Narciso e la democrazia

Caso Djokovic e paradigma no-vax di Piero Flecchia

Gli esordi di questo terzo millennio e.v., sono politicamente contrassegnati dalla crisi della democrazia, effetto del sistematico rifiuto capitalista di accettarne la forma civile matura socialdemocratica, opponendole il mito del liberismo di mercato, e del primato della finanza sull'industria.

 

Da qui la necessità crescente di esecutivi autorevoli, ovvero autoritari, evidente e incombente, come ben descrivono il sistema politico russo di Putin e/o il post bolscevismo cinese, nonché le varie forme di tirannide, tra le populiste e le religiose islamiste.

 

Oggi i loro leaders massimi davanti alle democrazie ostentano una sorta di arrogante superiorità concettuale, soprattutto dopo la grottesca vicenda post elettorale del trumpismo, e/o, come ancor meglio si precisa, nel drammatico caso Assange circa la democrazia USA, teleguidata dal capitalismo imperialista.

 

Questo malessere universale del climax democratico - ben conosce ogni cittadino italiano che mediamente si occupi delle vicende politiche del proprio paese - ha però il 10 gennaio 2022 ricevuto una clamorosa e felice smentita dalla sentenza del giudice australiano Kelly, dove afferma il diritto del tennista serbo Novak Djokovic di disputare, contro il locale dictat governativo del ministro Alex Awke, gli open d'Australia: e malgrado Nole avesse spudoratamente mentito al giurì, sostenendo falsamente di essersi contagiato di COVID, ergo immunizzato.

 

Il governo australiano potrà bloccare la sentenza ed espellere Djokovic, ma quello che nella sentenza del giudice Kelly parla forte e chiaro, e resterà nel tempo, è che la separazione dei poteri è capitale per le democrazie tanto d'ambito liberista che socialdemocratico, perché solo per questa separazione la democrazia rappresentativa può opporsi a pressioni esercitate indebitamente sulla persona dall'apparato burocratico statale.

 

Questo è il senso della lezione nella sentenza Djokovic del giudice Kelly, la cui ragion d'essere è una sola: Djokovic è immune da COVID, ergo non rappresenta pericolo di contagio.

 

Che poi non si vaccini e preferisca rischiare, è una sua libera scelta soggettiva; che nessuna legge, in una società democratica, ha il diritto di rendersi coercitiva. Per difendere tale principio il giudice Kelly ha riconosciuto a Djokovic anche il diritto di mentire, che tutte le democrazie riconoscono ai cittadini in stato d'accusa.

 

Questa lezione politica emerge dalla sentenza del giudice Kelly, ma in essa c'è ancora dell'altro; e decisivo, a partire dalla domanda di che cosa determini la posizione deliberatamente no vax di Djokovic, caso esemplare del paradigma no-vax.

Analisi che aiuta a chiarire le ragioni aggreganti la galassia no-vax, nell'ambito del mondo creato dalla pandemia COVID.

 

Non c'è oggi al mondo sport più massacrante del tennis a livello professionale. Il prezzo in termini di autocontrollo repressivo sul proprio fisico per giungere e restare ai suoi vertici è altissimo.

L'autocontrollo psicofisico è perfin più alto che nel ciclismo e nella box. Lo racconta un grandissimo tennista (nel biennio 2017-18 fu anche coach di Djokovic) Andrea Agassi, che in Open descrive gli abissi di costi fisici e psichici sostenuti per affermarsi e mantenersi professionista ai vertici di quello sport.

 

Da questa autobiografia, edita nel 2012, quando era già conclusa la professione tennistica di Agassi, appare chiaro come ogni partita tra professionisti di vertice sia un combattimento per l'annientamento a un tempo psichico e fisico dell'avversario, gettando nello scontro tutte le proprie energie psicofisiche.

A differenza dei ciclisti - che corrono poche classiche e uno due tour all'anno - o tra i campioni della box - che non sostengono mai più di due tre grandi incontri all'anno - gli scontri tra tennisti di vertice si ripetono lungo l'anno quasi ogni settimana, fino a stremare i protagonisti tanto fisicamente che mentalmente.

 

Ma è proprio questa dimensione di scontro di annientamento che avvince gli spettatori intorno alla partita di tennis: qui la dimensione psichica che trasforma, attraverso il transfert, l'agone sportivo tennistico in avvincente spettacolo di massa, per quanto e in quanto le partite di tennis tra campioni.

Il loro scontro sul campo raggiunge una dimensione ludica agonale molto prossima a quella dei ludi gladiatorii.

 

Per la frequenza poi di questi scontri di vertice tra campioni l'usura psicofisica che comportano, in questo sport si resta ai vertici soltanto a prezzo di sacrifici esasperati, e per un periodo sempre tutto sommato breve, come descrivono le crisi psicofisiche cicliche attraversate da campioni quali un Federer.

 

Ergo, praticare professionalmente, restando ai suoi vertici, il tennis, comporta una attenzione ossessiva per il proprio corpo: una massima attenzione alimentare e medicale ad esso.

 

E questo ha la sua logica inevitabile conseguenza nella evoluzione della personalità ossessivamente presa nella cura esasperata della propria soggettività fisica, il cui approdo strutturale psichico conseguente è l'autoidentificazione nella figura paradigmatica psico-mitica del Narciso.

 

Il campione di tennis, costretto a concentrarsi in se stesso, assume inevitabilmente tratti e comportamenti narcisistici, come appunto tradisce tutto il comportamento sportivo dello stesso Djokovic; una significativa spia del cui narcisismo è stata la decisione di mentire all'immigrazione australiana, affermando di essere immune dal COVID per aver attraversato la malattia.

Una menzogna ingenua, ma come tutte le menzogne dei Narcisi: convinti di potersi permettere le loro menzogne in ragione della convinzione di possedere un fascino capace di abbacinate gli occhi del mondo.

 

Altro elemento del paradigma e conseguente, il Narciso mette la propria ragione al servizio della propria immagine, che vive come espressione di perfezione assoluta.

 

Ed è ancora proprio questa assolutizzata autoidentificazione del Narciso nella propria fisicità che impedisce a Nole, come ad ogni compiuto narcisista, di accettare il vaccino, appoggiandosi alla propria ragione personale, che lo porta ad affermare che il suo fisico è perfetto.

Ergo ha anticorpi capaci di combattere la malattia.

Di più: gli ripugna introdurre nella sua fisicità perfetta dei corpi estranei pensanti e prodotti da un altrove che non conosce, e sul quale non ha controllo.

 

Entro tale logica del Narciso, vaccinarsi non significa un cauto atto di fede verso la scienza, ma un immediato significativo sfregio alla propria immagine narcisistica di irresistibile egemone universalmente vincente.

E che afferma anche con il rifiuto del vaccino questa superiorità psicofisica nel mondo circostante.

 

Vaccinarsi significa riconoscere un momento di primato del mondo esterno, ergo vulnerare la propria natura perfetta: “divina” l'aggettivo forse più adeguato; a discendere, entro la logica narcisistica, dalla evidenza meta-razionale che Dio non ha bisogno dei vaccini.

 

Ed entro il proprio universo psichico Djokovic, come ogni Narciso, vive una sorta identità nell'assoluto, fino a una vera e propria auto-divinizzazione, come appunto diffusamente raccontano le vite delle grandi soggettività tiranniche, giunte fino a convincersi, come i re ellenistici e gli imperatori romani, di poter ascendere all'auto-divinizzazione: diventare immortali.

 

 

 

In attesa che la Corte federale si pronunci sulla espulsione o meno di Djokovic dall’Australia mi permetto di aggiungere poche righe, sinceramente basita.

 

Abbiamo assistito a un episodio imbarazzante in cui un uomo, che di professione fa il tennista, si imbarca su un aereo con l’assicurazione da parte degli organizzatori di questo torneo di poter combattere per il titolo prestigioso: non sappiamo a quanto si aggiri il compenso suo, quanto ai suoi manager, quanto agli organizzatori.

 

Perché il denaro non è certo un argomento marginale.

 

La campagna di odio che si è scatenata intorno al guerriero ha del surreale: no-vax oltre a una miriade di altre accuse. Bugiardo sicuramente, ma perdonato dal giudice.

 

L’unica immagine che mi viene in mente è Nerone che guardando nell’arena il gladiatore vincitore grida girando il pollice verso il basso “Aprite i leoni”.

 

Non è finito bene Nerone…  

                                                                                                  Chicca Morone

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Articolo pubblicato il 16/01/2022