Ghemme (NO): il suo "terroir" e Torraccia del Piantavigna, gemme dell’Alto Piemonte vinicolo
Da sx Giacomo Ponti, e Alessandro Francoli

Non solo longevo, ma anche fresco ed elegante: è il Nebbiolo di Torraccia del Piantavigna, figlio di Ghemme, del Monte Rosa e del supervulcano.

Degustare l’Alto Piemonte vinicolo significa fare la conoscenza con vini dal ricco passato, eleganti, affascinanti, che stanno recuperando il posto che loro spetta nell’enologia nazionale, prodotti in un territorio che merita di essere visitato per la sua bellezza.  L’Alto Piemonte rappresenta un territorio molto particolare: 180 milioni di anni fa, un supervulcano esplose con una violenza tale da modificare per molti anni il clima del pianeta. La sua caldera coincideva con le valli dei fiumi Sesia e Sessera, tra le province di Novara, Vercelli e Biella. 50 milioni di anni fa la placca africana si scontra con quella europea dando origine alle Alpi. A seguito dello scontro, l’intera struttura sommersa dell’antico supervulcano viene proiettata in superficie, assumendo un andamento orizzontale.

A partire dagli anni ’80, il geologo triestino Luciano Sinigoi con il collega americano James Quick iniziano a percorrere l’Alta Valsesia, fino a quando, presso il paese di Balmuccia, dove ancora si possono rintracciare i segni dello scontro tra le placche, ad un’attenta verifica della parete a strapiombo striata di nero di una modesta montagna, i due studiosi restano colpiti perché la parete ha l’aspetto del mantello terrestre, che dovrebbe trovarsi 22 km sottoterra, e non in superfice. È la scoperta del supervulcano fossile della Valsesia, che tutti possono visitare presso il Sesia Val Grande Geopark.

Come sono collegati il supervulcano, il territorio dell’Alto Piemonte e i suoi vini? Il Piemonte vinicolo definito Alto, nato dalla devastante esplosione del supervulcano in epoca preistorica, è tagliato in due dal Sesia, che scende a valle velocemente dai 2500 metri dei ghiacciai del Monte Rosa dove sgorga in tutta la sua purezza, e per un numero crescente di winelovers rappresenta la culla dell’enologia di qualità ancora da scoprire in tutta la sua potenzialità, grazie a pendii da cui nascono “uve nere che danno vino da località fredde”, come già sosteneva nei suoi scritti agresti del I sec D.C., il latino Columella. Nel contesto atmosferico attuale condizionato dal global warming, questa peculiarità microclimatica rappresenta un elemento caratteristico tutt’altro che secondario per coloro che si occupano di viticoltura e vanno cercando i contesti meno inclini ad esposizioni torride, perché evita di doversi rivolgere ai vigneti di alta montagna.

L’esplosione del supervulcano generò un’immane colonna di fumo che ricoprì di detriti l’intero territorio, ancora oggi caratterizzato da terre argillose e tufacee oltre che sorprendentemente ricche di sali minerali, sulle quali hanno operato, per millenni, i ghiacciai. E alla sinistra del Sesia, dove le dolci colline si staccano improvvisamente dal grembo del fiume, ecco Ghemme, piccola Docg enologica, ma terra florida grazie alle periodiche esondazioni che l’hanno messa per secoli al centro di rivendicazioni prima fra Imperatori e poi fra Ducati. Terra generosa e clima fresco: è questo il fondamentale e rarissimo binomio che costituisce il “terroir” di Ghemme, una conditio sine qua non per generare vini che rispecchino un’identità unica ed autentica, che si manifesta con una prolungata e indomita giovinezza nonostante i molti anni dalla vendemmia.

“Eleganza, complessità, freschezza, longevità: sono i tratti che desideriamo che esprimano i vini, soprattutto nelle versioni che, prima di presentare ai nostri affezionati clienti, affiniamo per molti anni nelle grandi botti di Allier della storica cantina e successivamente ancora per lungo tempo anche in bottiglia. L’obiettivo è che risultino coinvolgenti anche per i palati più raffinati, esprimendo il terroir del Ghemme, la nostra versione del Nebbiolo più identitaria, che siamo soliti definire figlio del Monte Rosa e ovviamente del supervulcano” raccontano i titolari della cantina Torraccia del Piantavigna, Alessandro Francoli e Giacomo Ponti, aggiungendo: “Il cambiamento climatico ha proiettato questa storica zona enologica piemontese al centro dell’attenzione degli appassionati grazie al microclima che permette produzioni molto raffinate a scapito di concentrazioni e pesantezze. È un Piemonte nuovo ed elegante quello che stiamo presentando e che stupisce ed incuriosisce tutti i winelovers”.

Alessandro Francoli, Giacomo Ponti e la loro Torraccia del Piantavigna si inseriscono in un contesto storico che affonda le sue radici nella storia. A testimonianza dello stretto legame tra l’uva, il vino e il territorio, lo stemma comunale di Ghemme, al suo centro, riporta un grappolo di vite. Sulle colline novaresi la viticoltura ha origini antichissime che risalgono addirittura all'epoca preromana, come testimoniano i ritrovamenti di coppe da vino e vinaccioli in mostra ai musei archeologici di Torino e Milano. Altrettanto importanti i numerosi ritrovamenti d’epoca romana: Ghemme è infatti l’unico “pagus” romano documentato nel Novarese (“pagus agaminus”). Fra i reperti ritrovati merita la citazione la lapide di Vibia Earina, liberta di Vibio Crispo, potente senatore romano, grande latifondista vercellese, che possedeva numerosi vigneti. Sempre in zona venne alla luce la celebre “diatreta Trivulzio”, coppa vitrea del secolo IV-V, ornata con la scritta “bibe et vivas multis annis”.


In epoca medioevale, i canonici di S. Giulio d’Orta possedevano numerose vigne affidate agli abili vignaioli ghemmesi, fra i quali uno dal nome particolarissimo, Novellino di Enrico delle Vigne (“de Vineis”); altro nome particolare portava Giacomino de Bechis detto “potor”, cioè bevitore, padre del fondatore di una cappella alla Beata Panacea nella chiesa di Ghemme nel 1448. Nel XV secolo il vino di Ghemme conquista la corte dei Visconti e poi degli Sforza a Milano. Nobili famiglie novaresi e milanesi acquistarono in quell'epoca terreni e vigne dedicandosi alla produzione del vino. La fama del vino ghemmese si diffuse nel corso del ‘600 e ‘700: era ricercato non solo dalle nobili famiglie ma anche dalle migliori osterie di Milano, che facevano a gara per garantirsi una fornitura di qualche buon bottale di vino di “ronco”; il “ronco” è ancora adesso tra le migliori zone di produzione. E non a caso proprio i ronchi erano conosciuti con nomi specifici, atti a distinguerli dal resto del territorio, quelli che oggi si identificano come cru.

Lo storico Bianchini racconta nel 1831 che a Novara le famiglie dell'aristocrazia usavano aprire, ogni anno, una bottiglia di Ghemme la sera della Vigilia di Natale, davanti al camino per lo scambio degli auguri, secondo un’usanza tipicamente milanese.
Nell’Ottocento a Ghemme nacquero alcune delle più importanti cantine che vinsero parecchi concorsi enologici sia in Italia sia all’estero. Le bottiglie del Ghemme fecero la circumnavigazione del globo, inviate a Melbourne in Australia per sperimentare la loro conservazione, altre invece furono inviate nelle Americhe, e, negli Stati Uniti, il Ghemme era consigliato quale “medicinal corroborant wine”.

Anche la letteratura si occupa del vino Ghemme: Antonio Fogazzaro nel primo capitolo di “Piccolo mondo antico”, siamo nel 1895, cita il “vin di Ghemme” come accompagnamento di un pranzo organizzato dalla marchesa Maironi, e gli fa eco Mario Soldati, che nel suo racconto “L'albergo di Ghemme” decanta questo vino: “Il Ghemme: eccellente, prim’ordine”.

Sulle dolci colline dell’Alto Piemonte si coltivano principalmente Nebbiolo e Vespolina, con il più nobile Nebbiolo che qua si caratterizza di una espressività terrosa, ma anche florida, che sboccia dopo affinamenti lunghissimi nei quali l’agrumata freschezza (a volte con note mentolate) rappresenta una caratteristica inimitabile. I grappoli compatti ed un po’ alati del Nebbiolo di Ghemme vengono raccolti tra gli ultimi dell’intero Piemonte enologico beneficiando delle brume autunnali che esaltano gli sbalzi termici regolati dal massiccio montuoso del Rosa che sovrasta il territorio.

La composizione del terreno ghemmese, molto varia e di derivazione alpina, vede un substrato di rocce disgregate composto da ciottoli di granito, porfido, detriti di gneiss, scisti e sfaldature di rocce dolomitiche del monte Fenera: è un suolo arido, ottimo per conferire ricchezza organolettica al vino. In termini microclimatici, la presenza del Monte Rosa alle spalle è un fattore dominante, come per tutto il nord Piemonte vinicolo, nel bene e nel male: se da un lato ripara le colline dai venti freddi del nord e dalle nevicate, che non scaricano sulle colline, per farlo, in genere, sulla pianura sottostante e sul Monferrato, favorendo il germogliamento precoce delle viti, dall’altro l’imponente massiccio montuoso può determinare frequenti grandinate. La stazione meteorologica di Ghemme indica una temperatura media di circa 12°C e una piovosità complessiva annua di circa 1046mm.

A Ghemme la tradizione di Pierino Piantavigna che 70 anni or sono piantò il primo vigneto nei pressi del seicentesco castello di Cavenago dando vita alla blasonata cantina Torraccia del Piantavigna (190mila bottiglie, 40 ha vitati), è oggi sostenuta e sviluppata, con amore e dedizione, dalle famiglie Francoli e Ponti che propongono vini dalla marcata identità e soprattutto da una impareggiabile orgogliosa freschezza.

Il Ghemme di Torraccia del Piantavigna è un vino di grandissima qualità: si presenta di colore rosso rubino con riflessi granati, che nel tempo vira verso il mattonato, profumi che in gioventù si articolano in sentori di viola, frutti di bosco, prugna, avvolgenti note di liquirizia, sottobosco, spezie e balsamicità. Al palato si avverte una persistente e saporita sapidità ed un'elegante sensazione di pienezza del sorso, impreziosita da tannini morbidi che si armonizzano nella sua struttura, resa vibrante dall’acidità.

Il Ghemme è un vino assai ricco e complesso, da abbinare ai brasati e agli arrosti di carne rossa, ai primi piatti al ragù, anche di selvaggina, e a tutti i formaggi stagionati. Si abbina al tapulone e alla panissa, ovvero a due dei piatti più tipici del nord del Piemonte.

(Foto d'apertura: Giacom0 Ponti, il Ponti dell'aceto, e Alessandro Francoli, quello delle grappe e delle marmellate e genepy de La Valdotaine).

 

Paolo Manna

 

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Articolo pubblicato il 11/07/2023