A tavola con Renzo e Lucia

Un percorso di lettura dei Promessi Sposi focalizzato sui cibi citati nel celebre romanzo

Prima parte

Cadono quest’anno i centocinquant’anni dalla morte di Alessandro Manzoni, uno tra gli autori più amati/odiati nella storia della letteratura. Il suo romanzo, inserito tra i testi tradizionalmente letti a scuola, ha per questo la fortuna di essere letto da un pubblico sempre più vasto, ma subisce anche gli svantaggi inevitabilmente legati ad una lettura scolastica, a priori considerata pesante, imposta e lontana nel tempo e nel gusto. Basterebbe avvicinarsi alla vicenda dei Promessi Sposi come a quella di un amore contrastato come tanti altri nella vita e nella letteratura per accorgersi di quanto siamo vittime di uno sciocco pregiudizio; oppure curiosare qua  e là tra le pagine alla ricerca di nuovi dettagli, magari non ancora ricoperti dalle vesti paludate della critica più pedante Cattolica di Milano.

Pensiamo per esempio a cosa si mangia nei Promessi Sposi, come ha fatto Diana Perego, una brillante studiosa con un piede al liceo e uno all’università Cattolica di Milano, in un articolo pubblicato nel 2019. In attesa che decida sul da farsi, godiamoci la sua analisi dei cibi che compaiono nei Promessi Sposi.  Uno tra i pregiudizi più diffusi è che i personaggi manzoniani mangino solo pane e polenta.

Niente di più falso. Cominciamo con i primi, con il brodo di cappone, per esempio Quando Lucia arriva a casa del sarto, una volta liberata dall’Innominato ormai convertito, la padrona di casa le offre una scodella di brodo di cappone accompagnata da fette di pane. Il cappone non era certo un cibo per tutti all’epoca, come sa bene la donna, consapevole della fortuna della sua famiglia rispetto “ a quei poveri che stentano a aver pane di vecce e polenta di saggina”, due cereali in genere usati come mangimi per gli animali, ma in quel momento  di bisogno consumati anche dagli uomini . Oppure pensiamo alla minestra di riso, probabilmente il cosiddetto  “riso e prezzemolo” ancora diffuso nelle campagne lombarde; è ciò che viene distribuito a Milano dal cardinale Federigo Borromeo ai più poveri durante la carestia  o nel lazzaretto durante la peste.

Di “pane, minestra e vino” si parla anche nel castello dell’Innominato quando, sempre dopo la conversione, accoglie gli abitanti del circondario in fuga dai Lanzichenecchi: si tratta del vitto che i rifugiati riceveranno da lui. Anche in questo caso è probabile che ci si riferisca ad una minestra di brodo di verdura, non certo di carne, considerata la situazione di carestia  povertà i cui ci troviamo. 

Ma passiamo ai secondi. Il cappone, naturalmente, di cui abbiamo già parlato, un alimento prezioso, considerato degno di essere donato ad un uomo importante quale  l’Azzeccagarbugli, come avviene nel celebre episodio che segue il fallimento del “matrimonio a sorpresa”. Renzo, su consiglio di Agnese, si reca dall’avvocato lecchese per ottenere giustizia contro il sopruso di don Rodrigo e porta con sé i quattro capponi che avrebbero dovuto essere il piatto forte del banchetto nuziale, ma, come ben sappiamo, le cose andranno diversamente.

Non restano però dubbi sul fatto che il cappone costituisse un cibo pregiato, non certo adatto alla tavola di tutti i giornii. Passiamo ad un altro secondo: le polpette. Quando Renzo, Tonio e Gervaso si recano all’osteria per pianificare “il matrimonio a sorpresa” mangiano polpette. Si tratta probabilmente della pietanza che nel lecchese viene definita polpetta, generalmente nel resto d’Italia involtino. Può essere preparata  con foglie di verza arrotolate intorno ad un ripieno, oppure, in una cucina più ricca, con fette di carne.

Ma c’è ancora altro: lo stufato. Quando Renzo, dopo i tumulti di San Martino a Milano, entra nell’osteria “della luna piena”, l’oste gli serve lo stufato, generalmente preparato con carne di manzo, ma a volte anche di asino o di cavallo. La stufatura consisteva in una cottura ottenuta poggiando  le braci accese sopra il coperchio del tegame  e durava dalle otto alle dieci ore, per far sì che la carne alla fine risultasse morbidissima.

E’ interessante notare che anche in questo caso, come per le polpette, lo stufato è proposto dall’oste come unica scelta possibile per l’ospite. Non c’era un menù, dunque, nelle osterie dell’epoca. Passiamo ad un altro piatto: la carne secca. Quando Renzo torna finalmente al suo paese per aver notizie di Lucia viene ospitato da un vecchio amico  di cui non è dato conoscere il nome. Sappiamo però che lo accoglie con molta cordialità  e gli offre latte e carne secca. Si tratta probabilmente di carne di vacca essicata per essere conservata e poi tagliata al coltello.

Ancora oggi la carne secca appartiene alla cucina lombarda, soprattutto a quella valtellinese. E adesso passiamo ai contorni. Compaiono due soli ortaggi nei Promessi Sposi: il cavolo e la zucca.  Cominciamo con il cavolo. Celeberrimo quello che teneva sotto braccio Perpetua quando rientra in casa dall’orto, chiamata dallo spaventatissimo don Abbondio dopo che Renzo è riuscito a strappargli il nome di don Rodrigo. Cosa avrà avuto in mente di cucinare, la nostra Perpetua, con il cavolo?

È legittimo pensare ad una verzata, la celebre cassoeula in dialetto lombardo. Meno probabile la verza con le castagne, piatto antichissimo, ma tipico della provincia di Sondrio. E passiamo alla zucca: Manzoni, appassionato botanico che curava spesso personalmente il suo frutteto di Brusuglio, ci descrive una zucca selvatica “avviticchiata” ad una vite in un giorno di fine agosto del 1630. Renzo è appena tornato al suo paese per avere notizie di Lucia ed Agnese e si reca nella sua vigna abbandonata da due anni. E proprio lì, nella celebre descrizione della vigna, troviamo la zucca selvatica che mescola i suoi “deboli steli” a quelli della vigna. Cosa avrà fatto Renzo di quella zucca? Probabilmente una minestra, un piatto semplice ma nutriente, adatto alla sua situazione in quel momento.

 

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Articolo pubblicato il 28/01/2023