Memoria dell'Inghilterra

di Aldo A. Mola

Il partito straniero?

“Da secoli chi vuole governare in Italia deve essere gradito e invitato in un certo numero di capitali che cambiano nel tempo: Madrid e Parigi, poi Vienna e Londra, Mosca e Washington. Che poi raccolga pochi o molti voti o consensi in Italia può essere secondario...”.È il “Partito straniero” al quale “Storia in Rete” di settembre 2022 (n. 193) dedica la copertina e molti articoli firmati dal direttore Fabio Andriola e Marco Valle, da Michele Rallo e Pietro Romano, parecchio critici nei confronti di Mario Draghi , verrà con la staffilante definizione di Francesco Cossiga, ("Un vile, un vile affarista..."), Beniamino Andreatta, Romano Prodi... Ma sarà che, come scrisse l'antropologa Ida Magli (19252016), “nessun popolo è stato mai tradito dai suoi governanti in maniera così determinata, ossessiva, cinica, perversa…”?

O, al contrario, dopo l'eclissi dell'Impero romano per risalire la china i popoli d'Italia hanno dovuto evocare l'intervento dello straniero per sottrarsi ai tiranni locali? Lo hanno fatto sommando l'eredità di Roma con il nuovo fulcro della storia universale, il Papato d'Occidente. Un papa chiama in Italia Carlo re dei Franchi contro un re longobardo, che viene e imprigionato. Ma per passare da sovrano di un regno precario a Sacro Romano Imperatore Carlo deve farsi incoronare dal sommo pontefice non in un borgo d'Oltralpe ma a Roma. Perché è la città eterna a mettere in ordine tra etica e politica ea tradurre le armi in “missione”. All'indomani dello sfarinamento dell'impero carolingio,opera e via di seguito per secoli i loro successori. La consacrazione dell'imperatore è celebrata in Italia. È il papa a imprimerne il carattere sacramentale, che distingue l'impero medievale, davidico, da quello dei Cesari e degli Augusti, giuridico.

Pensare in grande e cercare conferme Oltralpe ancor più necessario in Italia dopo il fallimento delle Crociate, con la conquista definitiva dei Luoghi Santi da parte dei turchi, dalla constatazione dell'irrimediata separazione della Chiesa di Occidente da quella di Oriente e con la frantumazione del cristianesimo occidentale in cattolici apostolici romani, evangelici (dai valdesi ai calvinisti) e riformati (non solo Martin Lutero, dunque, ma anche la pletora di denominazioni “protestanti”). Il paradosso beffardo della storia fece coincidere il tramonto dell'unità cristiana dell'Occidente con l'esordio dei grandi navigatori e dei conquistatori che nel volgere di un secolo imponente il dominio dell'Europa su Americhe ed Asia: una “marcia” così travolgente, spesso spietata,che ancor oggi suscita dispute e persino la condanna senza appello di Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e dei loro emuli. La dice lunga l'imbarazzato silenzio riservato ai cinquecento anni dalla prima circumnavigazione del globo terraqueo capitanata da Magellano (caduto in combattimento nelle future Filippine) e narrata da Pigafetta.

Fu in quello stesso secolo che ogni Stato di un'Europa priva di un unico centro religioso e politico intraprendente il proprio cammino o, se si preferisce, la propria missione storica. L'Italia, protagonista nei secoli dell'Umanesimo e del Rinascimento, ripiegò nella ripetitività del barocco. Teatro delle guerre tra il cattolicissimo imperatore Carlo V d'Asburgo e il cristianissimo Francesco re di Francia, percorsa e ripercorsa da stranieri, l'Italia si adagiò tra le braccia dei vincitori prestando ai vertici del potere continentale politici abilissimi (da Mercurino di Gattinara a Giulio Mazzarino) e principesse raffinate (come Caterina e Maria de' Medici, regine di Francia).

 

L'ascesa dell'Inghilterra a impero marittimo 

In quegli stessi secoli si risolse il duello tra le due potenze marinare emergenti: gli Olandesi e gli Inglesi. A sterzare la rotta di Londra nella storia fu Enrico VIII, che da “defensor fidei” divenne capo della chiesa anglicana, ribelle nei confronti di Roma. Con le nozze tra l'inglese Maria (“la Sanguinaria”) e Filippo II d'Asburgo re di Spagna, l'Inghilterra rischia di divenire una “provincia” del regno iberico sul cui impero il sole non tramontava mai. Fu un attimo. Dall'indomani Londra imboccò la strada dell'autocefalia, con Elisabetta I, la “vergine regina” cantata come Astrea, simbolo della Giustizia opposto agli intrighi della terraferma, succuba del binomio Cesare e Piero, che quasi tre secoli dopo ancora indignerà Giosue Carducci nel sonetto in morte di Ugo Bassi,

Per affermare l'identità dell'Inghilterra la regina Elisabetta non esitò a far decapitare Maria Stuarda, regina di Scozia, a far torturare a morte i gesuiti che cadevano in potere del controspionaggio inglese ed a valersi della “guerra da corsa” di Francis Drake, secondo circumnavigatore del mondo, e di Raleigh. Nel volgere di due secoli, sconfitta la possente marineria dei Paesi Bassi, spogliati dei capisaldi del loro dominio coloniale (dalla baia di Hudson alla Città del Capo), l'Inghilterra divenne capofila della nuova civiltà politica, studiata, compresa e propugnata da Montesquieu, Voltaire e dagli enciclopedisti francesi, alimentati e sospinti dalla Buona Novella della sorgente massoneria britannica, prontamente diffusa da Calcutta a Firenze, dalla Napoli di Raimondo Sangro di San Severo alla Vienna di Francesco Stefano di Lorena,

Il mondo mutò a ritmo accelerato con la prima rivoluzione industriale e l'enunciazione dei capisaldi etici e politici del Nuovo Mondo, formulata dalla dichiarazione di indipendenza da Londra delle colonie britanniche nella Nuova Inghilterra, punto di partenza dell'ascesa di una nuova potenza, gli Stati Uniti d'America, che in due secoli e mezzo sono divenuti la prima potenza del pianeta.

Poiché il corso della grande storia si misura sulle lunghe distanze, bene si comprende perché le avanguardie culturali italiane anche hanno guardato (e ancora guardino) con ammirazione a quanto emergeva su orizzonti lontani, grazie a politici che al di là della Manica e dell'Atlantico studiavano appassionatamente gli illuministi italiani come Galliani, Filangeri e Pagano. 

Giuseppe Garibaldi, anglofilo che non parlava inglese

“Se avevi più discernimento avessi ed avrei potuto indovinare le future relazioni con gli inglesi, io avrei potuto studiare più vicini alla loro lingua, ciocché potevo col mio secondo maestro, il padre Giaume, prete nella spregiudicato e versatissimo nella bella lingua di Byron. Io ebbi semper un rimorso di non aver dovuto studiatomente inglese, quando lo potevo, rimorso rinato in ogni circostanza della mia vita in cui mi son trovato cogli Inglesi”. Lo scrisse Giuseppe Garibaldi (Nizza Marittima, 4 luglio 1807 - Caprera, 2 giugno 1882) nel primo capitolo delle “Memorie”. In molte sue opere, specie nei romanzi, come “Clelia o il governo del monaco” (Torino, ed. Meb, collana diretta da Giovanni Arpino) l' Eroe dei due mondi tenne a ringraziare gli inglesi per i tanti provvidenziali interventi a sostegno delle sue battaglie per la libertà. Lo ripeté anche a proposito dello sbarco dei Mille a Marsala: “La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de' legni nemici (cioè di Francesco II di Borbone, NdA), naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. Fu però inesatta la notizia data da nemici nostri, che gl'inglesi trovati favorito lo sbarco in Marsala direttamente, e coi loro mezzi.

I rispettati e potenti colori della Gran Bretagna, sventolando su due legni di guerra della potentissima marina e sullo stabilimento Ingham (per la produzione ed esportazione del vino marsala, NdA) impostoro titubanza ai mercenari del Borbone e dirò anche vergogna...”. Lo ripeté anche a proposito dello sbarco dei Mille a Marsala: “La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de' legni nemici (cioè di Francesco II di Borbone, NdA), naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. Fu però inesatta la notizia data da nemici nostri, che gl'inglesi trovati favorito lo sbarco in Marsala direttamente, e coi loro mezzi. I rispettati e potenti colori della Gran Bretagna, sventolando su due legni di guerra della potentissima marina e sullo stabilimento Ingham (per la produzione ed esportazione del vino marsala, NdA) impostoro titubanza ai mercenari del Borbone e dirò anche vergogna...”.

Lo ripeté anche a proposito dello sbarco dei Mille a Marsala: “La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de' legni nemici (cioè di Francesco II di Borbone, NdA), naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. Fu però inesatta la notizia data da nemici nostri, che gl'inglesi trovati favorito lo sbarco in Marsala direttamente, e coi loro mezzi. I rispettati e potenti colori della Gran Bretagna, sventolando su due legni di guerra della potentissima marina e sullo stabilimento Ingham (per la produzione ed esportazione del vino marsala, NdA) impostoro titubanza ai mercenari del Borbone e dirò anche vergogna...”. “La presenza dei due legni da guerra influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de' legni nemici (cioè di Francesco II di Borbone, NdA), naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. Fu però inesatta la notizia data da nemici nostri, che gl'inglesi trovati favorito lo sbarco in Marsala direttamente, e coi loro mezzi. I rispettati e potenti colori della Gran Bretagna, sventolando su due legni di guerra della potentissima marina e sullo stabilimento Ingham (per la produzione ed esportazione del vino marsala, NdA) impostoro titubanza ai mercenari del Borbone e dirò anche vergogna...”. “La presenza dei due legni da guerra influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de' legni nemici (cioè di Francesco II di Borbone, NdA), naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. Fu però inesatta la notizia data da nemici nostri, che gl'inglesi trovati favorito lo sbarco in Marsala direttamente, e coi loro mezzi. I rispettati e potenti colori della Gran Bretagna, sventolando su due legni di guerra della potentissima marina e sullo stabilimento Ingham (per la produzione ed esportazione del vino marsala, NdA) impostoro titubanza ai mercenari del Borbone e dirò anche vergogna...”.

Perché gli inglesi scommisero su Garibaldi? Lo avevano fatto da decenni con altri capitani di libertà, come Francisco Miranda, Simón Bolívar ei “libertadores” che, iniziati in logge lautarine e perfezionati in Inghilterra, avevano smantellato il domino ispanico sull'America Latina, compreso il Brasile. Detto inciso, in Italia quasi nessuno per aver lasciato il bicentenario della nascita del Brasile indipendente, con la separazione della sua corona da quella del Portogallo (agosto 1822), preludio all'affermazione del principio “l'America agli americani”, enunciato nel 1823 dal presidente degli Stati Uniti James Monroe.

Con la lunga guerra contro il dominio continentale di Napoleone I, direttamente e direttamente l'organizzazione tramite l'organizzazione dei francesi da Londra, sia con l'organizzazione delle coalizioni antibonapartistiche Wellington e indiretto alla guerriglia degli spagnoli contro gli occupati capitanati da Giuseppe Bonaparte, gli inglesi si erano erti a campioni mondiali della lotta contro la tirannide napoleonica senza cadere nell'errore opposto, cioè la repressione delle libertà, voluta invece dalla Restaurazione imposta nel 1815 dalla Santa Alleanza: rifiuto e annientamento delle costituzioni liberali.

L'“Inghilterra” (come era comunemente detto il Regno di Gran Bretagna e Irlanda) divenne insomma la centrale della cospirazione liberale contro l'assolutismo “del trono e dell'altare”. È curioso sia accaduto, perché il sovrano britannico è anche capo della Chiesa anglicana nonché, quando maschio, gran maestro della Gran Loggia Unita d'Inghilterra sorta nel 1813 dalla fusione tra massoni “antichi” e “moderni”. Racchiude, in sintesi, potere politico, religioso, iniziatico: il nuovo ciceroniano “genus mixtum” necessario per un impero universale fondato sulla libertà dei mari e la lotta contro l'avvento nell'Europa continentale di un'unica potenza egemone o di un blocco di potere deciso a fare del Mediterraneo un lago dei Paesi rivieraschi.

L'Inghilterra divenne approdo dei liberali in fuga dall'assolutismo. Fu il caso di Ugo Foscolo che affidò al mite Silvio Pellico la cura delle poche cose lasciate a Milano e poi dei “settari” (carbonari, massoni, adelfi, federati...) scampati ad arresti, torture condanne a morte o al carcere duro . Bastino d'esempio Federico Confalonieri (iniziato massone in Inghilterra dal fratello del re), Giorgio Pallavicino, Piero Maroncelli, Pellico... Infine la Gran Bretagna accolse i liberali italiani dopo il fallimento dei moti costituzionali del 1820-1821. Tra loro merita memoria Santorre di Santa Rosa, il cui pensiero politico è ora approfondito da Stefano Passaggio nel saggio sul neoguelfismo nel secolo liberale (Ed. Centro Studi Piemontesi). Negli stessi anni Londra sostenne moderatamente la guerra dei greci per l' indipendenza dai turchi (vi caddero Santa Rosa e lord Byron), ma con l'obiettivo strategico di non aprire gli Stretti tra Mar Nero ed Egeo all'impero russo, erede di quello di Bisanzio. Quella “partita” trent'anni dopo si concretò nella guerra contro l'impero zarista da parte dell'alleanza anglo-franco-turca, affiancata dal regno di Sardegna, con sovrano il trentaquattrenne Vittorio Emanuele II e primo ministro il conte Camillo Cavour.

 

L'alba di un "partito dello Stato d'Italia"

L'amicizia italo-britannica, che albeggiava dai tempi di Vittorio Amedeo II, asceso da duca di Savoia a re di Sicilia, inaugurò il nuovo corso che ebbe in Garibaldi l'uomo-simbolo: guerrigliero, corsaro, generale, condottiero, capace di parlare ai popolani e con i sovrani.

Se ne ebbe conferma con il suo viaggio trionfale in Gran Bretagna nel marzo-aprile 1864. La sua narrazione si è quasi sempre fermata alla descrizione dei banchetti organizzati in suo onore dalla duchessa di Anna Hay di Sutherland e da suo marito, George Granville Leveson- Gower, che lo misero a contatto con aristocratici, ministeri, ecclesiastici (incluso l'arcivescovo di Canterbury), lord Russell, Palmerston, Florence Nightingale... La polizia aveva previsto che accoglie l'Eroe si raccoglie 100.000 persone. Ne affluirono almeno mezzo milione. Ma qual era la missione di Garibaldi in Inghilterra nell'anno della fondazione della Prima internazionale “socialista”? Tanti ammira i suoi biografi ricordano che Garibaldi rifiutò il dono in danaro raccolto dai suoi ammiratori, ma accettò quanto necessario per acquistare completamente Caprera. “Parva sed apta mihi”, l'isola divenne il suo regno incontrastato. li muoveva le acque d'Europa, accettava e rifiutava missioni impossibili come arrivare a capo di un'impero Da nei Balcani contro l'impero d'Austria: avventura sconsigliata dal lungimirante Adriano Lemmi, il “banchiere della rivoluzione”, che temeva fosse una trappola mortale.

Mentre scriveva lettere a Louis Blanc, Victor Hugo, Benedetto Cairoli, Gioacchino Paternò Castello e in casa del rivoluzionario russo Herzen incontrava Giuseppe Mazzini e altri illustri esuli, Garibaldi stava mettendo a punto una grande riforma, enunciata in una lettera alla duchessa di Sutherland: il dispotismo e far trionfare la pace. “Nell'avvenire la guerra tra le nazioni è impossibile e tutte le differenze internazionali si giudicheranno da questo areopago universale”. Era il caposaldo da lui enunciato tre anni dopo al congresso per il ritmo svoltosi a Basilea. “Coll'unità politica e religiosa poco importerà l'essere nati sulle sponde del Tamigi, della Senna o del Tebro. L'uomo avrà per patria il mondo; i capitali delle nazioni saranno impiegati alla loro prosperità, non alla loro distruzione, e cesseranno, finalmente, quei macelli umani che si chiamano guerre ed a cui ci spinge da tanti secoli il dispotismo. Conclusione. Se per la politica l'uomo continua, come sembra, nell'incapacità di migliorare, si spinga avanti la donna a surrogarlo a stimolarlo almeno sulla via del bene. Per i motivi suddetti si spiega perché io cerco di mantenermi al di fuori dei partiti politici, come delle differenze credenze religiose.

Fra i due principi del bene e del male, io mi attengo conforme al dettame della mia coscienza”. Quanto alla religione, osservava l'“unica e generale credenza nell'Onnipotente, scevra da qualunque interpretazione che non capisco. In poche parole alla religione della Verità, senza misteri o rivelazioni” (Da Caprera, 18 giugno 1864). Conclusione. Se per la politica l'uomo continua, come sembra, nell'incapacità di migliorare, si spinga avanti la donna a surrogarlo a stimolarlo almeno sulla via del bene. Per i motivi suddetti si spiega perché io cerco di mantenermi al di fuori dei partiti politici, come delle differenze credenze religiose. Fra i due principi del bene e del male, io mi attengo conforme al dettame della mia coscienza”. Quanto alla religione, osservava l'“unica e generale credenza nell'Onnipotente, scevra da qualunque interpretazione che non capisco. In poche parole alla religione della Verità, senza misteri o rivelazioni” (Da Caprera, 18 giugno 1864). Conclusione. Se per la politica l'uomo continua, come sembra, nell'incapacità di migliorare, si spinga avanti la donna a surrogarlo a stimolarlo almeno sulla via del bene. Per i motivi suddetti si spiega perché io cerco di mantenermi al di fuori dei partiti politici, come delle differenze credenze religiose.

Fra i due principi del bene e del male, io mi attengo conforme al dettame della mia coscienza”. Quanto alla religione, osservava l'“unica e generale credenza nell'Onnipotente, scevra da qualunque interpretazione che non capisco. In poche parole alla religione della Verità, senza misteri o rivelazioni” (Da Caprera, 18 giugno 1864). Per i motivi suddetti si spiega perché io cerco di mantenermi al di fuori dei partiti politici, come delle differenze credenze religiose. Fra i due principi del bene e del male, io mi attengo conforme al dettame della mia coscienza”. Quanto alla religione, osservava l'“unica e generale credenza nell'Onnipotente, scevra da qualunque interpretazione che non capisco. In poche parole alla religione della Verità, senza misteri o rivelazioni” (Da Caprera, 18 giugno 1864). Per i motivi suddetti si spiega perché io cerco di mantenermi al di fuori dei partiti politici, come delle differenze credenze religiose. Fra i due principi del bene e del male, io mi attengo conforme al dettame della mia coscienza”. Quanto alla religione, osservava l'“unica e generale credenza nell'Onnipotente, scevra da qualunque interpretazione che non capisco. In poche parole alla religione della Verità, senza misteri o rivelazioni” (Da Caprera, 18 giugno 1864).

Rivolto il saluto al popolo inglese (22 aprile 1864) e tornato in patria, Garibaldi si dedicò all'unificazione delle sparse membra della massoneria italiana per farne l'interlocutore di quella britannica e la spina dorsale del “partito dello Stato” di cui la Corona di Vittorio Emanuele II aveva bisogno mentre il giovane regno d'Italia ancora mancava di Venezia, Roma, Trento, Trieste... e nel Mezzogiorno imperversava il grande brigantaggio alimentato dall'estero e lo Stato (a cominciare dal re e dai suoi ministeri) erano “scomunicati” da Pio IX. In quel programma proponiamo la costituzione di logge femminili.

Il compito era immane. Per realizzarlo secondo Garibaldi l'Italia doveva guardare a due modelli: l'Inghilterra e la Svizzera, “impero” e federazione, pluralismo e unità.

Nato dalla benevola connivenza della Francia di Napoleone III e della Gran Bretagna della Regina Vittoria, imperatrice delle Indie, l'Italia non doveva aver paura di “influenze” o “infiltrazioni” straniere. Anzi, doveva guardare all'estero per liberarsi del vecchiume che ne tarpava le ali.

Per quei non tanto lontani trascorsi l'Italia odierna guarda con ammirazione il modello politico-culturale britannico che concilia tradizione e innovazione, con equilibrio: una catena d'unione di uomini liberi, senza retorica, capaci di ideali.

Aldo A. Mola

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Articolo pubblicato il 12/09/2022