consisteva nella rappresentazione dipinta, di una persona condannata in contumacia. Tra i soggetti della pittura infamante, la cui immagine rimaneva esposta a lungo in un luogo pubblico della città, vi erano traditori, ladri, colpevoli di bancarotta o frode. Il potere di questa forma di punizione derivava da un “codice d’onore feudale”, per il quale la vergogna costituiva la più significativa forma di punizione sociale.

Pistoia è, in tutti i sensi, un ritorno al Medioevo, con la gradevolezza dei suoi ritmi lenti.

(1) Cosimo Bracciolini – Trattato delle Gratie e dei Miracoli della Madonna santissima dell’Humiltà di Pistoia, nuovamente data in luce con aggiunta delle cose più notabili di detta chiesa – Pier Antonio Fortunati – Pistoia – 1661

 

 

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Articolo pubblicato il 30/11/2021