Vittorio Emanuele III? Un re discusso

La nuova opera di Aldo A. Mola, recensita da Carlo Sburlati

Vittorio Emanuele III di Savoia (Napoli, 11 novembre 1869-Alessandria d’Egitto 28 dicembre 1947) fu re d’Italia dall’assassinio di suo padre Umberto I (29 luglio1900) all’abdicazione (9 maggio 1946). A lungo ai margini degli studi storici (ne scrisse Frédéric Le Moal in Victor-Emmanuel III. Un roi face à Mussolini, Parigi, Perrin, 2015; trad. Vittorio Emanuele III, Gorizia, Leg, 2016), ora è ritratto a tutto tondo in un volume di Aldo A. Mola. Dopo corposa cronologia e ampia premessa (Requiem per il re discusso, sintesi dei principali addebiti solitamente mossi al sovrano, da Luigi Salvatorelli accusato di tre “colpi di Stato”), in quattordici capitoli l’autore percorre le diverse fasi del lungo regno di un sovrano che fu anche imperatore d’Etiopia e re di Albania. Nel primo quindicennio, solitamente ma riduttivamente detto “età giolittiana” (di cui dal 1971 Mola è studioso accreditato), valendosi di statisti eminenti (quali Zanardelli, Giolitti, Fortis, Sonnino e Luzzatti), presidenti di una dozzina di governi, il re promosse crescita civile ed economico-sociale. Con l’intervento nella Grande Guerra (1915-1918), da lui voluto di concerto con Salandra e Sonnino, per la prima volta nella storia i confini politici dell’Italia coincisero con quelli geografici.   

Il 30 ottobre 1922, dopo sette ministeri inconcludenti, dopo rapide consultazioni dall’esito convergente, il re incaricò Benito Mussolini di formare il governo. Nacque un governo di coalizione costituzionale comprendente nazionalisti, liberali, giolittiani, democratici sociali, i cattolici del partito popolare italiano e fascisti. Fu approvato dal Parlamento a larghissima maggioranza. Sempre col sostegno delle Camere e facilitato dagli errori dell’opposizione, dal giugno 1924 in massima parte arroccata sull’“Aventino”, il “duce del fascismo” costruì poi il regime di partito unico che annientò la democrazia parlamentare, represse le libertà di associazione e politiche, concluse con la Santa Sede i Patti Lateranensi (1929), dichiarò guerra all’Etiopia, varò le leggi contro gli ebrei italiani (1938) e stipulò il “patto di acciaio” con la Germania di Adolf Hitler (dal 1938 direttamente confinante con l’Italia), seguìto il 10 giugno 1940 dall’intervento che motivò la resa della Francia e fermò l’avanzata germanica verso il Mediterraneo.

Re scrupolosamente costituzionale, privo di alternative e contrario a scaricare il “brut fardèl” della Corona sul figlio Umberto principe di Piemonte, dopo tre anni di guerra dall’esito catastrofico il 25 luglio 1943 Vittorio Emanuele III revocò Mussolini da capo del governo, smantellò il “regime” e ottenne la resa dell’Italia, riconosciuta “cobelligerante” dalle Nazioni Unite. Con il trasferimento da Roma a Brindisi, argomenta Mola, il Re salvò la continuità dello Stato e intraprese la ricostruzione promuovendo la lotta di liberazione. Trasferiti i poteri della Corona al figlio in veste di Luogotenente del regno (5 giugno 1944), il 9 maggio 1946 abdicò e si trasferì con la Regina Elena in Egitto nella pienezza dei diritti politici e civili. Con formula allusiva Mola osserva che Vittorio Emanuele III “si congedò dai vivi” quattro giorni prima che la Costituzione della Repubblica, in vigore al 1° gennaio 1948, interdicesse a lui, alla regina Elena e ai discendenti maschi il rientro e il soggiorno in Italia e lo privasse dei beni.

Lo storico Aldo A. Mola, classe 1943, dal 1980 Medaglia d’Oro per la Cultura (conferitagli dal Presidente Sandro Pertini), non condanna, non assolve, né giustifica: con rigore e stile accattivante documenta e affida al lettore la libertà di valutare. Sulla scorta di copiosi inediti (tra i quali le significative “dichiarazioni” rese ad Angelo Gatti dai generali Ugo Brusati e Arturo Cittadini, che da primi aiutanti di campo lo conobbero a fondo), mette in primo piano il ruolo politico-istituzionale svolto da un sovrano coltissimo, enigmatico, controverso, il cui regno fu tutt’uno col mezzo secolo di ascesa e crisi della Nuova Italia.

Nell’Appendice Mola pubblica, fra altro, la legge istitutiva del Gran consiglio del fascismo (9 dicembre 1928, n. 2693), per evidenziare che, a differenza di quanto solitamente scritto e/o creduto, l’“organo della rivoluzione fascista” non poté mai esercitare alcuna interferenza sulla successione dinastica, perché era abilitato solo a esprimere “pareri” (non vincolanti). Perciò il “ventennio” non fu affatto “diarchia” né, meno ancora, subordinazione del re al duce. Quando lo ritenne necessario, Vittorio Emanuele III esercitò i suoi poteri, molto al di là del “voto” approvato a maggioranza dal Gran consiglio del fascismo il 25 luglio 1943.

Autore di molte opere, tra le quali la fondamentale Storia della massoneria italiana (1976 e ss.), dal 1992 contitolare della cattedra “Théodore Verhaegen dell’Università Libera di Bruxelles e a lungo componente della giuria scientifica del Premio Acqui Storia, premio alla carriera della Città di Sanremo (2022), nel dicembre 2017 Mola concorse con la Principessa Maria Gabriella di Savoia alla traslazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena da Alessandria d’Egitto e da Montpellier al Santuario di Vicoforte, Mausoleo della Casa, propiziata dal Presidente Sergio Mattarella: una “ricomposizione della memoria” documentata da suggestive fotografie pubblicate nell’inserto iconografico di un volume che rimarrà opera di riferimento per gli studi sulla storia della monarchia in Italia. 

Carlo Sburlati

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Articolo pubblicato il 23/06/2023