Ultimissime dai fronti: da una guerra europea ad una mondiale?

Il rischio di escalation intercontinentale è dietro l'angolo.

Siamo quasi a novanta giorni di guerra. La situazione non sembra avere una via di uscita. Le tensioni che si registrano fra Mosca e il Pentagono non sono mai state così marcate.

I Paesi NATO vogliono che Putin perda, Mosca, dal canto suo, non accetterà negoziati sul Donbass e la Crimea: l'unica soluzione è il prosieguo del conflitto a tempo indeterminato con Odessa pronta ad essere attaccata per tagliare l’Ucraina dal Mar Nero.

Putin ha consolidato le sue conquiste nelle parti russofone dell’Ucraina, ma per eterogenesi dei fini, sul piano diplomatico ha ottenuto il risultato opposto. Se l’idea era infatti quella di scongiurare un possibile allargamento della NATO, oggi il Cremlino rischia di ritrovarsi in uno scenario completamente diverso. Ovvero, la NATO intende allargarsi intorno al confine russo. Volendo far diventare il Mar Baltico un “mare atlantico”.

Come se non bastasse, le truppe Usa sono notevolmente aumentate nel Continente europeo. Basti un numero per tutti: i soldati americani schierati in Europa sono ad oggi saliti alla soglia di 100.000 uomini; che non raggiungevano dal 2005, quando era in corso la "guerra al terrorismo" scatenata dopo l'11 settembre 2001.

Contro queste azioni la Russia risponde aumentando la potenza di fuoco nel Donbass. Severodonetsk e Zytomyr potrebbero diventare le nuove Mariupol. Ovvero delle città fantasma, la cui presenza serve a fiaccare psicologicamente gli ultimi residui di resistenza ucraina.

Dopo la conquista dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, Kiev rivorrebbe i combattenti del reggimento Azov che si sono arresi ai russi. Il presidente Zelensky lega la sorte dei militari ”eroi” agli stessi negoziati di pace. Ma Mosca intende processare i prigionieri. Questa «È una richiesta dei cittadini e della società», fa sapere il leader dei separatisti filorussi di Donetsk, Pushilin.

Nel frattempo, l’Europa occidentale tende ad allontanarsi sempre più dai loro alleati Nato dell’Est europeo. La Francia ha annunciato che per entrare nell’Unione Europea ci vogliono almeno 15 anni, gelando così le speranze di Kiev per un ingresso rapido. Stessa cosa dicasi per l’allargamento Nato, dove la Turchia si è messa di traverso. Ad Helsinki fanno sapere che sono in corso possibili garanzie su Pkk, in modo da agevolare il proprio ingresso.

La Germania, in maniera simile all’Italia, continua ad apparire ambigua, nonostante il forte e marcato posizionamento filoatlantico di questi ultimi mesi, e degli esecutivi Scholz e Draghi.

Se l’Italia è in cerca di nuovi partner energetici alternativi a Mosca, la Germania fa lo stesso con la vicina Svizzera. Berna e Berlino, infatti, vogliono aiutarsi a vicenda in caso di crisi energetiche come quella scaturita dalla guerra in Ucraina. I due Paesi intendono infatti negoziare un accordo di solidarietà atto a fronteggiare le emergenze future.

Parallelamente, dall’altra parte del Mondo, gli americani devono fronteggiare un altro pericolo. Quello dell’area del Pacifico. Le tensioni fra le due Coree, così come l’atteggiamento ambiguo e ostile della Cina, sempre più interessata al controllo di Formosa, preoccupa non poco il Pentagono.

L’inquietudine è arrivata al punto da far dire al Presidente Biden che «Per la prima volta dal 1976 la crescita degli Usa è maggiore di quella della Cina. Non è mai una buona idea scommettere contro gli Stati Uniti».

Dopo la visita a Seul, il Presidente Biden si è recato a Tokyo. Dove dalla capitale giapponese ha annunciato che “se la Cina invaderà Taiwan useremo la forza militare, Pechino scherza con il fuoco”. Questa la risposta alle continue esercitazioni e provocazioni cinesi nei loro mari.

La risposta di Pechino non è fatta attendere. Il Ministro degli esteri cinesi ha detto che “gli Stati Uniti non dovrebbero difendere l’indipendenza di Taiwan né sottovalutare la determinazione della Repubblica Popolare”. Ha inoltre aggiunto che “la questione dell’Isola di Formosa è una questione interna alla Cina”.

Queste dichiarazioni potrebbero mettere fine alla storica posizione diplomatica americana definita come “ambiguità strategica”. Dove da un lato si riconosce la sovranità della Repubblica Popolare Cinese, ma dall’altro si tende ad armare Taiwan (Repubblica di Cina). Questo potrebbe far tornare indietro a prima del 1979, anno in cui inziarono le ambiguità Usa sulla questione.

Biden ha inoltre sottolineato che se la Cina prendesse Taiwan con la forza, «sarebbe un’altra azione simile a ciò che è accaduto in Ucraina e avrebbe un peso ancora maggiore». Queste dichiarazioni pesano in effetti come macigni, e avvicinano fra loro ulteriormente Mosca con Pechino. Accomunate strategicamente dal comune nemico americano, percepito come ostile nelle proprie aree di influenza. Tutte queste tensioni, se sommate al già delicato contesto ucraino, rischiano realmente di generare un’escalation militare su larga scala. In tal caso, il contesto regionale europeo apparirebbe solo uno dei possibili scenari in gioco. 

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Articolo pubblicato il 24/05/2022