Vanchiglia e Vanchiglietta, a Torino

Un quartiere, due storie

Una descrizione non troppo lontana nel tempo riguardante il quartiere di Vanchiglia ci viene da Pietro Abate Daga e dal suo libro Alle porte di Torino.

«Vanchiglia. Vi è stato in passato qualche discrepanza fra gli studiosi della storia di Torino circa l'etimologia del nome di questo borgo, che, in origine si stendeva dalla piazza Vittorio verso la Dora, lungo la sponda sinistra del Po, Vi fu chi ritenne che Vanchiglia fosse una corruzione del vocabolo fanghiglia, quasi a ricordo della natura paludosa del terreno. La versione più attendibile è, però; quella del Flecchia e del Massia: Vanchìglia deriva dalla successiva trasformazione di Gunchilla in Vuinchilla, Vinchilia o Vincaja, luogo pieno di vinchi (si dice ancora ai giorni nostri in piemontese vench), come dovevano essere tali paraggi acquitrinosi. Ad ogni modo qualunque sia l'etimologia della parola, di tali condizioni del terreno, ora interamente ricoperto dalle abitazioni, non rimane più: traccia. Non solo, ma quello che era una volta il Borgo Vanchiglia, è divenuto in gran parte zona centrale per l'espandersi della città. Se dalla piazza Vittorio Veneto non partisse ancora la via Vanchiglia, certamente nel concetto della cittadinanza i confini del borgo sarebbero molto più lontani, cioè oltre il corso Regina Margherita, o quanto meno oltre il corso San Maurizio. Intanto nella denominazione della zona una distinzione già esiste: Vanchiglia, che è la parte più interna, e Vanchiglietta, che costituisce il vero borgo periferico, confinante col borgo Rossini, col quale ha comunione di origini, di vita, di interessi».

Alla fine dell’Ottocento «il terreno che è oltre il corso San Maurizio e che va alla Dora ed al Po, doveva aver poco pregio e minori lusinghe per i costruttori. Pare che il Municipio fosse di ciò ben consapevole, poichè deliberando che il corso Regina Margherita dovesse mantenere la sua linea retta, accordava il terreno, che conduce al ponte Rossini, gratuitamente ad un’impresa, con accordo che sul terreno fossero costruite case ad uso abitazione. E sono bastati pochi anni per far popolare di costruzioni, di case».

Insieme alle abitazioni, nascono fabbriche e piccoli stabilimenti in un progetto di espansione urbana ed industriale, al passo con i tempi. Si sviluppa, quindi, un borgo ricco di officine e opifici, abitato in gran parte da operai, in un concetto di vicinanza fra casa e lavoro che oggi abbiamo perduto. Negli ambienti produttivi si lavorano il vetro e il piombo, il ferro e il cotone. Non mancano le fabbriche dolciarie, tra cui quella delle “Gallettine e Dora Bisquits”.

Lo sviluppo di Vanchiglietta è tutto del primo Novecento, anche grazie a molte imprese produttive: le Officine della Società Consumatori Gas, di cui rimane il “gasometro” tra corso Farini e corso Regina Margherita (1);

l’Officina Moncenisio, succursale delle Officine di Condove già Bauchiero (dal 1953 sarà sostituito dal Deposito GTT Tortona – Manin, con un intervento di Pier Luigi Nervi);

lo stabilimento meccanico Mantovani, fondato nel 1919;

il Lanificio Laclaire e Salietti in via Mongrando 6, fondato nel 1901; nello stabilimento si lavorano lane e tessuti pregiati che vincono i Gran Premi alle Esposizioni di Bruxelles del 1910 e di Torino nel 1911; durante il secondo conflitto mondiale l'industria è in parte distrutta dal bombardamento del 13 luglio 1943;

gli stabilimenti Venchi di corso Regina Margherita 16, su progetto di Pietro Fenoglio, appartengono alla Società Anonima S. Venchi e C., che ha avuto origine nel 1878 in un piccolo locale di via Artisti. Dopo la morte del fondatore, nel 1922, nel cortile dello stabilimento viene eretto un monumento a opera dello scultore Cellini, sul cui piedistallo vi è il motto Labor Omnia Vincit.

l’Opificio Militare si stabilisce in corso Regina Margherita 16, dopo il trasferimento della Venchi; e diventa il più importante magazzino dell’esercito in città; abbandonato dai militari in fuga dopo l’8 settembre, viene ripetutamente saccheggiato dalla folla: a mezzogiorno del giorno 11 settembre intervengono i tedeschi, che aprono il fuoco, il bilancio sarà di 17 morti;

la Società Anonima Pettinatura Alta Italia era un’industria di lavorazione di lana e fibre tessili, che occupava un fabbricato nell'isolato tra via Andorno, via Oropa, via Lessolo e via Varallo. Durante l'incursione aerea del 13 luglio 1943, una bomba incendiaria causa la distruzione di quattro dei cinque locali dello stabilimento. Oggi su quell'area sorge un edificio di recente costruzione ad uso abitativo e commerciale;

la Filatura di Torino era un fabbricato industriale comprendente buona parte dell'isolato individuato tra le attuali vie Mongrando, Varallo, Lessolo e lungo Po Antonelli. Durante l'incursione del 13 luglio 1943 bomba incendiaria causa la distruzione di parte dei fabbricati;

la fabbrica di carrozzerie Farina aveva sede in corso Tortona 12, fondata nel 1910. Nel 1930 Battista Farina fonda la Società Carrozzerie Pininfarina, abbandona il complesso e trasferisce le lavorazioni in Borgo San Paolo, nella struttura di corso Trapani 107; il cav. Farina promuove fra i suoi dipendenti una Società di Mutuo Soccorso e una Cooperative di Consumo;

la Carrozzeria Garavini, in corso Regina Margherita 17. Eusebio Garavini (Forlì 1878 - Torino 1947) nel 1899 inizia a lavorare come operaio nelle officine Diatto, passa poi alla Locati e Torretta e infine, con la qualifica di direttore tecnico, alla carrozzeria Taurus. Nel 1908 rileva la carrozzeria Piemonte che, nel 1911, viene trasformata nella società G. Diatto - E. Garavini & C. Garavini s.a., Per effetto della crisi del 1929, nel 1933 si arriva al fallimento. Subentra così una società di gestione dell'azienda, che nel 1935 si trasforma nella Società Stabilimenti Garavini. Durante la Seconda guerra mondiale produce veicoli per le forze armate, ambulanze e slitte a motore per l'ARMIR. Una parte degli stabilimenti viene distrutta dai bombardamenti aerei e dopo la guerra l'attività produttiva riprende per un breve periodo con la realizzazione di veicoli industriali e ambulanze.

Quando Pietro Abate Daga compie la sua ricognizione nei quartieri di Torino si sta progettando il ponte sul Po, al termine di corso Belgio (così chiamato in onore della Principessa Maria José, che sposa nel 1930 l’erede al trono, il Principe Umberto), «l'opera più grandiosa che porterà il maggior sviluppo ed incremento nella regione Vanchiglietta è senza dubbio la costruzione del ponte sul Po in corrispondenza del corso Belgio ed il conseguente completamento di questo corso e la sistemazione definitiva della Dora».

Un impulso a questo territorio viene dall’abbattimento della cinta daziaria: «La cinta daziaria divideva la regione in due parti, le qua li potevano a stento comunicare a mezzo della barriera Vanchiglia e dei due passaggi presso la Dora ed il Po.

La costruzione del ponte del Colombaro sulla Dora (2) ed il contemporaneo inalveamento del torrente e poi l'abbattimento della cinta dazi aria hanno dato vita a questa regione, che fino agli ultimi an ni era rimasta isolata dalla restante parte della città, chiusa fra la cinta daziaria, il Po e la Dora tortuosa e soggetta solo, per antica consuetudine, a ricevere ed a smaltire nei suoi prati le acque immonde provenienti dalla città».

L’abbattimento della cinta daziaria libera anche un locale che viene destinato a scuola per i più piccoli: «Nell' ex- casotto del dazio dell'antica barriera, opportunamente sistemato, ha preso sede l'asilo infantile fondato dal grand'uff. Laclaire, ex amministratore della nostra città. Esso accoglie ogni giorno da 70 ad 80 bambini, in grande maggioranza figli di operai, ai quali è prodigata ogni cura più amorosa. E' presidente attuale dell’asilo il geometra Florio e direttrice la signorina Clementina Castagno. Il Municipio aiuta la buona istituzione con un sussidio di 750 lire, oltre il pagamento dello stipendio a due maestre».

Quale vita sociale e associativa si svolgeva nel quartiere? Ci affidiamo ancora alla penna di Abate Daga: «Fiorente è il Circolo Vanchiglietta fra proprietari, industriali e commercianti. Esso si è costituito in Cooperativa ed ha costruito in via Cigliano, 34, la propria sede, non sfarzosa, ma di una elegante e decorosa semplicità. Trecento circa sono i soci. Ne è presidente il giovane cav. geom, Florio, che agli interessi del borgo dedica molta parte della sua intelligente attività. Gli operai hanno costituita la loro Associazione di mutuo soccorso ex-barriera di Vanchiglia. Attualmente contano un centinaio di soci. L'Associazione ha sede in via Mongrando.

Più recente, come è naturale, è il Circolo fascista, che ha scelto a proprio centro la via Cossila,

Della vita sociale del borgo sono ancora esponenti la Società di M. S. «L' Idea», in corso Belgio, la Società dei cacciatori, le due Società sportive «Biagio Nazzaro» e «Gist», nonchè il Corpo musicale «La Margherita», che più volte si è affermato in manifestazioni e concorsi (…)».

Molto è cambiato da allora; Vanchiglia e Vanchiglietta, pur nella diversità storica e ambientale delle due anime, hanno mantenuto una uniformità che le rende riconoscibili, una ex barriera ormai vicina al centro, un quartiere non sovraffollato, fra città e collina, con la vita ancora a dimensione umana.

Bibliografia

Pietro Abate Daga – Alle porte di Torino – 1926 – Italia Industriale Artistica Editrice - Torino

Note

(1) I Gasometri, oggi, sono monumenti di archeologia industriale. In passato, venivano utilizzati per accumulare il gas, prodotto prima per gassificazione del carbone e, successivamente, tramite cracking del petrolio. Questo gas veniva utilizzato sia per usi domestici, sia per l'illuminazione pubblica delle città.  A Torino, nel 1837, tre compagnie di illuminazione e gas si unificarono nella "Società Italiana per il Gaz" con sede produttiva in Borgo Vanchiglia, tra i campi coltivati intorno alla Dora, collegata a corso Santa Barbara oggi Corso Regina Margherita.

(2) Il Ponte Carlo Emanuele I, o Ponte del Colombaro, così denominato perché situato in prossimità della Barriera del Colombaro, sulla Dora tra corso Tortona e corso Novara, è un significativo esempio di ponte in cemento armato dell’inizio del Novecento. Nel 1902 l’ingegnere Giovanni Antonio Porcheddu riceve l’incarico di costruire questa struttura, realizzata utilizzando il metodo di François Hennebique. Nessuna strada torinese ricorda Carlo Emanuele I, ad eccezione del ponte sopra descritto, forse per la sua fama di occultista?

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Articolo pubblicato il 07/07/2023