Francesco De Angelis: Un sindaco garibaldino

di Alessandro Mella

I giovani che nacquero e vissero a cavallo della metà dell’Ottocento spesso furono travolti dalla storia e da essi ammaliati fino a farsene protagonisti.

Del resto, erano tempi in cui l’idealismo si era fatto vivo e pulsante trovando diverse vie per concretizzarsi in fatti reali e materiali.

Giuseppe Garibaldi, l’eroe intrepido, si fece interprete di queste pulsioni morali ed ideali e spesso ne fu il primo condottiero assumendo il ruolo di trascinatore. Il braccio di una rivoluzione morale e nazionale che trovò nell’apostolato laico di Mazzini, nella genialità di Camillo Cavour e nella saggezza di Vittorio Emanuele II i protagonisti di una speranza di cui il generale nizzardo si fece realizzatore spesso anche a costo di andare in scontro con queste figure.

Accadde, ripetutamente, come nel caso che andiamo a raccontare.

Francesco De Angelis nacque il 21 giugno 1844 a Massa d’Albe, un felice paesello ai piedi del monte Felino, poco lontano da Avezzano. In quella terra d’Abruzzo fucina di eroi forti e generosi.

Da adolescente e da studente assistette ai grandi mutamenti del suo tempo, alla caduta dei Borbone, alla proclamazione del Regno d’Italia, alle imprese epiche compiute tra il 1859 ed il 1861 fino all’unione delle Venezie del 1866.

Francesco, nelle aule della Regia Università, fremeva leggendo sui giornali le cronache di quei fatti che tanto colpivano la sua immaginazione.

Finché venne la notizia che, non pago degli infelici fatti dell’Aspromonte del 1862, Garibaldi era di nuovo “sfuggito” alla sorveglianza dei più per radunare uomini e risorse al fine di tentare l’ennesimo colpo su Roma. La campagna garibaldina dell’Agro Romano del 1867:

Eccomi ancora con voi, prodi sostenitori dell’onore italiano, con voi per compiere il mio dovere, per aiutarvi nella più santa più gloriosa impresa del nostro risorgimento.

L'Italia si è persuasa che non può vivere senza il suo capo, senza il suo cuore, senza la sua Roma, che alcuni servili, ledendo il diritto ed il decoro nazionale, vogliono sacrificare ai capricci di un disprezzevole tiranno.

Dunque avanti! E costanza sopra tutto: io non vi chiedo coraggio, valore, perché vi conosco; vi chiedo costanza.

Gli Americani durarono quattordici anni nella lotta gloriosa, che li fece la più potente la più libera nazione del mondo.

A noi, concordi, ci bastano pochi mesi per lavare l'Italia dall’onta che la contamina voglia non voglia la tirannide assisa al Vaticano e coloro che la sostengono.

24 ottobre 1867. G. GARIBALDI (1)

Questa volta non c’era ragione per non prender parte ai fatti ed allora il nostro Francesco fuggì dall’università e si unì, finalmente, alle camicie rosse per andare a combattere per Roma italiana.

Come andarono i fatti è cosa nota, nemmeno quella volta la fortuna sorrise ai patrioti e la futura capitale rimase, temporaneamente, nelle mani di Pio IX.

Il nostro povero studente, anzi, fu perfino catturato:

Riportiamo l'elenco dei garibaldini catturati in Subiaco. Essi sono 17 e non 13 come avevamo annunziato: Giorgi Serafino, sedicente tenente, De Luca Loreto, De Massimo Biagio, Verdelotti Vincenzo, Angini Gaetano, Roberti Angelo, della Scurgola (regno di Napoli) — De Angelis Francesco, Facci Giuseppe, di Antrofano — Panara Luigi, Panara Raffaele, Santarelli Pietro, di Cerchio — Petrilli Gaetano, Magnani Giov. Battista, di Celano — De Giovanni Battista Matteo, di Marza — De Giovanni Benedetto, di Santa Maria —Pozzi Serafino, d'Ascoli Piceno — Petitta Nicola, di Cucimelo. (2)

Rientrato sconsolato e deluso, ma pur avendo preso parte ad un fatto storico rilevante, il nostro riprese gli studi per poi, a soli trentadue anni, diventare sindaco del suo paesello.

Al termine del primo mandato si prese una piccola pausa ma poi, forse acclamato dalla gente del suo borgo, tornò al ruolo di primo cittadino dal 1892 fino almeno al 1905 e nuovamente nel 1911. (3)

Fu un saggio ed oculato amministratore pubblico tanto che sotto la sua guida si poté restaurare il palazzo municipale, realizzare cinque nuove strade e tre cimiteri, undici scuole ed un asilo d’infanzia, risanare lo stato civile, il servizio medico e perfino la rete idrica delle fontane.

E si distribuirono con saggezza ed equità i pascoli del territorio comunale ad uso della popolazione. Altro piccolo prodigio a quel tempo assai prezioso.

Alle celebrazioni patriottiche o pubbliche il nostro Francesco arrivava con la sciarpa tricolore in vita, i folti baffi sul volto austero ma buono ed il medagliere al petto.

Il quale poteva vantare la medaglia commemorativa delle guerre d’indipendenza con la fascetta 1867, la medaglia per l’Unità d’Italia 1848-1870, quella del Municipio di Roma ai suoi liberatori ed infine la croce di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia conferitagli dal re.

Egli fu un esempio di quella generazione eroica di italiani che vollero lottare per la propria libertà e poi si prodigarono per contribuire alla costruzione della nazione partendo dalle piccole realtà. Applicando i valori sociali e le idee di tutta la propria esistenza.

Figure generose di cui oggi si sente molto la nostalgia, portatrici di una saggezza e di una limpidezza che in politica sarebbe bello ritrovare e riscoprire.

Alessandro Mella

NOTE

1) La Sentinella delle Alpi, 251, Anno XVII, 24 ottobre 1867, p. 2.

2) Gazzetta Piemontese, 249, Anno I, 17 ottobre 1867, p. 3.

3) I sindaci d’Italia nel cinquantenario del Risorgimento nazionale – Omaggio ai Reali d’Italia, Officina Poligrafia Editrice, Roma, 1911, p. 93.

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Articolo pubblicato il 29/08/2022