Italia e crisi Ucraina: il rischio delle decisioni avventate

L'Opinione a cura di Luigi Cabrino

Lo “spirito di Pratica di Mare” ormai è lontano anni luce e di fronte alla guerra mossa dalla Russia all’Ucraina c’è solo da sperare che tutto finisca il più presto possibile e le armi cedano il posto al dialogo ed alla diplomazia; per dividerci in fazioni tifosaiole pro o contro Putin ci sarà tempo dopo che le armi avranno cessato di uccidere.

C’è da temere che la prontezza con cui l’Italia ha obbedito alle direttive NATO annunciando già nei minuti successivi l’attacco russo l’invio di migliaia di militari nelle basi dell’alleanza atlantica nei paesi di confine – Lettonia e Romania – si riveli un azzardo giocato sulla pelle dei cittadini.

Bene inteso, l’attivazione dei canali umanitari per soccorrere le migliaia e migliaia di persone in difficoltà è doverosa e questo, va detto, è un campo in cui non siamo secondi a nessuno; ma prendere nella comodità dei palazzi romani confortevoli e caldi (ancora per poco se dalla Russia si decidesse di chiudere i rubinetti del gas) la decisione di inviare militari nelle basi NATO al confine con le zone di guerra e fornire armi e materiali all’esercito ucraino in gran quantità (che poi, tra l’altro resteranno in quel paese per lungo tempo e non si sa bene in che mani potranno finire) comporta rischi che forse i nostri governanti non hanno calcolato.

Per obbedire ali ordini del “socio di maggioranza” della NATO negli ultimi vent’anni ci siamo imbarcati in guerre contro eserciti allo sbando come quello afgano o iracheno, per il rischio di armi chimiche che erano solo nella testa degli strateghi neocon americani – nessuno dei quali militare, peraltro –  abbiamo riportato a casa numerose bare di soldati e dobbiamo ammettere di esserne usciti con le ossa abbastanza rotte.

Bene, l’esercito della Federazione Russa non è un’armata Brancaleone come quelli di Iraq e Afghanistan, mandare con un “armiamoci e partite” migliaia di militari su questo fronte bollente potrebbe farci entrare nel mirino di una potenza mondiale; siamo onesti, non ne abbiamo per niente voglia e non ne siamo preparati.

Le esperienze delle guerre in Afghanistan e Iraq ci dicono che non siamo pronti dal punto di vista militare, nonostante i molti discorsi di circostanza, ma soprattutto non ne siamo pronti come popolazione; non volendo nemmeno pensare a missili russi sulle nostre teste dobbiamo riconoscere che non siamo in grado di reggere scaffali vuoti, mancanza di energia elettrica e gas, a tutte quelle situazioni che una “economia di guerra” comporta.

Non siamo insomma come i nostri nonni, ci arrabbiamo se per cinque minuti non abbiamo il segnale del Wi-fi sui nostri telefonini e perdiamo la connessione, come pensiamo di reggere anche solo un giorno ad una condizione di vita come quella che stanno vivendo i civili ucraini?

E’ realismo, non ne abbiamo la forza, meglio tenersi fuori da queste avventure guerresche che si sa quando iniziano ma non si sa se e quando possono finire; forniamo assistenza umanitaria alle vittime della guerra ma non imbracciamo fucili, in molti rischieremmo di spararci su un piede e ce ne pentiremmo tutti un minuto dopo.

Decisioni come quelle di mandare militari in scenari di guerra - sia pure in basi NATO a pochi chilometri dagli scontri e non, almeno per ora, in prima linea - devono essere molto ponderate, specialmente considerando chi c’è dall’altra parte e non dimenticandoci che la Costituzione ripudia ancora la guerra come mezzo per dirimere le controversie internazionali, oggi come ai tempi delle guerre in Afghanistan e Iraq.

Quelle guerre furono teorizzate e decise da politologi e studiosi neocon in think tank animati da miliardari USA; nessuno di questi personaggi che vent’anni fa hanno trascinato il modo dietro agli USA in guerre inutili e finite nel peggiore dei modi aveva la minima esperienza militare.

Che oggi la decisione di intervenire militarmente in uno scenario che può scatenare la guerra nucleare venga presa in poche ore da un presidente del consiglio economista ed ex banchiere centrale che non ha mai fatto un solo giorno di servizio militare, con tutto il rispetto per il prestigio e l’autorevolezza internazionale del personaggio, rassicura molto poco.

Luigi Cabrino

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Articolo pubblicato il 03/03/2022