Due miliardi di piante per salvare il pianeta

La proposta scientifica del biologo vegetale Stefano Mancuso

Il cambiamento climatico del nostro pianeta si sta manifestando nelle forme sempre più estreme ed irreversibili. Il sospetto, che sovente si avvicina alla certezza, è che davanti a tante parole di circostanza, da parte di troppi cinici detentori dei veri poteri decisionali, aleggi un’anestetizzante “cupio dissolvi” che rallenta ogni azione concreta rivolta a contrastare il fenomeno.

La scienza ci dice che è l’aumento dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera a provocare “l’effetto serra”, cioè il riscaldamento globale del pianeta e che nel caso si continuasse con le immissioni incontrollate di questa, per le crescenti attività antropiche, si creerebbero le condizioni per un disastro climatico irreversibile.

Disastro sempre evocato, ma del quale già da tempo subiamo le prime evidenti avvisaglie, tramite gli impressionati fenomeni climatici che devastano tante aree del globo.

Un dato deve far riflettere: prima della rivoluzione industriale il valore stimato dell’anidride carbonica (CO2) dell’aria si aggirava sui 278 parti per milione (ppm). Da quando si è potuto, 63 anni fa, misurare l’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera con metodi scientifici, mai si era raggiunto un valore come quello attuale. L’ultima rilevazione dell’anidride carbonica (CO2) segnala il dato di 419,13 ppm. Teniamo presente il dato del 2013 che era di 400 ppm, mentre quello del 2017 era già di 410 ppm.

Questo progressivo incremento, impressionante per la sua incontrollabilità, si deve arrestare a tutti i costi. In caso contrario, cioè  se questo valore crescesse ancora da provocare l’aumento di 1 grado della temperatura globale, potrebbero verificarsi eventi già scientificamente ipotizzati (esempio: scioglimento dei ghiacci ai Poli, aumento dei livelli dei mari con la sparizione di enormi territori costieri, con la conseguente migrazione di milioni di persone, incremento della desertificazione, turbolenze atmosferiche devastanti, ecc.), tali da compromettere l’assetto geopolitico attuale, l’economia e la convivenza umana e civile delle nazioni del pianeta.

Per restare a casa nostra e precisamente in Piemonte, è da più di 110 giorni che non piove con le conseguenze che si possono prevedere sia sul versante ambientale e sanitario che sulle gravi ricadute economiche (ad esempio nell’agricoltura, nella zootecnia, nella produzione dell’energia idroelettrica, ecc.).

Ci rendiamo perfettamente conto che, “tra il dire ed il fare” nell’affrontare la problematica del riscaldamento globale del pianeta, esistono ostacoli oggettivi da superare e che l’introduzione di nuove tecnologie richiede dei tempi tecnici obbligatori, oltreché le inevitabili resistenze di interessi, in parte anche legittimi, che si sono consolidati nel tempo.

Tuttavia, per evitare di parlare di temi e progetti (ad esempio la ricerca di energie alternative rinnovabili), che potrebbero restare esclusivamente nelle buone intenzioni, è necessario proporre soluzioni credibili che producano in tempi brevi un miglioramento significativo delle attuali condizioni ambientali.

È bene ricordare che l’ossigeno molecolare (O2) presente nell’’atmosfera terrestre [costituita attualmente da Azoto (N2) per il 78,084 %, dall’ Ossigeno (O2) per il 20, 9476 %, da Argon per lo 0,934 %, da Anidride Carbonica (CO2) per lo 0,0314 %], è stato prodotto in milioni e milioni di anni dalla fotosintesi clorofilliana dei vegetali che si sono succeduti sul pianeta nelle diverse epoche geologiche. 

Ricordiamo anche che la fotosintesi clorofilliana è quel meraviglioso fenomeno che permette di utilizzare l’anidride carbonica (CO2) dell’atmosfera e l’acqua (H2O) del suolo, tramite la radiazione solare, per formare glucosio (C6H12O6) da cui le piante, con i sali minerali, assunti dalle radici, producono tutte le strutture anatomico-funzionali per la loro crescita, vita e riproduzione. Il processo chimico suddetto avviene nei “cloroplasti”, organuli ubicati nelle cellule delle foglie delle piante e di tutti i vegetali clorofilliani.

Nel contempo avviene l’emissione di ossigeno (O2) secondo la reazione-equazione:

6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2

In sostanza, le piante – durante il processo di fotosintesi clorofilliana – assorbono 6 molecole di anidride carbonica e 6 molecole di acqua e – trasformandole - producono a loro volta 1 molecola di glucosio e 6 molecole di ossigeno

Conseguentemente tutti gli attuali esseri viventi (compreso Homo sapiens), dotati di organi respiratori, hanno avuto modo di evolversi in questo contesto e “respirare per vivere” grazie all’apporto fondamentale dell’ossigeno (O2) prodotto esclusivamente dai vegetali fotosintetici (esempio dai microrganismi batterici, cianobatteri, micro e macro-alghe marine e non, fino alle piante superiori).

Eppure, la scienza offre una soluzione al problema del contenimento (e forse anche della significativa riduzione) dell’anidride carbonica (CO2) dell’atmosfera, tramite un progetto fattibile che potrebbe essere attivato immediatamente.

La proposta è da anni che circola nel disinteresse generale, se non considerata con un atteggiamento di sufficienza da parte delle istituzioni competenti, dalla politica e dai governi.

Ora il prof. Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, docente all’Università di Firenze, direttore del LINV (International Laboratory of Plant Neurobiology  di Sesto Fiorentino - FI), rilancia questo progetto con il volume “La pianta del mondo” (editore Laterza).

In sintesi, la proposta si configura in questi termini (dalla conferenza online del 28 novembre 2021 – articolo di Laura Montanari de la Repubblica (Firenze) del 27/11/ 2020) “…. Il riscaldamento globale è il problema più grande di fronte al quale si sia mai trovata l’umanità, ma può essere risolto dalle piante; sappiamo che se mettessimo a dimora mille miliardi di alberi potremmo far tornare indietro dei due terzi il surplus di anidride carbonica che sta nell’atmosfera …”.

E tutto questo si potrebbe realizzare concretamente in 20 – 30 anni.

Ma occorre iniziare subito e senza indugi.

L’obiettivo non è utopico e facilmente raggiungibile, sia dal punto di vista operativo, sia per la sostenibilità economica. È vero che questo progetto avrebbe un costo non indifferente, ma sarebbe comunque una cifra irrilevante rispetto a quanto si dovrebbe spendere per riparare i danni provocati dal riscaldamento globale.

La vera sfida è culturale in quanto l’idea resta affascinante per la “facilità” di realizzazione, ma purtroppo resta ancora confinata a livello intenzionale.

Per smuovere questo stato di cose si tratta di diffondere una cultura e una coscienza ambientalista razionale alle nuove generazioni, incominciando dalla scuola elementare per proseguire nei diversi gradi di istruzione.

Tuttavia, c’è da prendere atto che questa “proposta ambientalista” non è ancora sufficientemente recepita e condivisa dalla generazione che attualmente rappresenta la classe dirigente del Paese e forse anche da una grande parte dell’opinione pubblica, per essere testimoniata con fatti coerenti.

Resta ancora una domanda operativa: dove potremmo mettere mille miliardi di alberi?

Ci spiega il prof. Stefano Mancuso: “… Se ogni Stato dovesse mettere a dimora una quantità di alberi proporzionale a quanti sono gli abitanti, a noi italiani toccherebbero due miliardi di piante, ci stanno o non ci stanno in Italia? Se soltanto utilizzassimo le terre abbandonate dall’agricoltura dagli anni ’80 a oggi, terre che oggi sono incolte, senza andare a rompere e scatole a nessuno, noi potremmo mettere a dimora sei miliardi di alberi …”.

Quindi il progetto sarebbe realizzabile alla grande, incominciando da ogni spazio cittadino disponibile, dal piccolo comune alle grandi città. Anzi sarebbe un’occasione per creare vero lavoro con la prospettiva di raggiungere gli obiettivi in tempi brevi e di attivare un indotto importante e diversificato.

Senza sottovalutare la potenzialità di poter coinvolgere le organizzazioni del volontariato per questa sfida epocale che coinvolge tutti.

In attesa della lenta e sovente convulsa transizione energetica (dal combustibile fossile a quello alternativo rinnovabile e “green”) è possibile iniziare a realizzare in modo razionale e produttivo la “rivoluzione verde degli alberi”. 

Intanto sul nostro territorio nazionale si potrebbero attivare tante utili iniziative: dall’arco alpino alle colline dell’’appennino, alle aree incolte o abbandonate (comprese, con le dovute limitazioni, le brughiere, le baragge o i gerbidi), si potrebbe cambiare il panorama forestale, trasformandolo in una gigantesca macchina biologica divoratrice di anidride carbonica (CO2) e donatrice di ossigeno (O2).

A corollario di quanto sopra esposto occorre tenere presente che ogni anno la deforestazione selvaggia e scellerata, sotto la spinta di una speculazione infrenabile, depaupera nel mondo aree verdi delle dimensioni della Svizzera. Inoltre, gli incendi dolosi, finalizzati alla deforestazione, contribuiscono pesantemente al peggioramento della situazione ambientale.

È evidente che questa attività delittuosa e di devastazione del pianeta dovrebbe essere sanzionata con provvedimenti normativi efficaci da una istituzione riconosciuta a livello internazionale e con veri poteri coercitivi, ma per la realizzazione di questo difficile e utopico obiettivo, siamo convinti che dovrà passare ancora tanta acqua sotto i ponti.

Probabilmente tanta, ma proprio tanta da riempire un oceano.

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Articolo pubblicato il 04/04/2022