In questi giorni abbiamo ascoltato forbite e leziose disquisizioni in materia di art.41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, in relazione al caso Cospito, impartite da politici e giornalisti, che hanno regalato momenti di assoluta perplessità, per le interpretazioni rese e per la passionalità con cui queste sono state rappresentate.
L’avversione o la propugnazione della bontà della misura restrittiva di rigore prevista dal Legislatore non è assolutamente riconducibile all’appartenenza politica ad uno dei due schieramenti parlamentari che oggi si contrappongono, ma è riferibile esclusivamente al dominio del buon senso e della civiltà di una nazione.
Abbandonando le considerazioni di carattere giuridico, che in una società normale ed ordinata dovrebbero costituire appannaggio esclusivo dei Giuristi, ritengo sia doveroso svolgere alcune considerazioni in ordine al significato sociologico del periodo “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica” che il Decreto Martelli -Scotti nel 1992 sulla scorta dell’onda emotiva prodotta dalla strage di Capaci, in cui perse la vita il Giudice Giovanni Falcone, introdusse, modificando il testo originario dell’art.41 bis, come noto a sua volta introdotto nel 1986 dalla Legge Gozzini e limitato a fronteggiare “casi eccezionali di rivolta (carceraria) o altre gravi situazioni di emergenza” e “di durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto” aggiungendo un secondo comma del seguente letterale tenore “quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.
Pare dunque lecito osservare come il Legislatore abbia utilizzato, in un contesto riferito ad una situazione di straordinarietà ed eccezionalità, lo schema della sospensione delle normali regole di trattamento dei detenuti, motivato dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza all’interno degli stabilimenti di detenzione e pena, peraltro “di durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto,” per un differente e più ampio fine di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, senza previsioni in merito alla durata del trattamento stesso, se non quelle di un periodo di “quattro anni con proroghe di due anni ciascuna”.
Un sistema di “sorveglianza particolare”, peraltro prorogabile indefinitamente, che non sia limitato a fronteggiare una situazione di transitoria eccezionalità lascia perplessi e genera preoccupazione in quanto un istituto di tale tipologia, in astratto, potrebbe essere adottato dallo Stato discrezionalmente nei confronti di tutti quei cittadini reclusi che dovessero essere, a torto od a ragione, giudicati socialmente pericolosi poiché reputati idonei a produrre situazioni di pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica, andando a ledere macroscopicamente i diritti fondamentali dell’individuo.
Tanto premesso, chi conosce lo scrivente è perfettamente a conoscenza dell’orientamento culturale-politico che lo ispira, certamente non incline a simpatie “anarco-insurrezionaliste”, ma ragioni di onestà intellettuale dovrebbero indurre qualunque osservatore in buona fede a considerare come fatti anche di grave rilevanza illecita commessi nell’esercizio di un pensiero politico vadano valutati con “lenti di lettura” differenti da quelle utilizzate per giudicare la criminalità comune o le consorterie mafiose.
La Storia recente e meno recente ci insegna come fatti, anche orribili, siano stati commessi in nome del pensiero politico o della Religione, ma a fondamento di atteggiamenti tanto radicali e negativi vi è sempre stata una tensione morale che, senza certamente voler sottrarre gli autori di fatti illeciti alla giusta pena, dovrebbe indurre ad un approccio valutativo, per quanto riguarda il rigore del regime detentivo, differente e di miglior favore rispetto a quello adottato per i criminali che hanno perseguito esclusivamente la logica dell’ingiusto profitto attraverso l’affiliazione a “società sceleri”, o magari commettendo – come forse avvenuto nei recenti casi di corruzione di alcuni Europarlamentari - i fatti delittuosi nelle sedi istituzionali e nell’esercizio delle proprie pubbliche funzioni.
Le legittime ragioni di difesa sociale possono essere garantite attraverso un isolamento nei confronti della realtà sociale esterna al mondo carcerario, ma non devono travalicare i fondamentali principi di garanzia che debbono ispirare l’azione dello Stato, anche in considerazione della circostanza che qualunque cittadino in presenza di errori giudiziari, tutt’altro che infrequenti, può trovarsi in ogni momento esposto ad una immeritata situazione di tragedia personale.
Avv. Claudio Berrino
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Articolo pubblicato il 02/04/2023