Storia e verità nei Promessi sposi

Una ragione in più per continuare a leggere I Promessi sposi

 

Certo I promessi sposi non è l’unico bel romanzo della letteratura italiana. Ce ne sono di più avvincenti, di più divertenti, di più commoventi, di più impegnati, di più facili e di più difficili; è nella natura del romanzo proporre argomenti, tematiche, modalità di scrittura e di narrazione quanto mai diverse o addirittura contrastanti tra loro. Ognuno ha le sue preferenze, ogni epoca ha le sue costanti, le sue simpatie e le sue avversioni  e la letteratura ne è uno specchio, a volte fedele, a volte deformante.

I promessi sposi è calato nella sua realtà ottocentesca e romantica tutta italiana nel modo più originale e profondo possibile; è un romanzo storico, il romanzo storico italiano per eccellenza, non certo l’unico. Ma già sotto questo aspetto ha qualcosa in più e di più particolare rispetto a tutti gli altri, soprattutto rispetto alla coeva produzione europea, in particolare a quella di Walter Scott.

Per Manzoni la storia non è solo lo sfondo su cui proiettare la vicenda dei suoi personaggi, frutto della sua fantasia, anche se, in ossequio alla moda del tempo, finge di averla ricavata da un manoscritto anonimo del seicento, da lui semplicemente rivisto e proposto ai suoi “venticinque lettori” in una lingua più semplice e chiara del fastidioso periodare barocco dell’immaginario manoscritto. E già qui l’importanza attribuita da Manzoni alla lingua, quindi alla comunicazione, appare evidente.

Ma questo è un punto che merita una trattazione a parte. Torniamo alla storia, cioè all’epoca dei fatti, del mancato matrimonio e di tutte le vicissitudini che ne conseguono, le “avventure” di Renzo e Lucia. Per Manzoni la storia è materia di studio appassionato, un modo di cercare di raccontare “il vero”, cioè di arrivare ad una narrazione la più verisimile possibile, lontana non solo dalla superficialità degli anacronismi di cui pullula tanta cinematografia attuale e non , ma anche dagli stereotipi sulle diverse epoche, in tanti romanzi tanto esagerati da diventare macchiettistici.

La storia serve a Manzoni per cercar di arrivare alla “verità” della narrazione, una preoccupazione tanto pressante che lo condurrà alla fine alla decisione del silenzio, ad una cupa visione della letteratura quasi come inutile ancella dell’unica vera disciplina che può condurre al vero, cioè la storia stessa. Ma per nostra fortuna (o sfortuna, come pensano i suoi detrattori) prima di chiudersi nel doloroso silenzio dell’ultima parte della sua vita, funestata da tanti terribili lutti, don Lisander ha dedicato gran parte della sua vita al suo romanzo, l’unico che abbia scritto.

È vero, c’è stato prima il Fermo e Lucia, ci sono state le diverse edizioni dei Promessi sposi, c’è stata la Storia della monaca di Monza, c’è stata la Storia della colonna infame, ma si tratta di varie fasi della composizione di un unico libro oppure di saggi a sé stanti, frutto degli studi sulla società  lombarda del seicento, ritenuti fondamentali da Manzoni perché il suo romanzo potesse davvero definirsi storico.  

Ecco quindi, in sintesi, uno dei motivi per cui, a mio modesto avviso, bisogna continuare a leggere I promessi sposi; in un’epoca in cui il romanzo storico era il genere più diffuso e più di moda, il testo di Manzoni si differenzia innanzitutto per la profondità degli studi preparatori e per il pensiero sul genere stesso del romanzo storico, una riflessione che lo ha coinvolto in modo davvero assoluto e totale. Naturalmente sulle sue conclusioni, cioè il silenzio dell’ultima parte della sua vita, i pareri possono essere diversi, ma mi piace concludere con un’altra riflessione sulle scelte di Manzoni che rendono a mio avviso la conoscenza della sua opera importante per la nostra società; scrisse un unico romanzo, rivisto e modificato più volte e preceduto da studi tanto accurati quanto le revisioni.

Cosa significa tutto ciò? Che Manzoni non ha avuto la capacità di scrivere un altro romanzo? Sinceramente non credo proprio; penso piuttosto che, forse anche per attitudine personale, abbia deciso di approfondire accuratamente gli argomenti di cui scriveva e di scandagliare gli animi dei suoi personaggi nel modo più preciso possibile, dandoci in questo modo, oltre che un ottimo romanzo storico, anche un esempio di come si debba, almeno a mio avviso, affrontare la stesura di un libro. Bando all’improvvisazione ed al dilettantismo; bisogna sapere bene ciò di cui si parla.

A volte la scelta di dedicarsi ad un unico argomento per anni può essere quella vincente, quella che ci porta ad osservare quel granellino di sabbia su cui non avevamo mai pensato che valesse la pena di soffermarsi e che ci permetterà invece di dare una luce diversa a tutto il nostro campo di studi.

In un’epoca come la nostra, dominata dall’improvvisazione e dal pressapochismo, dove l’imperativo categorico sembra essere quello di fare tutto in fretta, dove il rigore del pensiero e del comportamento sembra essere bandito, dove chi ha letto due saggi in croce su Petrarca  si definisce esperto di letteratura medioevale, per non parlare delle pubblicazioni in cui la conoscenza di ortografia, punteggiatura e sintassi è considerata un optional non rilevante, ecco direi che non è un insegnamento da poco. Certo, bisogna essere disposti ad andare controcorrente.  

 

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Articolo pubblicato il 18/06/2023