Burri, la poesia della materia
Alberto Burri fra le rovine di Gibellina

A ritroso verso una mostra che ha chiuso i battenti

Ho visitato questa mostra nell’ultimo giorno di apertura di gennaio scorso, grazie ad una iniziativa del FAI Giovani di Torino.

Raccontarla dopo, a porte ormai chiuse e a riflettori spenti, può essere piacevole per chi l’ha vista (per riprendere le emozioni che ha creato nell’animo) e una scoperta per chi non conosce Burri e la Fondazione Ferrero di Alba.

Il luogo scelto dalla grande industria e famiglia albese per parlare di arte è alla periferia della città (il profumo di cioccolata arriva comunque fin qui!). La forma urbana inizia a diradarsi e a ceder il passo al verde, alla natura, oltre la grande fabbrica che sembra dare il tempo alle altre attività.

Dal 9 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022 la mostra ha contato 31.213 visitatori.

Alberto Burri (Città di Castello 1915 – Nizza 1995) dopo gli studi superiori si laurea in medicina.

Il 9 ottobre 1940, con il grado di sottotenente medico di complemento, è richiamato alle armi e presto congedato per seguire il tirocinio presso un istituto ospedaliero, ai fini dell'abilitazione all'esercizio della professione.

Conseguito il diploma, torna nell'esercito e, all'inizio di marzo 1943, viene assegnato alla X Legione in Africa settentrionale. Nei giorni della resa italiana in Africa viene catturato dalle truppe inglesi l'8 maggio 1943 e, passato poi in mano agli statunitensi, è recluso, insieme a Giuseppe Berto e a Beppe Niccolai, nel "criminal camp" per non cooperatori del campo di concentramento di Hereford (in Texas) dove rimase per 18 mesi.

Nella primavera del 1944 rifiuta di firmare la dichiarazione di collaborazione propostagli ed è catalogato tra i fascisti "irriducibili".

In questo periodo matura la convinzione di dedicarsi alla pittura.

Nel 1951 partecipa alla fondazione del gruppo romano Origine, insieme a Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla. e partecipa alla mostra inaugurale del gruppo, scioltosi l'anno dopo.

Burri plasma gli elementi come materia prima, la nota luminosa che interviene alla fine del suo lavoro è la soluzione del quadro, come in un enigma.

Il ferro sarà la sua ultima materia: lo taglia con le cesoie e ne ottiene nuove sfumature di toni, che ha percepito nella fase creativa, per restituire a chi guarda la sua opera finita.

Essere per esistere: un motto che racconta le avventure di un tempo avaro di personaggi, nel quale il racconto umano è affidato al cinema e alla fotografia. Sono gli anni dell’esplosione del neorealismo, che esprime per l’Italia una lunga serie di grandi artisti, in una stagione eccezionale per le arti visive.

Per questo motivo Alberto Burri va a cercarsi altre strade narrative.

La sperimentazione con i “Cretti” nasce da una vocazione poetica inespressa, che entra nel disfacimento della materia, del quale vedeva i primi segni negli Anni Settanta.

Arrivano gli Anni Ottanta. Mentre cresce la Milano da bere e la società liquida, il Sindaco di Gibellina Ludovico Corrao – città distrutta dal terremoto del Belice – vuole un progetto della memoria, e chiama lui. Burri inizia il lavoro, che non riuscirà a finire prima della sua morte, avvenuta nel 1995.

Nasce così il “Cretto Burri” o “Cretto di Gibellina”: «Andammo a Gibellina con l'architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l'idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest'avvenimento» scriverà Burri stesso.

Progetta, quindi, un gigantesco monumento che ripercorre le vie e i vicoli della vecchia città: sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, ora cementificate dall'opera di Burri; i blocchi sono stati realizzati accumulando e ingabbiando le macerie degli stessi edifici.

Dall'alto l'opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese. Ogni fenditura è larga dai due ai tre metri, mentre i blocchi sono alti circa un metro e sessanta e ha una superficie di circa 80 000 metri quadrati, facendone una delle opere d'arte contemporanea più estese al mondo. A circa 350 metri dall'opera, è possibile vedere quel che resta dei ruderi di Gibellina.

L'opera è oggetto di un cortometraggio della regista olandese Petra Noordkamp, commissionato dal Museo Solomon R. Guggenheim per essere proiettato alla retrospettiva di Alberto Burri tenutasi presso questa istituzione dal 9 ottobre 2015 al 6 gennaio 2016.

Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) l’ha selezionata fra le sue opere del cuore in Sicilia.

Giuseppe Ungaretti dice di lui: “Amo Burri perché non è solo il pittore maggiore d’oggi ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta”.

L'artista ha lasciato molte opere alla fondazione da lui costituita nel 1978 a Città di Castello, sua città natale (Palazzo Albizzini, aperto nel 1981, ed ex Seccatoi del tabacco, 1990).

Il curatore della mostra albese, Sergio Corà, all’inaugurazione dichiarava: “Burri non amava parlare del suo lavoro e riteneva fosse impossibile descriverlo e spiegarlo, per questo aveva diffidenza del mondo accademico e dei critici”, racconta ancora il curatore. “Si è invece unito alla compagnia dei poeti dell’immediato dopoguerra romano, dove approdò dopo la prigionia americana, come De Libero e Sinisgalli. Arrivano poi voci più autorevoli nella sua opera, sopra tutti Emilio Villa, personaggio fuori dal coro e coltissimo ? era filologo, etimologo e traduttore di bibbie aramaiche ed ebraiche e dell’Odissea greca”.

Come definire una simile parabola artistica ed umana?

Una transizione del tempo, un passaggio dal classicismo alla modernità, vissuto con sofferenza, entrando nel cuore della materia e di tante materie prime. Cercate, plasmate, forgiate, prese dall’abbandono per rinascere a nuova vita sotto le sue mani ispirate di artigiano raffinato dell’arte.

Un ringraziamento va alla Fondazione Ferrero, sempre attiva nella promozione artistica, classica e moderna, nella sua città, la capitale delle Langhe.

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Articolo pubblicato il 08/03/2022