Qualche considerazione sulla bellezza

Un contributo del Prof. Antonio BINNI, Gran Maestro Emerito della GLDI

La questione della bellezza, per la filosofia, ha rivestito un costante interesse. Fin dalle sue origini greche. Mai, per altro, venuto meno perdurando fino ad oggi.

La continuità di questo interesse, tuttavia, non ha garantito un paradigma interpretativo condiviso. Da qui la decisione presa di limitare le nostre considerazioni unicamente a taluni profili. Dove la scelta è stata dolorosamente adottata, con la consapevolezza, tuttavia, della sua inevitabilità data la sede alla quale sono destinate queste note. Superfluo, in questa premessa, infine aggiungere che le scelte operate riflettono soltanto alcuni punti che, all'autore di questo scritto, sono parsi degni di essere messi in evidenza. 

Il primo profilo, sul quale intendiamo soffermare l'attenzione, è costituito dall'aspetto oscuro della bellezza. Il bello evoca infatti qualcosa di sconosciuto e di inquietante che va pertanto approfondito, utilizzando, all'uopo, così crediamo, la celebre opposizione fra Apollo e Dioniso proposta da Friedrich Nietzsche nel suo capolavoro giovanile La nascita della tragedia del 1872.  

La bellezza ha, infatti, indubitabilmente, una duplice dimensione. Da un lato, è apollinea, quando richiama i requisiti dell'armonia, della proporzione e dell'ordine. Dall'altro, è invece dionisiaca quando evoca l'incontenibile risvegliarsi della vita, l'oscura potenza del desiderio sessuale e dell'impulso generazionale, in genere, l'aprire fuori di sé - ek-stasi - nell'oltrepassamento dell'ovvio e dell'opinione comune. Dunque, se non andiamo errati, proprio questa duplice contestuale compresenza di elementi apollinei e dionisiaci è ciò che attribuisce alla bellezza la sua natura oscura e perturbante. 

Chiarito - almeno così crediamo - questo aspetto, in tema di bellezza, merita sicuramente, quantomeno, un cenno la sua interpretazione pitagorica che la lega ai requisiti dell'armonia, della proporzione e della sua conformità a leggi matematiche. Questo contributo all'approfondimento dell'argomento è infatti realmente fondamentale considerata la sua imprevedibile vitalità a distanza di molti secoli. Se è vero, come è vero, che questo insegnamento non è mai stato dimenticato.

Se vogliamo affrontare l'argomento prescelto nei dovuti termini rigorosi dobbiamo però guardare a Platone per avere questo sommo filosofo acquisito il merito di avere aperto una strada lungo la quale, in un modo o nell'altro, continuiamo a ritrovarci ancora oggi. Un cammino che ci è particolarmente caro perché ha riconosciuto alla bellezza un valore «metafisico».

  Affermando infatti che la bellezza rapisce e trasporta, Platone ha indicato un mezzo per uscire da sé, di un oltre pensarsi, che consente di scorgere l'essenziale intelligibilità delle cose, oltre il disordine e la confusione del contingente. Quanto dire un mezzo di conoscenza che permette di inaugurare il cammino che, dal visibile particolare, permette di immergersi nella comprensione del vero: una occasione unica - «sola» dirà Socrate - di staccarsi dall'ordinario e di prendere il volo verso l'essenziale, non transeunte, proprio perché, per definizione, stabile. Questo «oltre», in vista del raggiungimento di un mondo «altro», apre così a valori spirituali che imprimano alla veduta platonica una connotazione sopra-sensibile, assolutamente nuova e originale. Importante non solo per il retto pensare, ma anche per una vita buona.

Infatti, nel momento in cui si apre la bellezza a un orizzonte spirituale, ossia al passaggio dal «non essere» all’«essere», si mostra all'uomo la via per una vita buona perché imparare a discernere il vero dall'apparente falso genera quella esperienza che salda il bello con il buono. Una metafisica della bellezza, certo, ma profondamente radicata nella prassi. Si afferma infatti quel «vivere buono» che, per il greco antico, distingue l'essere umano dagli altri viventi. La bellezza sulla quale riflette Platone - in conclusione - è dunque qualcosa di «buono» per la vita perché, collegando il sensibile al trascendente, apre non solo alla idealità del pensiero, ma anche alla eticità del vivere bene.  

Non sarà infine inutile sottolineare che, nell'avere aperto una via d'accesso al trascendente, si deve scorgere il genuino inizio di ogni filosofare. Come ha riconosciuto anche Aristotele nel primo libro della Metafisica. Sarebbe sufficiente anche questo solo merito per  riconoscere in Platone un pilastro insostituibile per il pensiero e la cultura dell’Occidente.   

La «Metafisica della bellezza» ha  avuto alcune variazioni o integrazioni. La più significativa delle quali va sicuramente ascritta alle acute e profonde riflessioni di Plotino, per certo uno dei più influenti e innovativi seguaci di Platone. Nelle sue monumentali Enneadi, Plotino infatti affronta ripetutamente il tema della bellezza, al quale dedica perfino un intero capitolo del primo libro. A chi scrive sommessamente pare che il suo contributo più originale e significativo, destinato a fecondare, a lungo, ogni metafisica del bello, sia costituito dall'innestato requisito della semplicità, intesa, appunto, come il primo e più importante contrassegno della spiritualità del bello.

L'elemento della trascendenza segue comunque un lungo tragitto. La tradizione platonica si distende infatti per quasi due millenni fino a raggiungere il pensiero e la cultura rinascimentale. 

A conferma è sufficiente richiamare la riflessione del santo filosofo Tommaso che, unificando le diverse articolazioni sviluppatesi all'interno della tradizione platonica, riconosce essere dati essenziali della bellezza la perfezione, l'armonia e lo splendore. 

Con la teologizzazione della metafisica della bellezza la trascendenza ha però finito per perdere in fecondità filosofica, con un guadagno, tuttavia, in creatività artistica. Come subito dopo risulterà evidente.

Dopo avere insistito sulla importanza del «fare esperienza» della bellezza, quale via di accesso a una forma di vita superiore trascendentale, con l'effetto di rendere la vita migliore nel contingente fluire dei giorni, la filosofia si è pure interrogata sulla differenza che intercorre fra le manifestazioni «naturali» della bellezza e quelle che sono, invece, prodotte dall'essere umano nelle arti. 

Affrontare approfonditamente questo profilo ci condurrebbe molto lontano. È però ugualmente vero che questo tema, anche nella economia delle nostre riflessioni, merita almeno una sia pur breve considerazione avuto riguardo alla sua indubbia importanza. Addentriamoci perciò su questa strada, rifacendoci agli inizi. Come appare utile o, quantomeno, opportuno.

Secondo Platone, come è ormai universalmente noto, le cose esistenti non sarebbero altro che una pallida sbiadita copia delle verità ideali. Da qui la condanna di Platone della copia artistica nella sua ottica risolvendosi la stessa in una copia di una copia. Più in generale, la sua condanna senza appello, nella Repubblica, dello stesso concetto di mimesis che, nell'antica Grecia, riassumeva tutte le arti. 

Affrontando questo argomento con riferimento alla tragedia, Aristotele, nella sua Poetica, riconosce al tragico una sua incontestabile bellezza, considerata tuttavia soltanto come uno degli ingredienti, essenzialmente formali, della tragedia. Dunque un'esperienza della bellezza. Senza tuttavia un qualsiasi ruolo particolare. Meno che mai prevalente. Quella che viene offerta al pubblico della rappresentazione tragica, per Aristotele, è invece una effettiva esperienza di verità.

Con un salto cronologico ardito, rivolgiamo ora la nostra attenzione a Leonardo Da Vinci perché, nel suo Libro di pittura, questo sommo genio sostiene invece che proprio l'immagine dipinta è quella che porta allo scoperto la verità delle cose, liberando col che in via definitiva l'immagine sensibile dalla condanna platonica della mimesis.     

Questo capovolgimento dell'assunto platonico è poi una diretta conseguenza della valorizzazione - senza precedenti - dell’elemento sensibile e empirico che si manifesta nel momento esecutivo, nella «manuale operazione» (ivi, paragrafo 33). Donde l'importanza, già moderna, della «esperienza», così cara a Galileo.   

Insistendo sul punto, avuto riguardo alla sua novità e importanza. L'immagine viene considerata come un elemento ancor più veritativo di ogni contemplazione ideale: profilo filosofico esistente, ma non prevalente. Infatti, è solo l'immagine pittorica empirica - «meccanica»; manuale - quella che può condurre alla visibilità il vero aspetto delle cose. La realizzazione della immagine per questo è l'autentica scoperta del vero. La dissociazione da ogni interpretazione metafisica della bellezza è dunque totale e assoluta. 

Proprio perché il Nostro contesta il primato della idea - immagine mentale - sulla immagine realizzata con mano esperta, si può allora concludere con sicurezza che, nel pensiero di Leonardo, la pittura - espressione assunta in senso molto ampio - oltre ad essere imitazione, è soprattutto superamento della natura.        


La bellezza è un'esperienza umana universale permanente. La riflessione su questo aspetto così importante della vita è dunque destinata a continuare anche in futuro. Tuttavia nel campo dell'estetica dove poi è confluita.

… ma, questa, è un'altra storia da affrontare con tutto il rigore necessario! Tempo e impegni permettendo.

 

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Articolo pubblicato il 15/07/2023