Artemide Zatti, santo salesiano (prima parte)
La famiglia Zatti a Bernal

Da Boretto (Reggio Emilia): immigrato, credente, salesiano

«Il mosaico dei nostri santi e beati, pur essendo abbastanza ricco quanto a rappresentatività -Fondatore, Cofondatrice, Rettori Maggiori, missionari, martiri, sacerdoti, giovani – era ancora privo del tassello prezioso della figura di un coadiutore. Ora anche questo si sta realizzando». Così don Juan Edmundo Vecchi (1), ottavo Successore di Don Bosco, cominciava la sua lettera in occasione della beatificazione di Artemide Zatti.

Se al “mosaico dei nostri santi” (i santi salesiani) mancava una tessera, oggi il mosaico completa la sua forma: il 9 ottobre 2022 Papa Francesco ha canonizzato Artemide Zatti, coadiutore salesiano, infermiere, emigrato italiano in Argentina. Per entrare in confidenza con quest’uomo, è bene riportare una testimonianza personale, piena di profondità spirituale e di fede, da lui resa nel 1915 a Viedma (Argentina), in occasione dell’inaugurazione di un monumento funerario sulla tomba di padre Evasio Garrone (1861-1911), benemerito missionario salesiano (2).

«Se io sto bene, sono sano e in condizione di fare un po’ di bene al mio prossimo infermo, lo debbo al Padre Garrone, Dottore, che vedendo peggiorare di giorno in giorno la mia salute, essendo io affetto da tubercolosi con frequenti emottisi, mi disse decisamente che, se non volevo finire come molti altri, facessi una promessa a Maria Ausiliatrice di rimanere sempre al fianco suo, aiutandolo nella cura degli infermi, che egli, confidando in Maria, m’avrebbe guarito.

CREDETTI, perché sapevo per fama che Maria Ausiliatrice lo aiutava in modo visibile.

PROMISI, perché sempre fu mio desiderio essere d’aiuto in qualcosa al mio prossimo.

E, avendo Dio ascoltato il suo servo, GUARII. [Firmato] Artemide Zatti».

Un immigrato, dicevamo. Artemide Zatti ha vissuto lo sradicamento, l’emigrazione, pesanti limiti economici che lo costringono a smettere di studiare per lavorare, e le tante difficoltà a farsi strada nella comunità. Questi aspetti di povertà materiale lo aiuteranno a capire più a fondo i dolori e i bisogni dei poveri, non solo fra gli immigrati.

Riportiamoci a quella Italia lontana che, nella seconda metà del XIX secolo, subisce una grave crisi che colpisce piccoli agricoltori e mezzadri, un intero sistema sociale. Il processo di inurbamento, lo spostamento dalla campagna alla città causato dall’industrializzazione, insieme alla concentrazione della proprietà rurale e alla crescita della povertà, spingono molti contadini italiani a lasciare terre e cascinale e ad emigrare, in maggioranza verso l’America. Dei 52 milioni di europei emigrati tra il 1830 e il 1930, circa 11 milioni sbarcano in America Latina, e la maggior parte di essi proveniva dal nord di due nazioni allora più arretrate e povere di altre del Vecchio Continente: Italia e Spagna. La metà circa dei nostri emigrati, circa 5 milioni, si stabilisce in Argentina.

Andiamo a conoscere le sue radici e il suo paese natio, Boretto (Reggio Emilia). Terzo di otto fratelli, figli dei contadini Luigi Zatti e Albina Vecchi, Artemide nasce a Boretto il 12 ottobre 1880, in una casa in via de Rossi a Santa Croce, dove oggi è lo ricorda una lapide; quasi subito sperimenta la durezza del lavoro e del sacrificio, tanto che a nove anni già si guadagna la giornata da bracciante.  La sua famiglia, come tante altre in quel periodo, vede nell’America una via d’uscita; le informazioni dei parenti che vi erano già emigrati sono entusiaste. In particolare, lo zio Giovanni Zatti, che si era stabilito a Bahía Blanca, farà da “richiamante”. Le catene migratorie, le reti di conoscenze e l’identità etnica e religiosa permettevano di convogliare le notizie e suggerire nuove opportunità di lavoro, molto lontano da casa. Costretta quindi dalla povertà, la famiglia Zatti agli inizi del 1897 decide di emigrare in Argentina.

Gli Zatti arrivano in Argentina il 7 febbraio e si stabiliscono a Bahía Blanca, allora una piccola città nel sud della provincia di Buenos Aires. Nel 1914, Artemide ottiene la “carta di cittadinanza” come cittadino della Repubblica Argentina. Solo nel 1934, in occasione della canonizzazione di Don Bosco, tornerà in Italia e rivedrà Boretto, il suo paese natale. In Argentina, il giovane Artemide frequenta la parrocchia retta dai Salesiani, trovando nel parroco don Carlo Cavalli il suo direttore spirituale: è lui ad orientarlo verso la vita salesiana. A vent’anni entra nell’aspirantato a Bernal; mentre assiste un giovane sacerdote affetto da tubercolosi, contrae anche lui la stessa malattia. L’interessamento paterno di don Cavalli fa sì che Artemide possa curarsi presso la Casa Salesiana di Viedma, dove c’era un clima più adatto e un ospedale missionario con un bravo infermiere salesiano che in pratica fungeva da “medico”: proprio quel padre Evasio Garrone che tanto colpirà il giovane Artemide.

Don Bosco aveva pensato i Salesiani Coadiutori come presenza educativa ravvicinata tra i giovani e nei settori popolari, in un contesto sociale (quello dell’Italia all’inizio della rivoluzione industriale) in cui c’è mancanza di empatia fra il popolo e tutto ciò che è “religioso”, “conventuale” o “claustrale”. Questa semplicità e l’assenza di “forme” ecclesiastiche nei Salesiani Coadiutori – che non riguarda solo l’abito o i compiti da svolgere, ma anche il modo di pensare, di guardare al mondo come un luogo in cui cresce e si sviluppa il Regno di Dio – permettono loro di essere vicini e di raggiungere ambienti e persone che, altrimenti, rimarrebbero per sempre lontani dalla fede.

Un episodio del 1940 ci introduce alla seconda parte della sua vita, dopo la gioventù e la formazione: l’avviamento alla santità ordinaria e quotidiana, attraverso l’esercizio della professione di infermiere. Spostiamoci idealmente a Viedma, intorno al 1940. Da qualche anno il salesiano coadiutore Artemide Zatti è l’anima dell’ospedale “San José” che i salesiani gestiscono dalla fine del secolo XIX in questa città della Patagonia argentina. Un povero mezzadro è ricoverato in ospedale da diversi mesi. Era grato per quanto Artemide Zatti aveva fatto per la sua salute e per tutta la sua persona – senza chiedergli nulla, poiché non era in grado di pagare. Vuole esprimergli la sua gratitudine. Non sapendo come fare, gli dice: “Grazie di tutto, sig. Zatti. La saluto e porgo tanti saluti anche a sua moglie, anche se non ho il piacere di conoscerla…”. “Neanch’io” rispose Zatti ridendo.

Le infermiere che a volte lo sorprendono alle 5:30 del mattino, prima della preghiera con la comunità salesiana, prostrato nella cappella con il viso a terra in atteggiamento di profonda preghiera, sanno dove Zatti trova la forza per continuare a percorrere il suo cammino, spesso accidentato e difficile, sempre al servizio degli altri: nella sua fede in Dio.

Si ringrazia l'Archivio Storico Salesiano per la concessione fotografica.

Note

(1) Juan Edmundo Vecchi (Viedma, 23 giugno 1931 – Roma, 23 gennaio 2002). Sacerdote salesiano argentino, è stato rettor maggiore dal 1996 al 2002. Studia teologia a Torino, ordinato sacerdote il 1º luglio 1958. Tornato in patria, lavora presso le case della Congregazione a Fortín Mercedes e a Bahía Blanca; ricopre le cariche di Superiore dell'Ispettoria salesiana della Patagonia settentrionale e Superiore della regione Argentina-Brasile-Uruguay-Paraguay. Nel 1990 il Rettor Maggiore Egidio Viganò lo sceglie quale vicario: quando Viganò, nel 1995, non è più in grado di reggere l'istituto per motivi di salute, Vecchi lo sostituisce e il 20 marzo 1996 viene eletto Rettor Maggiore (il primo non italiano a ricoprire tale carica).

(2) Evasio Garrone (Grana, 9 novembre 1861 – Viedma 8 gennaio 1911). Entra all’Oratorio di Torino a 18 anni e diventa salesiano. Parte per la Patagonia nella prima spedizione di missionari voluta dal don Bosco, insieme a Mons. Cagliero e fonda una Farmacia e un Ospedale salesiano a Viedma. Per i suoi numerosi servizi di medico, il governo argentino lo nomina Dottore in Medicina honoris causa e, con l’approvazione della Chiesa, esercita in pubblico la professione medica. Vuole essere sepolto a Viedma; il 23 maggio 1915 sulla sua tomba s’inaugura un monumento marmoreo eretto a cura di un apposito Comitato di ammiratori.

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Articolo pubblicato il 02/12/2022