Il Priorato Cluniacense dei Santi Pietro e Paolo, a Castelletto Cervo (Biella)
Il Priorato di Castelletto Cervo (Biella)

I suoi affreschi ricordano un miracolo sul Cammino di Santiago

Castelletto Cervo è un piccolo paese di confine: appartiene alla provincia di Biella per l’amministrazione dello Stato e alla diocesi di Vercelli per la Chiesa. Da Torino si percorre l’autostrada A4 fino a Balocco, poi si prosegue per statale

Dopo un lungo abbandono, culminato con il trasferimento dell’ultimo parroco, campagne di ricerca e scavi nel suo Priorato hanno messo in luce ritrovamenti di epoca romana, oggi custoditi al Museo del Territorio di Biella e al Museo Leone di Vercelli. La fondazione del monastero è legata alla politica di donazioni effettuata, a partire dal secolo XI, dai Conti di Pombia, poi divenuti Conti di Biandrate.

Alcuni pezzi pregiati del complesso sono stati trafugati, come una acquasantiera scomparsa nel 1981 - riutilizzo di una fontana di casa patrizia, risalente al IX-X secolo, firmata “Alberto scultore” -. Inoltre, ignoti hanno staccato dall’esterno dell’edificio un sole con due delfini, che raffigurava il dio Apollo, proveniente da un tempietto pagano. Durante gli scavi è stato riportato alla luce anche il chiostro: una parte era diventata la casa parrocchiale, in angolo vi era situata la residenza del Priore; nel sottosuolo si è recuperato lo sperone di un cavaliere, all’interno di una tomba.

Castelletto Cervo viene citato per la prima volta nel 1092, in un atto riguardante il Priorato di Cavaglietto Mediano (1). Nel 1095 appare la prima menzione del centro religioso, in una lettera inviata all’Abate di Cluny da Oberto, Conte del Canavese, e da Ardizzone, feudatario di Castelletto; da questo documento apprendiamo la sua dipendenza da Cluny.

Nel XII secolo il Priorato si arricchisce, in questo periodo sorgono in gran parte le strutture che ancora oggi vediamo. La protezione pontificia arriva nel 1141, con papa Innocenzo II, insieme all’assegnazione della chiesa di S. Pietro, nel castrum di Carpignano Sesia.

Dal XIII secolo il monastero vive fasi alterne; la sua crisi, anche patrimoniale, lo riduce a commenda. Non sappiamo per quale motivo vi venga meno la vita claustrale: già dal 1571 gli abitanti di Castelletto non ricordano a quale ordina appartenessero i monaci, probabilmente scomparsi da molto tempo. Anche il commendatario, lontano e assente dal monastero, scompare formalmente nel 1774, quando il Priorato è soppresso e i suoi redditi trasferiti alla Mensa della nuova Diocesi di Biella.

Per comprendere cosa fosse un Priorato Cluniacense occorre fare un passo indietro nel tempo di quasi mille anni, circa cento anni prima di questi due documenti. La prima Abbazia cluniacense, poi distrutta durante la Rivoluzione francese - quale simbolo della religione e del potere ecclesiastico -, viene fondata a Cluny, in Borgogna, nel 909 (o 910) da Guglielmo I il Pio, Duca di Aquitania e Conte di Alvernia, grazie ad una donazione all’Abate Bernone. Il Duca rinuncia a qualunque diritto sulla nascente Abbazia e la colloca sotto la diretta autorità del Papa, esautorando il livello locale e la giurisdizione dei Vescovi-Conti, anche per l’aspetto fiscale e tributario. In ossequio al Santo Padre la chiesa viene intitolata ai Santi Pietro e Paolo. Da qui nascono la forza e l’indipendenza del cosiddetto “sistema di Cluny”. I monaci cluniacensi seguono la Regola Benedettina, in cui introducono alcune varianti: 1) la struttura organizzativa è a diretto contatto con il Papa; 2) la liturgia e lo studio sono le loro attività principali, prima del lavoro; 3) il responsabile di un monastero (o priorato) è investito del titolo di Priore (l’unico Abate dell’Ordine Cluniacense risiedeva a Cluny e governava la sua vasta rete di monasteri).

La fortuna del nuovo Ordine monastico inizia nel 1016, con il Decreto di Papa Benedetto VIII che estende i privilegi di Cluny a tutte le sue dipendenze. In segno di riconoscimento, tutti i complessi cluniacensi devono avere la stessa forma ed architettura. Una loro particolarità è l’uso di due chiese: nella prima si officiano i riti quotidiani e domenicali; la seconda è riservata alla liturgia e al culto dei defunti, al suo interno vengono portati i monaci in punto di morte.

Torniamo, ora, a Castelletto Cervo: all’apice della sua fortuna arriva ad avere 35 dipendenze (Carpignano Sesia e Ghemme le più importanti). Proprio a Ghemme sono gli stessi monaci a introdurre la coltivazione della vite, proveniente dalla Borgogna. Si allevano anche animali, che in estate vengono portati al pascolo e in alpeggio, in Valsesia e in Val d’Otro. Accanto al Priorato sorgerà un Ospizio per i pellegrini: non siamo sulla Via Francigena, ma sul prolungamento della cosiddetta “Via di Svizzera” (il tratto italiano, codificato per la prima volta durante la seconda guerra di indipendenza, era Arona - Bellinzona - Como).

Appena entrati in chiesa, una sorpresa attende i visitatori, in un minuscolo ambiente a sinistra del presbiterio (ex foresteria, poi diventato magazzino): l’affresco con San Giacono e la SS. Trinità, attribuito al frescante Tommasino da Mortara, attivo in Lomellina fra XV e XVI secolo. L’affresco è spartito in due sezioni: a sinistra San Giacomo; a destra una inusuale Trinità, con l’immagine di Cristo che si ripete tre volte. La figura di San Giacomo Maggiore, per alcuni particolari, ci rimanda al miracolo di S. Domingo de la Calzada, legata ai pellegrinaggi verso Santiago de Compostela. Non conosciamo l’origine dell’affresco, forse da riferire a un committente che aveva visto la tomba del Santo.

La tradizione racconta che una coppia di pellegrini tedeschi, con il loro figlio, decide di raggiungere Santiago. Durante una sosta in una locanda a S. Domingo de la Calzada, la figlia dell’oste cerca di adescare il giovane; al suo rifiuto, lo denuncia per un furto che non ha commesso: un calice d’argento introdotto nel suo bagaglio. Il giovane viene giudicato e condannato alla forca. Grazie all’intercessione di San Giacomo, pregato dai suoi genitori, per un miracolo non muore. I suoi genitori si precipitano dal Governatore della città e gli raccontarono il prodigio, prova della ingiusta condanna del figlio. Incredulo, egli risponde che “il figlio era vivo come il gallo arrostito che sta per mangiare”; il volatile salta fuori dal piatto e si mette a cantare.

Il secondo soggetto, la Trinità, è uno schema iconografico medievale di Cristo, rappresentato nelle tre persone della Trinità incarnata. La spiegazione di tale iconografia risiede probabilmente nella lettura data da Sant’Agostino al racconto dell’incontro alle Querce di Mamre (Genesi 18, 1-3): «Poi il Signore apparve a lui (Abramo, N.d.A.) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo”» (2).

Durante la visita al complesso, si può apprezzare un’altra curiosa scoperta: la seconda chiesa, una particolarità tutta cluniacense. L’edificio ripete una concezione architettonica e liturgica tipica dell’Ordine: l’Oratorio di S. Maria fungeva da secondo coro per i monaci e ricovero sacro per i religiosi agonizzanti, qui condotti prima del trapasso.

I monaci cluniacensi vestivano un saio grigio con cappuccio. In Italia, il loro più illustre esponente può essere considerato Ildebrando di Soana, eletto Papa con il nome di Gregorio VII (3).

Note

(1) Il Comune di Cavaglietto si trova oggi in provincia di Novara.

(2) Il 1° ottobre 1745, con la bolla Sollicitudini nostrae di Papa Benedetto XIV, questo tipo di raffigurazione viene ritenuto non più appropriato per la Chiesa. Gli affreschi trinitari di Cristo saranno man mano ricoperti e ridipinti, se ne è salvato qualcuno in luoghi appartati o non frequentati. Oltre a Castelletto, all’epoca già caduta nell’oblio, ne troviamo esempi a Benna, nel Biellese, nella chiesa della Trinità di Firenze e in un affresco cinquecentesco del Sacro Monte della Santa Trinità a Ghiffa, a lungo gestito dall’Ordine dei Trinitari.

(3) Gregorio VII, nato Ildebrando di Soana (Soana, 1015 circa – Salerno, 25 maggio 1085), è stato il 157º papa della Chiesa cattolica, dal 22 aprile 1073 alla sua morte.

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Articolo pubblicato il 05/05/2023