"Fantaxy", il Piemonte mitologico e fantastorico negli immaginifici racconti di Luisa Paglieri

Di Paolo Barosso

“Fantaxy”, libro scritto da Luisa Paglieri per i tipi di Vita Editrice / Marcovalerio, si presenta come una raccolta di cinque racconti in cui l’autrice, torinese, laureata in Lingua e Letteratura Inglese, coniuga la sua profonda conoscenza del mondo della mitologia e del folklore, di cui ha dato prova in numerosi saggi, articoli e conferenze, con la grande passione per il filone della letteratura fantastica.  

Nell’opera di Luisa Paglieri, pubblicata nella collana “I Racconti delle Terre d’Acaia”, figura protagonista e trait d’union tra i diversi racconti è un Mezzelfo, di nome Ariel, un sangue misto, umano per parte di madre e elfo per parte di padre, che prende la decisione di andare a vivere in un contesto metropolitano, Torino, esercitando il mestiere di taxista (da qui, il titolo del romanzo) e interagendo con gli esseri umani in una serie di situazioni avventurose, spesso cariche di tensione e di mistero, in cui il reale si mescola con il fantastico, con un ben dosato gioco di rimandi tra le due dimensioni, che si compenetrano sconfinando continuamente l’una nell’altra.

Nel dipanare la trama dei singoli racconti, in un’atmosfera sospesa tra realtà tangibile e dimensione del soprannaturale e del favolistico, separate tra loro da una membrana sottile e invisibile ai più, l’autrice attinge a piene mani non solo dalla mitologia e dalle leggende popolari, ma anche dalle vicende storiche del Piemonte antico, portando l’attenzione sul bagaglio spirituale e culturale di quei popoli che, stanziandosi nei nostri territori, hanno lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario popolare. 

Ecco che compaiono, nel racconto “Questioni di donne”, i riferimenti al megalitismo preistorico, fenomeno documentato dai tanti siti archeologici presenti nelle nostre vallate alpine, con i cromlech, pietre infisse nel terreno disposte in circolo, e i menhir, punti di contatto tra il mondo terreno e la dimensione soprannaturale (un po’ come i grandi massi erratici della bassa Valsusa, oggetto di pratiche cultuali, la cosiddetta saxorum veneratio, presso gli antichi abitatori di queste zone), ma anche alla religiosità dei Celti, con il druidismo, per poi passare ai secoli successivi alla caduta dell’impero romano, con l’avvento di popolazioni di ceppo germanico, portatrici di un nuovo ventaglio di riti, di credenze e di tradizioni popolari.

In particolare, nel racconto “Volti anonimi”, troviamo menzionati i Longobardi, di lontana origine scandinava, poi stanziatisi in Pannonia e infine giunti nell’odierno nord Italia, e i Franchi, con i popoli loro federati, tra cui i Burgundi: proprio in Piemonte, in corrispondenza del punto più stretto della bassa valle di Susa (le “Clusae Langobardorum” o Chiuse di San Michele), i due raggruppamenti etnici di matrice germanica (ma, nel caso dei Longobardi, con elementi anche non germanici al seguito, come Sarmati e Bulgari) avevano fissato la loro approssimativa linea di confine, dove gli eserciti di Carlo Magno e di Adelchi si scontrarono nel 773 nell’epica battaglia delle Chiuse.

Sempre rimanendo nel contesto dell’alto Medioevo, non manca un accenno al mondo mitologico degli Ungari, popolazione semi-nomade responsabile insieme con i Saraceni di feroci razzie compiute tra il IX e il X secolo, prima della loro conversione al Cristianesimo, nell’Occidente europeo e anche in Piemonte. Nel racconto intitolato “Rapsodia ungherese”, la personalità di Elisabetta, ragazza per metà di origine magiara, ma residente a Torino, e aiutata dal taxista Alex, rimanda chiaramente ai Tàltos, sciamani o stregoni del folklore ungaro e pecenego che sono ritenuti, dagli studiosi di tradizioni popolari, all’origine delle notissime credenze sui vampiri, diffuse in Transilvania e nelle regioni dell’est europeo.

Nell’avvincente romanzo organizzato in racconti di Luisi Paglieri, abbondano poi le creature fantastiche estrapolate dalla narrativa e dal folklore popolare piemontese, che si formò nei secoli a partire da un sostrato celtico con sovrapposizioni del mondo latino e germanico. Basti pensare ai Servàn, i folletti delle vallate piemontesi, che vivono nei boschi e nelle baite, con un carattere dispettoso, incline alla burla, ma non ostile all’uomo, e all’Omo Sarvadzo (così nel testo, ma la denominazione varia a seconda delle zone), l’Uomo Selvatico che, dall’apparenza rozza, vive ritirato in caverne e foreste, ma è depositario di saperi antichi, legati alle proprietà terapeutiche delle erbe, alla produzione dei formaggi, al linguaggio degli animali.

Nel vasto repertorio, vi sono poi gli alberi magici, probabili derivazioni dall’albero sacro della religiosità germanica o comunque nordica (L’Irminsul dei Sassoni era il grande pilastro di quercia venerato all’aperto e abbattuto nel 772 da Carlo Magno per sancire la vittoria contro i nemici), i Nani metalliferi, che abitano nelle località ricche di giacimenti minerari, come nelle valli ossolane, le Fate bianche, che prediligono le alte quote, bellissime nella loro luminosità, con abbigliamento candido e lunghi capelli biondi.

Rievocazione storica “Cannetum Langobardorum” presso il parco Cannetum a Villar San Costanzo in bassa valle Maira (ph Roberto Beltramo).

Infine, Luisa Paglieri non può esimersi dal concedere spazio a una figura onnipresente nei racconti delle campagne piemontesi, la masca (detta anche strìa in certe zone del Piemonte), la donna dotata di poteri soprannaturali, spesso accusata di intelligenza con il diavolo (specialmente a partire dal tardo Medioevo) e riguardata con diffidenza dalla comunità, che tendeva a regalarla ai margini, in un misto di sospetto e di timore reverenziale. L’origine del vocabolo masca è, ancora una volta, longobarda, perché il termine compare per la prima volta nell’Editto di Rotari, raccolta scritta di norme consuetudinarie promulgata dal re dei Longobardi, Rotari, nel 643, e confluì in seguito nella lingua piemontese e nelle parlate del Piemonte. 

Per concludere, l’invito è a leggere il volume di Luisa Paglieri perché, pur ambientato in una realtà urbana, che appare oggi totalmente prigioniera di un materialismo arido e nemico della spiritualità, ci proietta in un mondo fiabesco, dove la dimensione del soprannaturale e del fantastico ha il sopravvento, invogliando anche il lettore ad accostarsi alla conoscenza di un patrimonio di cultura popolare che rischia di cadere nell’oblio.

Paolo Barosso

Fonte: piemonteis.org

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Articolo pubblicato il 14/02/2023