Viaggio a Ferrara, storie ferraresi e un miracolo eucaristico
Il castello estense di Ferrara

De Chirico, Savinio e De Pisis in una città metafisica

La mia prima conoscenza di Ferrara è avvenuta grazie a Giorgio Bassani e alle sue Cinque storie ferraresi. Molti anni dopo l’ambiente ferrarese è stato raccontato dalla serie televisiva Nebbie e delitti, in cui la nebbia e un clima ormai scomparso la rendevano una città inquieta e affascinante.

Filippo De Pisis (1) l’ha definita “La città dalle cento meraviglie”, in un libro introvabile del 1923 (con il sottotitolo I misteri della città pentagona), e non sbagliava la sua definizione. Altri vi hanno ravvisato un aspetto metafisico, dopo il soggiorno di Giorgio De Chirico e i quadri che vi ha dipinto.

Giorgio De Chirico nasce in Grecia, nel 1888, da genitori italiani: il padre è un ingegnere siciliano e la mamma, Gemma Cervetto è di origini genovesi. La sua vita è un continuo movimento: Atene, Monaco, Venezia, Milano e Firenze. Dal 1911 al 1915 è a Parigi, poi si arruola a Firenze, insieme al fratello, Alberto Savinio. Alla fine di giugno vengono entrambi destinati a Ferrara per prestare servizio nel Deposito del 27° Reggimento di Fanteria, dove Giorgio è assegnato alla Caserma Pestrini, un edificio del XVII secolo che sorgeva lungo l'asse di viale Cavour all'incrocio con via Aldighieri (oggi non esiste più).

Tra l’aprile e l’agosto del 1917 De Chirico viene ricoverato in osservazione presso l’ospedale per malati di nevrosi di guerra Villa del Seminario, diretto dallo psichiatra Prof. Gaetano Boschi. Pochi giorni dopo lo raggiunge Carlo Carrà, che era di stanza a Pieve di Cento. In questo luogo i due artisti lavorano fianco a fianco e danno vita ad alcuni dei capolavori della stagione metafisica ferrarese.

De Chirico e Savinio conoscono il poeta Corrado Govoni, di cui sono ospiti, poi soggiornano per qualche mese in una casa via Ripagrande. E di nuovo un vortice di spostamenti: via Cammello, vicolo Carbone, via Montebello e un breve periodo in via Mentana, dove De Chirico intreccia con Antonia Bolognesi una relazione. La permanenza nel ghetto ebraico, con le sue botteghe, le sue pasticcerie e la vivace via Mazzini, ha un forte impatto sull'immaginario dei due fratelli: Giorgio dipinge una serie di opere che hanno come soggetto i dolci e i pani tipici della tradizione ferrarese, mentre Alberto scrive un testo visionario, F’rara città del Worbas, colpito dalla lastra incastonata sul lato nord della Torre dei Leoni del Castello Estense in cui sono effigiati in bassorilievo due leoni affrontati che trattengono nello spazio centrale un doppio vessillo con inciso in lettere gotiche il misterioso motto “WOR BAS” (2).

Oltre a Govoni e a Carrà, De Chirico frequenta Filippo de Pisis, Giuseppe Ravegnani e altri, dividendo il tempo libero fra la libreria Taddei (3) e il caffè Folchini, attuale caffè Europa, in corso Giovecca.

Ferrara, con una bellezza rinascimentale e il fascino dei suoi monumenti antichi, ispira l’artista e le sue tele: il Castello Estense, la piazza Ariostea, la storica Fabbrica dei Fratelli Santini, sono solo alcuni dei soggetti che De Chirico immortala nelle opere dipinte nel corso della sua intensa permanenza. Ho ritrovato la metafisica delle sue visioni anche nelle periferie urbane, dove le stradine si allargano e curvano, meno rigide e meno geometriche, sempre fra due basse ali di caseggiati in mattone, il cui rosso diventa un incendio immaginario al tramonto. Il silenzio, appena fuori dal centro, è la dimensione più palpabile, quasi un mistero che aleggia sulle costruzioni antiche; e anche senza guida turistiche fra le mani, è piacevole aggirarsi fra queste strade, a volte a caso, per lasciarsi stupire da nuove visioni fuori dal tempo.

La mia personale guida a Ferrara è stato un libro di Francesco Scafuri, Alla ricerca della Ferrara perduta, Faust Edizioni. Descrizioni leggiadre ed emozioni in punta di penna mi hanno accompagnato, passo dopo passo, in un breve viaggio di quattro giorni nella città estense.

Ferrara, città metafisica in tutti i sensi, oltre che per le visioni di De Chirico, è accomunata a Torino  da un miracolo eucaristico che risale ad oltre mille anni fa. Oggi la chiesa di Santa Maria in Vado è una grande basilica di forma classica sorta sul luogo dove c’era una piccola chiesetta, Santa Maria Anteriore, documentata fin dal 971: officiata prima dal Capitolo della Cattedrale e poi dai Canonici Regolari Portuensi (4).

Il 28 marzo 1171, domenica di Pasqua, avviene il miracolo: il priore Pietro da Verona solleva l’ostia per la consacrazione e, mentre la spezza, ne sprizza sangue in quantità copiosa, fino a lambire la volta sopra l’altare. Nel Cinquecento, sotto lo sfarzo politico e culturale della famiglia Este, veri sovrani di un piccolo regno, viene costruita l’attuale basilica e la volta della cappella del miracolo viene spostata “in luogo più idoneo” (un ambiente sopraelevato del transetto destro). Una visione metafisica è alla base anche di questa storia ferrarese, a conferma della identità di una città e dello spirito che vi aleggia ancora.

Bibliografia

Francesco Scafuri - Alla ricerca della Ferrara perduta - Faust Edizioni.

Note

(1) Filippo De Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956). Laureato in lettere, inizia a dipingere nel 1916, quando si ritrovano a Ferrara Carrà, De Chirico e Savinio. Le sue prime opere risentono del clima della pittura "metafisica".

(2) “Tutto, nella città, è pervaso dall’anima del terribile Worbas!” (Alberto Savinio, “Frara” città del Worbas, «La Voce», Firenze, 31 ottobre 1916, poi in Alberto Savinio, Hermaphrodito, Firenze, 1918). Scriverà ancora: «Verrà un giorno in cui lascerò Frara dalle case rosse; in cui non vedrò più di qua e di là dal Po / tutti i figli di Nicolò ;/ in cui non sarò più perseguitato dall’enigmatico WORBAS […]. Già, verrà pur un giorno in cui ti lascerò, Ferrara. Povera Ferrara! Quante bocche rosse da baciare! Quante mani calde da stringere! Quanti cuori fiammanti! E anch’essa fu contaminata dall’orrendo pathos. Essa, infra le più pure città italiane; malgrado l’opprimente ritornello di Ugo e Parisina» (Alberto Savinio, La realtà dorata. Arte e storia moderna – Guerra – Conseguenze, in “La Voce”, 19 febbraio 1916).

(3) Casa editrice e libreria ferrarese, attiva tra il 1840 e il 1924. sotto i portici di San Marco, attuale piazza Savonarola (ex piazza della Pace, 31); vivrà, tra il 1914 e il 1924, il momento culminante della sua storia editoriale. Corrado Govoni, Filippo de Pisis, Diego Valeri e Giuseppe Ravegnani pubblicano le loro poesie grazie a questo editore illuminato.

(4) I Canonici Regolari di Santa Maria in Porto (o Portuensi) erano un'antica congregazione di Canonici di Sant'Agostino: il loro titolo derivava dalla chiesa fondata da Pietro degli Onesti a Ravenna, dopo il suo ritrovamento, sulla spiaggia di Ravenna, di una immagine della Vergine. domenica 8 aprile 1100. Egli, ritenendosi non degno di prenderne possesso (si considerava "peccatore" e col soprannome di "Pietro peccatore" sarebbe passato alla storia), chiama a testimone gli altri monaci e l'immagine diventa nota come «Madonna greca». Nel 1103 venne eretta, in prossimità dell'antico porto di Ravenna (oggi Porto Fuori), una chiesa per custodire l'immagine. Pietro degli Onesti, rettore della chiesa, vi introduce una comunità di canonici aderenti alla regola di sant'Agostino. Nel 1420 vengono uniti alla Congregazione di Santa Maria di Frigionaia, divenuta poi Lateranense.

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Articolo pubblicato il 12/05/2023