Dongo ultima fermata: Il Museo della fine della guerra

Di Alessandro Mella

Dongo, un nome che rievoca molte cose e che corrisponderebbe solo ad un grazioso paesino del lungolago comasco se la storia non avesse deciso di farvi una tappa importante nel suo scorrere. Un nome, questo, che si associa alla fine della guerra, al mistero mai chiarito sulle circostanze della morte di Mussolini, sulla sparizione e spartizione dell’omonimo tesoro disperso in più direzioni ed anche, probabilmente, nelle casse del PCI.

Quel che è certo è che dopo una vana attesa a Menaggio, dopo la delusione per il fallimento del Ridotto Alpino Repubblicano in Valtellina, il duce decise di aggregarsi ad una colonna di autocarri tedeschi della flak diretti al Brennero. (1)

Fermata la colonna a Musso, ottenuto dai partigiani il solo consenso alla prosecuzione dei tedeschi, il capo della cadente Repubblica Sociale accettò la mortificante ed umiliante messinscena del travestimento con cappotto ed elmetto tedesco. Vicenda nota che non bastò, tuttavia, a garantirne il passaggio verso la Germania. Riconosciuto a Dongo, fu arrestato e catturato:

I protagonisti dell'arresto di Mussolini a Dongo (Como) sono i partigiani Lazzaro Urbano (Bill), vice - commissario politico della 52° Brigata Garibaldi e Pier Luigi Bellini Delle Stelle (Pedro) comandante del distaccamento Puecher e poi della 52ma Brigata Garibaldi dal marzo 1945. (2)

Fu condotto in un primo momento nella Sala d’Oro di Palazzo Manzi e poi a Germasino ma nella stessa sala furono portati, poco dopo, i gerarchi sopravvissuti alla sparatoria di Musso. I quali, a distanza di poco tempo, vennero fucilati alla balaustra che si trova di fronte alla piazza, oltre la strada, proprio di fronte al lago, ancora oggi esistente e con i segni delle pallottole sparate quel giorno. Mentre il tesoro di Dongo prendeva mille rigagnoli andava chiudendosi, così, la storia del fascismo in Italia.

Da sempre Dongo convive con la memoria di quei fatti qui sinteticamente riassunti. Con le teorie, le contestazioni, i processi perfino. Ma anche con il ricordo dei partigiani che in quelle zone avevano operato con coraggio e determinazione. Figure leggendarie come Luigi Canali “Neri”, Urbano Lazzaro “Bill”, Pierluigi Bellini delle Stelle “Pedro” e tanti altri tra i quali non pochi martiri.

Dal 2014 quei fatti sono rievocati nel Museo della Fine della Guerra posto proprio al piano terra di Palazzo Manzi nei locali che si trovano sulla destra dopo aver varcato il portone di accesso.

Più che di museo in senso stretto si tratta di un percorso multimediale, su più stanze e postazioni, con audio e proiezioni video, pannelli esplicativi ed immagini. Le voci che accompagnano il visitatore ripercorrono sommariamente le versioni ufficiali dei fatti senza cenno alle scoperte della storiografia, contraddizioni, ricostruzioni insostenibili e così via e forse, alle volte, con qualche aggettivo eccessivo che tuttavia risulta comprensibile nel contesto specifico.

Un aggiornamento dei video, dei testi e della descrizione delle vicende gioverebbe al dibattito storiografico senza nuocere allo scopo del sito, il quale si propone sia di ricordare quegli eventi sia di custodire e perpetuare la memoria della Resistenza locale.

Il luogo merita senz’altro una visita anche se non sarebbe peccato, per il futuro, prevedere anche una parte espositiva con teche e veri cimeli che, del resto, non ritengo siano impossibili da reperire.

Si pensi, ad esempio, ai bagagli di Mussolini custoditi alla Banca d’Italia a Roma. Non sarebbe più saggio esporli in una sede simile?

O materiali ed oggetti legati alle formazioni partigiane ed ai protagonisti di quei giorni ad esempio. Sarebbe un’evoluzione auspicabile e non penso mancherebbero le donazioni e le possibilità di mettere in salvo cimeli che potrebbero anche andare perduti. Un elogio, comunque, è ben meritato dai volontari che garantiscono la fruibilità della struttura e la cui cortesia è davvero encomiabile.

In ultimo giova ricordare che la biglietteria dispone di un grazioso bookshop con titoli di grande interesse. Insomma, una location da visitare e non perdere se si capita in quel luogo ove la storia ebbe la sua “ultima fermata”. (3)

Un consiglio? Leggere qualche libro sul tema prima di recarvicisi, dalle memorie di Urbano Lazzaro al recente volume di Luciano Garibaldi. Il materiale per prepararsi non manca e può offrire una possibilità in più di capire i luoghi e la loro storia.

Alessandro Mella

NOTE

1) Perché, lasciata la prefettura di Milano, egli si recò verso il Lago di Como? Il mistero è complesso ma è presumibile che Mussolini sperasse di incontrare emissari inglesi giunti dalla Svizzera. I quali non vennero mandando in confusione un duce che a quel punto accarezzò più d’una possibilità.

2) Il Saviglianese, 9, Anno LXXII, 1° novembre 1945, p. 2.

3) Parte delle notizie utilizzate per questo breve articolo provengono anche dai pannelli espositivi e volantini del museo.

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Articolo pubblicato il 08/02/2023