In principio… Uno sguardo sul passato perduto

di Fabia Ghenzovich

La poesia ha il valore di una riappropriazione globale del soggetto, che sa immergersi completamente nel magma che siamo, dando voce anche al disadattamento che la poesia esprime verso il proprio tempo.

Credo che l'Arte tutta ed ogni incontro multidisciplinare tra le arti, possa contrapporsi ai progetti di un potere che nella divisione, nella negazione del soggetto libero, ridotto a merce, vuole realizzare il completo dominio e la guerra infinita dettata da continue emergenze e mentalità belliche, contrarie all'umano al quale sottrarre ogni responsabilità del proprio tempo e delle libere potenzialità che la vita ci offre. 

 

C’era un tempo in cui gli uomini amavano chi raccontava loro storie e leggende di vita e di morte, della bellezza e dell’amore.

Li chiamavano cantori o cantastorie, li ascoltavano con attenzione e viva partecipazione, a volte nella piazza, a volte sotto un grande faggio sapiente, una quercia possente o una palma della pace aperta a stella.

Era il tempo in cui gli uomini si parlavano guardandosi intensamente negli occhi perché negli occhi vedevano l’anima e comprendevano la natura dell’uomo.

Era il tempo dell’ascolto e poi col tempo, a poco a poco la parola si inorgoglì, assunse toni “alti”, astratti, concettuali, costruì cattedrali del sapere e alfabetiche Babeli.

Gli uomini non si guardavano più intensamente negli occhi, non si ascoltavano più perché diffidavano l’uno dell’altro.

La parola divenne strumento, per lo più di quotidiano raggiro, di dominio o fascinazione, divenne statua, a poco a poco divenne corpo vuoto di un algoritmo di controllo.

Smarrì il suono dell’antico amore che la generava e col suono smarrì il dono.

La poesia non fu più quel giardino luminoso e quel dio che l’animava, né fu più possibile vedere l’anima perché divennero ciechi gli occhi degli uomini come cieche divennero le loro parole.

La luce cadde a poco a poco e fu buio, buio assoluto.

 

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Articolo pubblicato il 01/07/2023