Paolo Borsellino: trent'anni dopo rabbia e silenzio in via D'Amelio

Le sconsolate e veritiere considerazioni del fratello

Sono orami trascorsi 30 anni, da quel 19 luglio 1992, giorno della strage di via D’Amelio a Palermo. Manifestazioni, dibattiti, mostre, spettacoli teatrali, fiaccolate: sono tante le iniziative organizzate in ogni parte della Sicilia e in altre regioni del Paese in memoria del giudice Paolo Borsellino e dei 5 agenti di scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) assassinati trent'anni fa nella strage di via D'Amelio, alcune ammantate di retorica e superficialità, quando la realtà è ben altra.

Ci pensa il fratello del giudice, Salvatore, che dichiara: "Oggi si celebrano come eroi le vittime di quelle stragi e intanto se ne distrugge il patrimonio di leggi che ci avevano lasciato per dare alla magistratura e forze dell'ordine le armi necessarie per combattere la criminalità organizzata".

E prosegue:

”Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l'attività criminale.

Per la verità, la mafia li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto.

Sulle celebrazioni pesa la recente sentenza del processo a Caltanissetta sul cosiddetto depistaggio  che ha creato amarezza tra i familiari delle vittime.

“ A breve, precisa sconsolato Salvatore Borsellino, arriverà l'abolizione del 41 bis e dell'ergastolo ostativo e sarà cambiata la legge sui collaboratori di giustizia. Mentre si proclamano eroi ne tradiscono e distruggono il patrimonio di leggi che ci avevano lasciato".

Commentando la recente sentenza del processo di primo grado a carico di tre poliziotti, che il 12 luglio ha stabilito l'assoluzione per uno di loro e la prescrizione per gli altri due, Salvatore Borsellino aggiunge: "Mi è venuto in mente la prima volta che sono stato a Caltanissetta per il processo. Stavo cercando il palazzo di giustizia e non lo trovavo. Chiesi delle informazioni a delle persone che stavano in una bar e mi risposero in dialetto: 'Il palazzo è là dietro, la giustizia non sappiamo dov'è. Purtroppo da Caltanissetta non mi aspetto verità e non mi aspetto giustizia".

Una "sentenza beffa" e una giustizia "che delude", che "tradisce la richieste di giustizia dei parenti delle vittime di mafia e di tutti i cittadini onesti ma da Caltanissetta non mi aspetto altro. Se mi aspetto è dai processi che si svolgono a Reggio Calabria, a Firenze".

Quando si tratta di rappresentanti dello Stato, "in questo Paese non è possibile avere giustizia o che lo Stato processi se stesso. O si viene assolti perchè il fatto non costituisce reato, o subentra la prescrizione. Quindi ancora una volta né verità né giustizia". 

Non è soltanto lo sfogo di un fratello, dopo 30 anni di parole e frasi retoriche. E’ il dramma dell’Italia, di una giustizia dai chiari oscuri, mentre cadono le vittime innocenti e gli omisis diventano eloquenti, ma ignorati.

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 20/07/2022