L’Esposizione Generale Italiana del 1884, a Torino

Genesi dell'evento e breve descrizione della città di quel tempo

In quali modi ha preso forma la grande Esposizione del 1884 di Torino?

“Il 17 dicembre del 1881, vale a dire non appena l'Esposizione cominciava ad affermarsi nella pubblica opinione, il Comitato Esecutivo, mentre poneva l'impresa sotto gli auspici di S. M. il Re Umberto, acclamava il Principe Amedeo Duca d'Aosta Presidente del Comitato”.

Con queste parole inizia il volume Cronaca Illustrata per la Esposizione Italiana del 1884 a Torino, pubblicato da Roux e Favale e Fratelli Treves, Editori, fra Torino e Milano.

Inizia una grande avventura storica ed economica, sull’onda di altre manifestazioni europee allora molto in voga, che riporterà l’attenzione di tutti su Torino, a giocare quasi un ruolo di capitale del progresso per un breve periodo di tempo. Vicepresidente del Comitato Esecutivo è il conte Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, senatore e sindaco di Torino dal 1883, che “appartiene ad una delle più illustri famiglie nobiliari del Piemonte. È nato nel 1837 a Vienna allorchè suo padre copriva la carica di ambasciatore di Sardegna nella capitale austriaca”.

Si procede a presentare la città di Torino ai futuri visitatori, con una “veduta a volo d’uccello degli edifici dell’Esposizione”.

Apprendiamo (pag. 6) che “L'Esposizione si aprirà il 1° aprile 1884 per chiudersi il 31 ottobre. L'ordinamento e la direzione spettano al Comitato generale e per esso al Comitato esecutivo”, con l’elenco dei membri designati.

Si passa, quindi, ad una storia delle Esposizioni (pag. 7), nella quale si afferma che “sorvolando sui secoli passati ci fermeremo alla prima Esposizione un po' importante di opere manifatturiere ed artistiche che abbia accolto fra le sue mura Torino in questo secolo: e la troviamo appunto nel 1805. Allora il Piemonte era sotto il governo francese, il quale fra tanti difetti, aveva pur delle buone idee e dei buoni propositi. E fu per ispirazione del governo francese che il presidente della Camera di commercio, cav. Richelmi, in data del 27 Germinale, promoveva l'Esposizione con un Avis au public”.

Ogni sei anni si celebra questo evento, ma devono trascorrere 24 anni perché accada qualcosa dim importante. “L'Esposizione del 1829 segnò veramente un grande progresso: le arti subalpine vi furono largamente rappresentate, nè meno numerosi vi accorsero gli industriali: in tutto 502 espositori, cifra considerevole per quei tempi”.

La manifestazione si ripete nel 1832, 1838, 1844.

“L'Esposizione del 1850, fatta con criteri più arghi e arditi, diede un primo esempio della costituzione delle Giunte Locali nelle diverse città dello Stato Sardo-Piemontese, a somiglianza delle Giunte d' oggidì, istituite allo scopo di "meglio agevolare il concorso degli Espositori, anche con riduzione delle spese dei trasporti." Il numero degli espositori raggiunse quasi il migliaio; e promotori, espositori ed accorrenti ne furono tutti soddisfatti, a quanto si narra”.

Nel Parco del Valentino vi è già un Castello, del XV secolo, “dove la riva sinistra del Po declina con ripido pendio innanzi ad uno dei più pittoreschi e grandiosi panorami della collina torinese”.

Il progetto dell’Esposizione aggiungerà un altro Castello, che ammiriamo ancora oggi ed è rimasto, oltre lo smantellamento delle altre parti costruite in quest’area. A pag. 9 è inciso il “prospetto del Castello e del Villaggio Medioevale” (disegno del sig. A. Bonamore).

“Il tipo del Castello che si volle riprodurre, è il maniero di Fenis in val d'Aosta, uno dei più caratteristici e studiati dagli artisti, e che ha anche ispirato un eccellente quadro di Federico Pastoris”. A questo progetto sarà chiamato, fra gli altri, Alfredo D’Andrade. L’enorme successo di pubblico ottenuto dal Borgo farà sì che si salvi dalla distruzione, prevista al termine dell’Esposizione. La Commissione della Sezione di Arte Antica del 1884, che vuole il Borgo Medioevale, era composta da Vittorio Avondo, Ottavio Balbo, Luigi Belli, Ernesto Bertone di Sambuy, Riccardo Brayda, Alfonso Breme di Sartirana, Edoardo Calandra, Luigi Cantù, Francesco Carandini, Alfredo D’Andrade, Adolfo Dalbesio, Augusto Ferri, Francesco Gamba, Ottavio Germano, Giuseppe Giacosa, Alberto Gilli, Francesco Ianetti, Carlo Nigra, Federico Pastoris, Giuseppe Pucci, Fernando Scarampi di Villanova, Guido San Martino di Valperga, Casimiro Teia, Pietro Vayra. Una lapide sulla facciata della Casa di Chieri, collocata nel 1925, riporta i nomi dei protagonisti della realizzazione del Borgo Medievale. La presenza nel villaggio di botteghe attive era prevista sin dalla prima ideazione del Borgo stesso: la loro realizzazione era finalizzata a valorizzare l’artigianato tradizionale di qualità, la cui sopravvivenza si sentiva (già allora!) minacciata dal processo di industrializzazione in corso.

Si inaugura anche la cremagliera Sassi – Superga, su progetto dell’ing. Tommaso Agudio.

Nel testo in premessa si descrivono, quindi, i sobborghi di Torino.

“C’è da fare un giro curiosissimo, partendo da San Salvario, e andando su per l'antica Piazza d'Armi e per il Borgo San Donato fino a Borgo Dora. Il Borgo San Salvario è una specie di piccola city di Torino dalle case annerite, velato dai nuvoli di fumo della grande stazione della strada ferrata, che lo riempie tutto del suo respiro affannoso, del frastuono metallico della sua vita rude”.

Dopo il corso Principe Eugenio, si entra “in una parte di Torino stranissima, poco nota, nella quale la città si perde nella campagna: e  dove son raccolti i principali istituti di beneficenza, fra cui il Ritiro del buon Pastore, l' Ospedale di San Luigi, il Manicomio, lo Stabilimento di don Bosco, l'Ospedale di Cottolengo; edifizi chiusi e muti, dall'aspetto di conventi e di carceri, colle persiane rovesciate, coi finestrini ingraticolati, con porte o porticine sbarrate, che danno al luogo l’aspetto misterioso d'un quartiere di città orientale. (…) Chi passa di là abbassa la voce, senz'avvedersene; scorda la Torino rumorosa del lavoro e dei piaceri, e si abbandona, rallentando il passo, alla meditazione dei dolori e delle miserie umane, punto da una curiosità triste di penetrare in quei recinti severi, d'interrogare quelle sventure, di scrutare quel mondo sconosciuto e nascosto, a cui tanta gente pietosa consacrò la vita e la fortuna”.

Sembra di entrare in una città dell’oblio, molto lontana e diversa da quella degli opifici e della produzione, che si prepara a celebrare l’Esposizione del 1884. In questa descrizione si percepisce ila città del bene e del male, del riserbo, del garbo subalpino che chiede sottovoce. Inoltre, evidenzia in poche parole la povertà dilagante nei quartieri, appena al di là fuori del centro regale, dopo si muovono le grandi figure di don Bosco, di Leonardo Murialdo, di Francesco Faà di Bruno: ognuno a modo suo, a intercettare una fascia di quel grande disagio umano e sociale.

“Proseguendo di là per il Corso San Massimo s’arriva nella grande piazza ottagonale di Emanuele Filiberto. Ma per vederla in tutta la sua bellezza bisogna capitarvi una mattina di sabato, d'inverno, in pieno mercato. Uno Zola torinese potrebbe mettere lì la scena di un romanzo intitolato Il ventre di Torino”.

Ritorniamo, quindi, alla grande mostra: grazie ad una veduta dentro l’Esposizione: “E’ una meraviglia, che ci assale, ci sbalordisce, e ci fa perdere l'orizzonte. Entrati dalle arcate bianche, fra le due torri quadrate dell'ingresso d'onore, ci si presenta dinanzi una serie non interrotta di gallerie, che s'inseguono, s'incrociano, si fuggono, allargandosi, inabissandosi, sorgendo dal suolo come per incanto; con dolci sorprese di cupole che s'ergono graziose; sfidanti l'imperversare del tempo, la furia degli elementi, i fulmini dell'elettrico Giove, colle lame dorate, slanciantisi nel cielo, di quelle aste metalliche, alle quali sventolerà il nostro bel vessillo tricolore”.

Un ruolo importante lo gioca l’ing. Camillo Riccio, Direttore Generale delle Costruzioni.

Nato a “Villanuova d'Asti”; si laurea a Torino nel 1850 nella Scuola di Applicazione al Valentino, presso la quale è assistente di disegno per 16 anni. Sono opere sue l'hotel Liguria in piazza Bodoni, i restauri della casa Martini e Rossi in via Carlo Alberto, la casa Bavera al Ponte Mosca, la casa Boasso sul Corso Vittorio Emanuele, la casa Peretti, la palazzina Della Vedova e la palazzina Botteri, gli abbellimenti ed i restauri del palazzo Cisterna.

Il Padiglione del Risorgimento italiano “s'incontra sul limitare dell'Esposizione alla destra di chi entra dall'ingresso d'onore sul Corso Massimo d'Azeglio”. E poi, la Galleria del Lavoro, il Palazzo per l’arte contemporanea, le Gallerie delle Industrie manifatturiere, il Padiglione dell’Oreficeria, il Padiglione della Città di Torino e tanti altri. Fra le attrazioni, il Tempio di Vesta.

L’inaugurazione avviene il 26 aprile 1884, alla presenza del Re e della Regina, la manifestazione si chiuderà il 17 novembre.

Di quel grande evento ci rimangono, quindi, il Castello e il Borgo Medioevale e la tramvia Sassi – Superga, ancor oggi mete privilegiate di tanti turisti, italiani e stranieri.

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Articolo pubblicato il 31/03/2023