Dalle sue origini all’età di Francesco Faà di Bruno
Il Borgo San Donato ha origini antiche, che risalgono alla fine del Medioevo. Nel XIV secolo è già attestata qui la presenza di un monastero dei Padri Umiliati. In quell’epoca era denominato “Borgo Colleasca”, il cui nome rimane ancora in una via quasi parallela a via Cibrario, oltre corso Tassoni. La tranquillità di una zona agreste viene interrotta dall’incursione francese che, a giugno 1536, distrugge gran parte degli edifici del borgo. La presenza della Dora Riparia ai suoi margini fa nascere chiuse e canali, per alimentare i molti mulini: quello del Martinetto era già attivo nel Cinquecento, i mulini Feyles nel 1960 macinavano ancora mille quintali di grano al giorno.
Il Borgo San Donato di oggi si forma a partire dal 1851, quando viene presa in esame la questione delle “servitù militari” che, sino a d allora, aveva di fatto bloccato l’espansione di Torino verso ovest. Nel 1864 nasce piazza Statuto e via San Donato, che parte dalla piazza, conserva ancora oggi la sua caratteristica originale: su entrambi i lati della strada, e per un buon tratto, le case non sono divise in isolati, come avviene in gran parte della città, ma formano un corpo edilizio unico ed ininterrotto composto da decine di fabbricati in sequenza, attaccati l’uno all’altro. Nel borgo si insediano molte industrie di vario tipo e il tenore di vita dei residenti, qui come in altri quartieri che nascono o crescono nell’Ottocento, è assai basso, lontano dal benessere del centro e privo di protezioni sociali. Di qui l’esigenza di creare istituzioni filantropiche, a surrogare le carenze del pubblico intervento, con la sensibilità di laici e religiosi.
Quattro figure spiccano, in particolare: Casimiro Sperino, don Pietro Merla, don Gaspare Saccarelli e Francesco Faà di Bruno.
Casimiro Sperino (1812 – 1894) è citato da Davide Bertolotti, nella sua Descrizione di Torino, in quanto nel suo “dispensario oftalmico” «i poveri afflitti da malattie d’occhi che non possono essere ricoverati negli ospedali trovano gratuiti consigli, rimedi, e tutti i soccorsi dalla loro infermità richiesti». Il dispensario si ingrandisce, con fondi personali di Sperino, e si trasforma in Casa di Sanità in via San Donato 4, primo embrione del futuro Ospedale Oftalmico di Torino.
Pietro Merla (1815 – 1855), collaboratore di don Bosco. Nell’estate del 1846 don Bosco si assenta e don Merla, con don Borel, è tra le persone fidate che hanno cura dell’oratorio. Cappellano delle carceri, fonda in via Bogino (poi trasferito in via Miglietti 2) l’Istituto San Pietro Apostolo, destinato al recupero sociale e culturale delle donne uscite dal carcere, di giovani di donne orfane e abbandonate e di prostitute bisognose di una “riforma morale”.
Gaspare Saccarelli (1817 – 1864) veste l’abito clericale nel 1835, sacerdote nel 1839, dal 1844 cappellano di Re Carlo Alberto. Si forma nella carità della Piccola Casa della Divina Provvidenza e assiste da vicino Mons. Ferrante Aporti nell’educazione scolastica infantile. A dicembre 1849 inaugura l’asilo infantile di Venaria, per bambini dai tre ai cinque anni. A San Donato realizza la sua più grande opera: la scuola domenicale e l’oratorio festivo, che diventano un punto di riferimento per il quartiere. Ad aiutarlo e a finanziarie le sue attività ci sarà sempre la contessa Carolina Derossi di Santarosa, vedova del patriota esule Santorre Derossi di Santarosa. Il sogno di aiutare le fanciulle povere e abbandonate si concretizza con l’apertura, il 21 aprile 1853, di un nuovo ritiro chiamato “Sacra Famiglia”. Saccarelli istituisce le “figlie verdi” o “verdine”, un ordine di accompagnamento funebre. Le “verdine” dell’Istituto vestivano una divisa a righe verde e velo bianco sulla testa partecipavano al rito funerario con canti e preghiere. Oltre ad essere un gesto apprezzato, per l'Istituto era una fonte di guadagno per via delle offerte donate per la partecipazione.
Francesco Faà di Bruno (1825 – 1888) è una figura dagli infiniti risvolti, impossibile a trattarsi in un breve scritto. La sua prima opera nasce in via San Donato 3, nel 1859: la Pia Opera di Santa Zita. Apre la prima lavanderia in città, che prende acqua dal Canale di Torino e utilizza macchine di sua invenzione. Nel 1860 nasce l’Infermeria di S. Giuseppe, per i malati di tifo e di colera. Nel 1863 sorge il pensionato e ospizio a pagamento per “signore di civil condizione”, ispirato alla Oeuvre des Servantes di Parigi. Le entrate derivanti permettono la realizzazione di altre opere, fra cui la classe delle “Clarine”, ragazze dai 15 ai 25 anni portatrici di qualche difetto fisico. Nel 1875 fonda l’Ordine delle Suore Minime. Infine, nel 1868 acquista l’Istituto Magistrale della Santissima Annunziata e lo trasferisce in via San Donato. Delle sue multiformi attività rimane un grande complesso, ancora attivo ed operante, a testimoniare del forte rapporto con il quartiere, con un museo che racconta la sua vita, sempre impegnata in prima linea difesa dei più deboli. Il campanile della chiesa, con i suoi colori sgargianti, splende ancora nella luce dei tramonti torinesi.
Si ringrazia il Centro Studi Faà di Bruno per la foto di copertina.
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Articolo pubblicato il 28/04/2023