162 Anni di Capi dello Stato

Nell'opera di T. L. Rizzo (di Aldo A. Mola)

Sommo Sacerdote

Il Capo dello Stato? Solitudine e immersione nel corpo vivo della cittadinanza.

Ne abbiamo in memoria visioni icastiche. Il presidente Sergio Mattarella fermo dinnanzi alle bare dei migranti a Cutro o abbracciato dalla folla nelle centinaia di visite alle città d’Italia. Il Presidente che sale la gradinata dell'Altare della Patria cammina sulle orme di Vittorio Emanuele III che il 2 novembre 1921 seguì a piedi la salma del Soldato Ignoto dalla Stazione Termini alla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Il Capo dello Stato è Sommo Sacerdote del rito nel quale quotidianamente si riconoscono moltitudini di cittadini che vedono, ricordano e sentono la Patria come “religione”: legame che è entusiasmo e cordiglio. All'insediamento egli giura, come facevano i Re, presenti la Casa e il Parlamento. Fedeltà allo Statuto albertino un tempo. Alla Costituzione repubblicana poi.

La complessità e, al tempo stesso, la genuina “semplicità” del Presidente della Repubblica sono illustrate da Tito Lucrezio Rizzo in “Il Capo dello Stato dalla monarchia alla repubblica, 1848-1922” (Herald Editore). Opus magnum, il volume è punto di arrivo di ventennale elaborazione che unisce dottrina giuridica, chiarezza espositiva in lingua italiana purissima (pregio ormai raro) e cognizione personale conseguita nei decenni di servizio al Quirinale che lo hanno veduto infine Consigliere Caposervizio per la Sicurezza della Presidenza della Repubblica.

L'opera inanella i profili dei presidenti (una tantum merita ricordarli nella loro sequenza: Enrico De Nicola, Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Giuseppe Saragat, Giovanni Leone, Sandro Pertini, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella) non attraverso aneddoti da rotocalco ma individuando il filo conduttore che ne ha ispirato e retto l'azione di magistrati supremi dello Stato.

Risalire la china

Un obiettivo, questo, tutt’altro che agevole da conseguire all'indomani della seconda guerra mondiale, della lacerazione del Paese in regimi contrapposti per alleanze diplomatico-militari e ideologiche e del referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946. I voti a favore della monarchia non furono molto inferiori a quelli favorevoli al cambio istituzionale: circa 10.700.000 contro 12.700.000, con un milione e mezzo di schede bianche e un altro milione e mezzo di cittadini esclusi dal voto: Venezia Giulia e Istria, Bolzano, i militari ancora prigionieri di guerra, quelli privati del diritto di voto politico per motivi politici o non raggiunti dagli uffici elettorali operanti in condizioni oggettive oggi inimmaginabili.

Toccò dunque proprio ai primi Presidenti riannodare i fili dell'Unità. Un compito improbo. Non tutti scommettevano fosse possibile in un mondo dal febbraio 1946 avviato alla “guerra fredda”. Eppure ce la fecero. Dal 1869, regnante Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878), l'Italia ebbe il principe di Napoli (poi Vittorio Emanuele III), che poi conferì al figlio Umberto (1904-1983) il titolo di principe di Piemonte. La Repubblica esordì con il napoletano Enrico De Nicola, già presidente della Camera dei deputati all'ascesa di Benito Mussolini a capo del governo, e con il piemontese Luigi Einaudi, già ministro e governatore della Banca d'Italia. Sud e Nord. Liberali, monarchici e senatori del regno, entrambi si spesero per assicurare la continuità dello Stato a prosecuzione dell'opera svolta dai Re d'Italia dall'origine sino al tempestoso dopoguerra. Come bene spiega il prof. Rizzo, si valsero di Uffici che, malgrado la povertà dei tempi, mostrarono fedeltà alla missione e orgoglio di servire la Patria nei suoi “corpi” (diplomazia, forze armate, magistratura, amministrazione pubblica statale e locale...) per la ricostruzione del Paese. Il “miracolo italiano” degli anni seguenti non cadde dal cielo. Fu opera quotidiana di una dirigenza niente affatto improvvisata e di italiani, molti dei quali migrarono verso regioni più organizzate o cercarono all'estero, sino nell'America meridionale, il lavoro che in Italia ancora non c'era.

 

Cultura e Uffici

Tra i perni della vita pubblica, come argomenta l'Autore, vi fu l'attenzione dedicata dai Presidenti a istruzione e ricerca scientifica. Nel 1946 l'Italia contava ancora una massa impressionante di analfabeti. L'esercizio del diritto di voto come libera scelta e partecipazione civile comportava cognizione personale. Di lì l'appello martellante dei capi dello Stato a promuovere l'istruzione primaria, protrarre l'obbligo scolastico effettivo (conquista assai tardiva), espandere la secondaria superiore e le Università nella fiducia (non sempre assecondata nei fatti) di conciliare la moltiplicazione degli Atenei con qualità e indipendenza della docenza da condizionamenti partitici e clientelari.

Ai profili dei Presidenti effettivi il prof. Rizzo accompagna l’illustrazione di due figure di pregio: Cesare Merzagora, “supplente” nella lunga malattia di Antonio Segni, colpito da ictus cerebrale in circostanze politicamente drammatiche, e il Segretario generale della presidenza della Repubblica Gaetano Gifuni, che ebbe il merito di propiziare l'opera dei capi dello Stato e bene rappresenta la falange di quanti, nel corso dei decenni, si sono riconosciuti nel “servizio”. All'origine, argomenta Tito Lucrezio Rizzo con un denso capitolo di storia istituzionale, vi fu la transizione dalla monarchia al nuovo ordinamento avviata da Luigi Einaudi con Ferdinando Carbone e, ancor più, con Nicola Picella, che (egli annota) “si avvalse prevalentemente del personale proveniente dal disciolto Ministero della Real Casa, il che consentì di non disperdere preziose esperienze professionali, acquisite da quanti conoscevano assai bene il funzionamento della struttura operante nell'ambito della Dotazione”. Alle spalle vi erano gli anni del “primato della legge morale nell'incertezza di quella civile, dal crepuscolo della Monarchia all'alba della Repubblica”, da decenni anni al centro della sua meditazione giuridica, storiografica e filosofica.

Al magistero, impartito anche da cattedre della “Sapienza” e di “Tor Vergata” di Roma, e allo studio dei Capi dello Stato Tito Rizzo ha accompagnato l'analisi  della legislazione sociale della Nuova Italia, il volume su “Le Ragioni del diritto” (tradotto anche in cinese) e i due robusti saggi sull'etica nelle istituzioni più amate dagli italiani e “Alle fonti dell'etica. Religioni, diritto, politica, scienza, economia” (Herald Editore, 2022). Nei suoi lavori la profondità del pensiero si accompagna al nitore dell'esposizione, scevra dalla retorica, alimentata dal profondo “credo” nei valori fondanti della libertà e della fratellanza umana. Non sono parole al vento, formulette d'occasione, ma cespite della “speranza”: una virtù teologale senza la quale si precipiterebbe nel cinismo e nella disgregazione della società. Vi si avverte l'alta lezione del suo Maestro, Giovanni Cassandro, tra le voci più schiette del liberalismo italiano.

 

Umberto II: continuità dello Stato in un'Italia che è anche “il Mondo”

Per congiunzione astrale, dopo precedenti apprezzate edizione e quasi quattrocento articoli pubblicati in riviste prestigiose quali “Nuova Antologia” e “Libro Aperto”, il volume di Tito Lucrezio Rizzo ha assunto la veste definitiva nel quarantennale della morte di Umberto II di Savoia, quarto Re d'Italia.

In tono sommesso esso costituisce omaggio alla memoria di un sovrano che si trovò sulle spalle il “brut fardèl” della Corona in una condizione tragica. Tenuto all'oscuro delle complesse trattative condotte dal governo italiano per ottenere che gli anglo-americani concedessero la “resa senza condizioni” sottoscritta a Cassibile il 3 settembre 1943, la mattina del 9 il principe ereditario lasciò Roma alla volta di Pescara con il Re, la Regina, il capo del governo Pietro Badoglio e i vertici militari per mettere al sicuro lo Stato. Combattuto dal dubbio sull'opportunità di rientrare subito nella Capitale, si attenne al dovere che gli veniva dal rango dinastico e militare: “Obbedisco”, come il Garibaldi narrato da Aldo G. Ricci. Conobbe la diffidenza dei vincitori e con condotta specchiata ne guadagnò la stima anche per il valore militare “sul campo” che gli meritò due prestigiose onorificenze. Da Luogotenente del Regno, con esercizio di tutti i poteri dal 5 giugno 1944 al 9 maggio 1946, e poi da Re fu apprezzato da statisti quali il premier britannico Winston Churchill e fugò le riserve di Benedetto Croce nei confronti della Casa. All'abdicazione e alla partenza dei geniori per l'Egitto, una decisione assunta all'interno della Famiglia, con un faticoso periplo da un capo all'altro d'Italia Umberto II non perorò la causa della Dinastia ma mostrò il volto della Ricostruzione possibile, da fondare sulla pacificazione delle coscienze. Perciò promise un referendum confermativo della nuova carta costituzionale in caso di vittoria della monarchia nel plebiscito del 2-3 giugno 1946. All'indebita assunzione delle funzioni di capo dello Stato da parte di Alcide De Gasperi alle 0.30 del 13 giugno, per scongiurare la contrapposizione tra due sovrani di uno stesso Stato, Umberto II si offrì alla Storia. Lasciò l'Italia da Re deplorando il “gesto rivoluzionario”, un vulnus lacerante che egli concorse a sanare nei trentasette anni d'esilio raccomandando a tutti, a cominciare dai monarchici, “Italia innanzi tutto”.

Partendone, sapeva di lasciare alla Patria uomini di specchiato talento che, liberi dal giuramento prestatogli, avrebbero servito lo Stato d'Italia.

Con altrettanta forza evocativa il volume di Tito Lucrezio Rizzo fa intendere al lettore sagace quanto è indispensabile per comprendere la complessità della storia d'Italia dalla sua nascita a oggi e agli anni a venire. A differenza degli altri Stati d'Europa (e non essi soli), la sua capitale racchiude al proprio interno uno Stato sovrano, la Città del Vaticano, che siede in tutte le Organizzazioni internazionali, a cominciare dall'ONU. La Chiesa cattolica apostolica romana è retta dal successore dell'Apostolo Pietro, martirizzato in Roma come ricordano le catene venerate in San Pietro in Vincoli. Il pontefice è però anche vescovo di Roma. Universalità e radicale identità con la Città Eterna costituiscono un unicum irripetibile.

Sempre per congiunzione astrale la pubblicazione del volume di Rizzo ci ricorda l'imminenza del Giubileo, pegno di dialogo non solo tra le religioni abramitiche ma tra “tutti gli uomini di buona volontà”, sollecitati dalla meditazione sulla storia a “deporre i calzari”, a lasciare alle spalle quanto divide e a valorizzare quotidianamente e senza riserve quanto può unire. Nelle pagine di Tito Rizzo la riflessione sul Capo di uno Stato diviene dunque speculum della necessità delle Istituzioni, fondamento irrinunciabile della libertà dei cittadini.

Aldo A. Mola

Il volume è stato presentato nella prestigiosa Biblioteca Casanatense di Roma (via Sant'Ignazio 52) per iniziativa dell’Associazione Culturale Visioni e Illusioni, con interventi del prof. Ernesto Lupo, primo presidente emerito della Corte di Cassazione, e dei professori Paolo Leone (che ha rievocato la formazione giuridica e il ruolo politico di suo padre, Giovanni, dalla Costituente alla presidenza del Consiglio e della Repubblica), Alessandro Acciavatti e Silvio Berardi, autore della biografia di Cesare Merzagora.

Con plauso dei partecipanti, il giureconsulto Ernesto Lupo ha evidenziato la pochezza dottrinale e concettuale delle proposte di elezione diretta del presidente della Repubblica.

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Articolo pubblicato il 19/03/2023