L'Abbazia di Altacomba: Un luogo pieno di storia ed emozioni

Di Alessandro Mella

Partimmo da Chambery di buon’ora ed io ero, lo confesso, assai emozionato. Mi toccava il cuore l’idea di poter visitare, finalmente, un luogo di cui tanto ed in tanti mi avevano parlato.

Un pezzo di tangenziale, poi su per quelle specie di colline che dominano il lago, poi giù lungo la via e tanto attesa eccola, poco distante, l’Abbazia.

Finalmente giungemmo ad Hautecombe dove trovammo subito, era un giorno in settimana, il parcheggio. Ci avviammo verso l’ingresso mentre riconoscevo scorci ed angoli visti tante volte nelle foto, in specie quelle del 1983.

Altacomba fu fondata nel medioevo per volontà di Amedeo III conte di Savoia, il quale ne volle la costruzione:

Amedeo III scelse per sepoltura della sua famiglia la badia di Altacomba. Essa sorge ai piedi di un poggio chiamato du Chat si pretende da mezzodì a settentrione del lago del Bourget presso Aix-les-Bains. Fu edificata dalla pietà di Amedeo III nel 1125, convertita dalla rivoluzione in una fabbrica di stoviglie, ristorata e riconsacrata alla memoria degli avi dal re Carlo Felice, che vi fu sepolto nel sito da lui stesso designato presso l’entrata della cappella di Belley. (1)

Da quel momento in poi furono diversi i Savoia che vi si fecero seppellire al momento della propria scomparsa. Con il tempo, un poco per le commende e forse un poco per lo spostamento della capitale da Chambery a Torino nel XVI secolo, l’avvenire dell’Abbazia prese a farsi precario ed incerto.

Nondimeno sopravvisse, seppur faticosamente, fino alla rivoluzione del 1789 quando i giacobini ne violarono i sepolcri facendone poi un opificio di maioliche che operò fino al periodo imperiale salvo cessare le attività già nel 1807. Ci volle il ritorno dei Savoia a Torino, dopo l’esilio sardo, e l’ascesa al trono di Carlo Felice perché il luogo trovasse l’occasione per rifiorire. Fu suo merito l’aver restituito speranza e futuro all’antica Abbazia ove volle essere sepolto e dove riposa oggidì con la sua regina Maria Cristina di Borbone.

La maggior parte dei suoi successori, alla sua morte salì al trono il ramo cadetto dei Carignano con Carlo Alberto, venne invece tumulata a Superga fino alla proclamazione del Regno d’Italia.

Quando entrammo nella chiesa, lunga 70 metri e larga quasi 30, provammo un brivido di fronte alla grandezza di quella struttura in gotico-romanico ove ogni angolo pareva celare una statua, un monumento, un motivo araldico, un cenotafio e così via. Ma ci colpirono, soprattutto, le statue di Carlo Felice opera del Cacciatori e quella di sua moglie Maria Cristina opera dell’Albetoni.

Osservammo con attenzione le lastre tombali dei conti Aimone, Amedeo IV, Amedeo V, Amedeo VI, Filiberto I, Filippo I e II e di Umberto III le quali erano tutto ciò che si era conservato delle loro tombe profanate dalla furia rivoluzionaria.

Tuttavia, l’emozione forse maggiore noi la provammo all’ingresso di fronte alle tombe di Umberto II, morto in infausto esilio nel 1983, e di sua moglie Maria Josè.

Ci fu un breve momento, nel corso della storia in cui suo padre, Vittorio Emanuele III, sembrò poter trovare riposo proprio ad Altacomba. Ma, forse perché solo indiscrezione giornalistica o forse perché saltarono le trattive, egli restò in Egitto fino al 2017 quando la sua salma fu ricondotta in patria per essere ospitata a Vicoforte, il santuario di Mondovì. Nondimeno, l’ipotesi finì almeno sui giornali:

Entro un anno ad Altacomba le spoglie di Vittorio Emanuele. Un telegramma del Pontefice ad Umberto. Alessandria d'Egitto, venerdì sera. Umberto di Savoia si tratterrà in Egitto tre settimane. Domani si recherà, al Cairo per ringraziare personalmente re Faruk degli onori resi al padre e della partecipazione egiziana ai funerali.

I circoli che sono a contatto con l'ex-sovrano ritengono che il trasferimento delle spoglie di Vittorio Emanuele all'abbazia di Altacomba presso il lago Bourget, possa avvenire entro un anno, previo accordo col Governo francese. Monsignor Enrici, segretario del Nunzio Pontificio, ha autorizzato la pubblicazione del messaggio di condoglianze inviato dal Pontefice al conte Umberto di Sarre, in occasione della morte dell'ex re d'Italia.

Il telegramma così concepito: «A Sua Maestà Umberto di Savoia - Alessandria. - Possa il profondo dolore, che ha colpito la Maestà Vostra e la Vostra Augusta Madre nei più sacri affetti familiari, essere alleviato dal lutto e dalle pie preghiere con cui noi accompagniamo verso Dio colui che nel nome di Dio concluse l'ardua fatica della vita terrena, e dall'Apostolica Benedizione con la quale noi invochiamo la misericordia divina per una così grave perdita. Firmato: Pio XII». (2)

Nel 1983, come abbiamo detto, vi trovò posto anche la tomba del defunto re Umberto II:

Nell'abbazia ricostruita da Carlo Felice riposerà vegliato da 40 benedettini DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CHAMBERY - «Siamo i benedettini neri di Francia, della congregazione di Solesmes. Tutti neri, fuorché nel cuore». Il giovane cistercense nella lunga veste corvina, che vive nell'abbazia con altri 40 confratelli di Hautecombe sotto la assoluta autorità della regola e dell'abate Michel Pascal, sorride serafico. No, non ci sono candide cocolle. Non c'è nulla di bianco, se non i marmi di Carrara dell'abbazia e i due cigni che fendono le acque del lago di Bourget, piatte e plumbee come l'ardesia. I fianchi della montagna sono scarni, bruciati dalla siccità, le cime dei monti all'intorno incappucciate di grigio. Da ieri, la salma di Umberto II, ex re d'Italia, è qui.

La sua sarà la nona tomba dei Savoia che riposano tra le mura dell'abbazia. Ma vi sono altri 22 cenotafi, vuoti monumenti di splendore che incarnano il sogno di restaurazione che illuse gli anni estremi di Carlo Felice, il re riportato al trono dal Trattato di Vienna, l'ultimo, il più acre e disperato dei tre fratelli con cui si estinse il ramo primogenito di Casa Savoia.

Quando era salito al trono, nel 1821, dell'abbazia restavano soltanto romantiche rovine ammantate d'edera. Avevano subito in tutto il loro rigore le leggi della Costituente rivoluzionarla sui beni ecclesiastici. Saccheggiati gli oggetti preziosi per una somma oggi incalcolabile, condannate alla fonderia le campane, le cancellate, le statue di bronzo, per gettare cannoni (in tutto si ricavarono 112 quintali di metallo), raso al suolo il campanile da cui s'alzava nei cieli della Savoia un appello alla preghiera.

Violate anche le tombe, in cui per due secoli i Savoia avevano trovato riposo, l'abbazia fu trasformata in una fabbrica di maioliche. Ma dopo pochi anni ne restava in piedi soltanto qualche rudere. Uomini e donne del bel mondo, scrittori di talento, vi si davano appuntamento, l'Europa romantica curava il suo spleen tra le antiche mura diroccate.

Finché, dopo il suo avvento al trono, Carlo Felice non tornò tra le mura dell'antica necropoli della sua dinastia, nel 1824, e deciso di resuscitare l'abbazia al suo antico splendore, con la stessa imperiosa volontà di restaurazione con cui aveva fatto sparare dal generale austriaco Bubna sulle truppe insorte sotto le mura di Novara.

I lavori furono affidati all'architetto torinese Ernesto Melano, allo scultore lombardo Bendetto Cacciatori, allievo del Canova, che scolpi la maggior parte delle statue oggi contenute nella chiesa, più di duecento; a pittori come Francesco Gonin e il milanese Luigi Vacca: purtroppo, delle antiche ricchezze della chiesa sono rimaste soltanto alcune tele della scuola di Defendente Ferrari e tavole d'altare di scuola senese.

I lavori di restauro furono proseguiti, dopo la morte di Carlo Felice, dalla vedova Maria Cristina di Borbone, figlia del re di Napoli, che lo raggiunse dopo la morte nel sepolcro dentro l'abbazia.

Si cercò di conservare alla chiesa lo stile gotico «flamboyant» che Carlo Felice prediligeva. Ma si è trasformato in un gotico «troubadour», romanico, pesante, carico di trine e di volute di marmo, di stucchi, di decorazioni. E, soprattutto, restò un grande mausoleo vuoto.

Soltanto sei delle antiche tombe furono trovate ancora intatte: quelle di Umberto il Santo, morto nel 1189; del beato Bonifacio di Savoia, arcivescovo di Canterbury, morto nel 1270; di Luigi I di Savoia, barone di Vaud, morto nel 1302 e della sua sposa Jeanne di Montfort; di Aimone il Pacifico, morto nel 1343, e di sua moglie Jolanda. Ma soltanto cenotafi sono oggi sotto lo splendore dei marmi di Carrara, le sepolture di Anne Clémence de Zaeh ringen, seconda moglie di Umberto il Santo, che fu la prima ad essere seppellita nell'abbazia nel 1162; del conte Pietro II, detto il piccolo Carlomagno, che fu beniamino alla Corte d'Inghilterra del conte Edoardo, detto il Liberale per la sua prodigalità; di Amedeo VI, il conte Verde; di Amedeo VII, il conte Rosso, del duca Filiberto I il Cacciatore, del duca Filippo il Senza Terra. Di altri 14 membri della dinastia c'è soltanto più il nome, su una lapide. Giorgio Martinat (3)

In ogni caso il luogo merita, sia che si nutra affezione per le ragioni storiche che lo caratterizzano, sia per puro turismo, di essere visitato ed apprezzato. Le rive del lago, i boschi poco lontani, le antiche mura, rendono il contesto incantevole e rasserenante. Si presta per la meditazione e la contemplazione della storia. Con il raro vantaggio, pur trovandosi in terra di Francia, di essere abbastanza vicino a quell’Italia così legata alle pagine di storia che Hautecombe rappresenta.

Alessandro Mella

NOTE

1) Gazzetta di Mondovì, 14, Anno X, 31 gennaio 1878, p. 3.

2) Nuova Stampa Sera, 2, Anno II, 2-3 gennaio 1948, p. 1.

3) La Stampa, 66, Anno CXVII, 20 marzo 1983, p. 7.

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Articolo pubblicato il 16/11/2022