Giovanni Battista Boetti: monferrino, domenicano e avventuriero, è ignota la sua fine

Dalle colline di Camino (AL), diventa il profeta Mansur e il Re del Caucaso

Giovanni Battista Boetti nasce il 2 giugno 1743 a Piazzano, parrocchia del mandamento di Camino, nel Monferrato, dal notaio Spirito Bartolomeo e da Margherita Montalto. A diciannove anni conclude un'adolescenza irrequieta con la fuga dalla casa paterna, munito di passaporti falsi: andrà a Milano, a Praga, a Ratisbona, a Strasburgo, prima di tornare in Italia, tra peripezie degne di un romanzo.

La visione del Santuario di Loreto lo induce al desiderio della vita religiosa. Fa il suo ingresso nell'Ordine Domenicano il 25 luglio 1763, nel convento di Ravenna. L'anno successivo è trasferito a Ferrara, dove per cinque anni studia teologia. La sua costante irrequietezza induce l'Ordine a destinarlo all'attività missionaria. Nel 1769 è inviato a Mossul, sul fiume Tigri. Durante il lungo viaggio è derubato dai marinai, seduce una nobildonna cattolica ad Aleppo e una giovane musulmana e rischia di essere impalato per aver bestemmiato contro Maometto; prima di arrivare a Mossul ha già imparato qualche rudimento di greco e di arabo. I suoi rapporti con i domenicani locali sono subito tempestosi; trova la protezione del Pascià, che lo sceglie come medico personale; grazie a lui, Boetti fa estromettere dalla direzione della missione padre Lanza, lo fa sostituire e lo costringe a tornare a Roma, dove diventerà il suo più accanito detrattore.

I rapporti con il Pascià di Mossul si guastano: ritenuto responsabile della morte di un turco affidato alle sue cure, Boetti è condannato a cinquanta colpi di bastone sulla pianta dei piedi ed esiliato. Da Amadiyah, nel Kurdistan, dove trova rifugio presso un nobile nestoriano, sollecita un intervento del governo turco per tornare a Mossul; viene accontentato, col consenso del Pascià, ma anche il nuovo soggiorno è turbato da contrasti con i domenicani, che sollevano contro di lui, presso il Pascià e la Congregazione di Propaganda Fide, accuse di condotta immorale e irregolarità. Di nuovo esiliato da Mossul e in disgrazia presso il cardinale Giuseppe Maria Castelli, Prefetto di Propaganda Fide, Boetti torna in Italia per giustificarsi, ma la sua richiesta di essere ascoltato dal Castelli e dal Superiore dell'Ordine è respinta e quest'ultimo impone il ritorno al convento ferrarese. Dopo una pausa al paese di origine, Boetti preferisce riprendere, senza autorizzazione, la via dell'Oriente.

La rottura non è senza conseguenze: dovunque egli si fermi, è preceduto da lettere della Congregazione di Propaganda Fide che mettono in guardia contro di lui, trattandolo come un apostata. In qualche modo, ad Urfa entra al servizio del Pascià come medico, segretario e tesoriere. Non rinuncia alla predicazione, che esercita in tutte le chiese cristiane della città, con il fascino della sua oratoria. I giacobiti (1) lo eleggono vescovo: in questa veste Boetti riconcilia cristiani e giacobiti, tanto che - come segnala una cronaca contemporanea derivata dalle memorie del Boetti - "ne firent qu'une seule Eglise" (Francesco Picco, p. 89) (2).

Quando Costantinopoli depone il Pascià di Urfa, Boetti si rifugia a Costantinopoli, dove ottiene la protezione del console francese, del vescovo latino e dei domenicani locali; tutti e tre si rivolgono alla Congregazione di Propaganda Fide perché gli sia consentito di giustificarsi. Il cardinale Castelli antepone la pregiudiziale del ritorno in convento e Boetti rimane a Costantinopoli più di due anni, durante i quali apprende il persiano e il turco; mette insieme una piccola fortuna, con i guadagni di medico e con i doni di una dama della Corte del Sultano.

La sua inquietudine gli fa riprendere la vita errabonda: viaggia per la Georgia, la Persia e la Siria travestito da armeno, fin che è sorpreso a copiare in un taccuino il piano delle fortificazioni di Damasco: accusato di essere una spia al soldo dei russi, è arrestato e ricondotto a Costantinopoli, dove torna in libertà corrompendo i giudici. Quest'ultima disavventura induce Boetti a un nuovo tentativo di rientro fra i domenicani. Torna in Italia e ottiene udienza da Papa Pio VI, alla quale non si presenta; va a Napoli e si ferma cinque mesi, poi è a Trieste e a Vienna. Qui lo raggiunge una lettera del Superiore dei Domenicani, che gli promette il perdono se fosse tornato in convento. Questa volta Boetti accetta e, rivestito l'abito, nel 1782 è accolto nel convento di Trino Vercellese, dove la sua vita conventuale è breve. La irregolarità dell’esperienza religiosa ha lasciato conseguenze sulla sua ortodossia: è accusato, dal guardiano del convento, di predicazione eretica. Boetti reagisce deponendo la tonaca e ricomincia i suoi viaggi: Nizza, Alicante, Cadice, Inghilterra, Amburgo e Pietroburgo. Qui si ferma quattro mesi, durante i quali scrive ai superiori a Roma per essere autorizzato a passare nel clero secolare. Non riceve risposta e, dopo un fallito tentativo di entrare al servizio del principe Potëmkin, riprende le sue peregrinazioni: Kazachistan, Persia, Georgia, Crimea, Costantinopoli. Si aggrega alla carovana di un mercante persiano e raggiunge Erzurum, attraversa la Persia e si ferma nuovamente ad Amadiyah. Vive più di tre mesi in una casa in affitto: come vuole la sua leggenda, assorto in profonde meditazioni; predica al popolo un nuovo verbo, un miscuglio di cristianesimo e islamismo, di deismo e utopismo illuministico. L'idea di Boetti è una grande riforma religiosa che investa Islam e Cristianesimo, che hanno smarrito i valori della fede. Vorrebbe ripristinare il culto interiore di un Dio unico e indivisibile: la Trinità e le forme esteriori del culto, l'idea di un premio o castigo eterno, il battesimo e la circoncisione, il sacerdozio sono oggetto della sua polemica. Cristo non è che un uomo, il Paradiso è l'assenza eterna del dolore. A queste verità egli aggiunge nuove norme morali: la fornicazione, l'incesto e il suicidio sono leciti; non sono ammessi la preghiera e l'adulterio; l'omicidio e il furto solo in caso di estrema necessità. Il suo è anche un programma sociale semplice, in cui i codardi, i poltroni, gli avari debbono essere privati delle ricchezze e mandati a lavorare nei campi.

Il nuovo credo deve essere imposto nel modo più risoluto, senza pietà per chi non lo accetta. Ed ecco i primi seguaci del "profeta Mansur", il profeta vittorioso, come subito viene denominato Boetti, reclutati ad Amadiyah, dove il khan si fa propagatore del verbo ed esalta il profeta.

Dopo alcuni scontri vittoriosi con piccoli nuclei dell'esercito turco, il piccolo esercito cresce, alimentato dal malcontento verso l'esosa amministrazione turca. Raggiunti i 3.000 uomini, Boetti marcia su Erzurum e ottiene un pesante tributo, poi si rivolge contro la Georgia, mentre la predicazione richiama altri seguaci. Quando marcia contro il Re georgiano Eraclio II, protetto dai Russi, dispone di 40.000 uomini che la disciplina feroce (esegue di sua mano le sentenze capitali contro i disubbidienti) e lo zelo religioso rendono guerrieri temibili (Tartari, Circassi e disertori dell'esercito russo).

Eraclio II non resiste: 22.000 georgiani cadono nello scontro; 10.000 sono venduti da Boetti al mercato degli schiavi di Costantinopoli. L'esercito del profeta marcia su Tiflis, che occupa e sottopone a saccheggio; molti feudatari pagano tributi all'invasore, il cui esercito è arrivato a 80.000 uomini. Eraclio II è costretto a venire a patti, Costantinopoli manda messi e doni a quel bizzarro capo di un anomalo esercito. Ed è a Costantinopoli che pensa Boetti: Sel?'m, secondo lui, non è abbastanza illuminato e bisogna sostituirlo. L'avventuriero piemontese mira tanto in alto?

Rimanda a Costantinopoli, di un ambasciatore inviatogli dal Sultano, soltanto la testa, e Selim si piega, invia nuovi doni e profferte d’amicizia; il profeta rinvia la conquista in cambio di cannoni da campagna e munizioni che il Sultano gli fa avere attraverso il Mar Nero.

Nell'ottobre 1786, dopo aver sfidato l'Impero turco, si rivolge contro quello russo. Il principe di Gori compra la sua protezione appena Boetti si affaccia nel Caucaso, l'agha kurdistano di Bitlis tenta di opporsi ed è sconfitto; l'esercito russo si fa incontro al profeta vittorioso, al comando del generale Apraksin e viene respinto. La fama delle imprese del profeta arriva alla corte di San Pietroburgo e in Europa. Si fantastica sulla sua personalità: un inviato del Lama tibetano, un bramino apostata, un granatiere piemontese rinnegato. La Corte russa si preoccupa dei danni che egli compie tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Contro Boetti viene di nuovo inviato il principe Potëmkin, che gli infligge una sconfitta pesante ma non decisiva. L'esercito del profeta si rifugia tra i monti del Caucaso e di lì inizia la guerriglia contro l'esercito russo, fiancheggiando i Turchi quando scoppia la guerra tra i due imperi.

Il profeta Mansur non si rassegna a un ruolo subalterno: vuole un regno e una capitale, occupa Anapa e vi si trincera. Qui, nel 1791, dopo una disperata resistenza in cui migliaia di suoi seguaci sono massacrati dall'artiglieria russa, contro la quale si slanciano allo scoperto ritenendosi immuni per la protezione del profeta, ha fine la straordinaria parabola di Giovanni Battista Boetti. Catturato e condotto a San Pietroburgo, l'Imperatrice Caterina II lo riconosce, a detta del Becattini (4), "più frenetico che ragionevole" e ordina che "fosse custodito con diligenza e con buon trattamento senza veruno strapazzo".

Sette anni dopo, il 15 settembre 1798, Boetti scrive al padre dall'isola di Solovetskij nel Mar Bianco: nella lettera egli si limita a raccomandarsi alle preghiere dei familiari e non fornisce di sé alcuna notizia. Questo è l'ultimo dato certo che racconta qualcosa del personaggio, monferrino e universale, che scompare poi nell’oblio della storia.

Nel 1991, quando la Cecenia proclama la sua indipendenza, piazza Lenin, nel centro della capitale Groznyj, diventa piazza Al Mansur, in onore all'eroe nazionale, lo sceicco Mansur Ushurma (3), che alcuni ritengono coincidere con lo stesso Boetti. Tuttavia, il nazionalismo ceceno e la sua storiografia negano l'esistenza di Giambattista Boetti, figura troppo ingombrante e poco esaltante di spia, agente segreto e avventuriero su cui fondare una identità nazionale.

Questo è l’ultimo, e più grande, mistero da risolvere, sui cui gli storici discutono ancora: Boetti e Mansur Ushurma sono stati la stessa persona?

Note

(1) La Chiesa giacobita è presente in Asia Anteriore: diffusa in Persia, poi anche in Armenia e in Asia Minore, perseguitata dagli imperatori ortodossi, accoglie con favore l’occupazione persiana e poi quella araba e, dopo la riconquista bizantina (X secolo) l’avvento dei Turchi Selgiuchidi. Divisa da vari scismi a partire dal XIII secolo, nel XV e XVI secolo tenta di riunirsi a Roma; fallito questo tentativo, i giacobiti hanno perduto consistenza e sopravvivono ancora in gruppi isolati. Il loro patriarca risiede a Damasco.

(2) Francesco Picco, Il profeta Mansùr (G. B. Boetti) 1743-1798, Genova, A. F. Formiggini, 1915

(3) Lo sceicco Mansur Ushurma "l'elevato" (Aldy, 1760 – San Pietroburgo, 1794). Religioso, e condottiero, guida e anima della resistenza contro l'espansionismo russo della Zarina Caterina la Grande nel Caucaso, durante l'ultima parte del XVIII secolo. Rimane ancor oggi una figura leggendaria, eroe nazionale del popolo ceceno.

(4) Francesco Becattini. Nasce intorno al 1740 a Firenze, dato che egli stesso, nella prefazione alla terza edizione della Istoria dell'Inquisizione (Milano 1797, p. 3), ricorda "le patrie amenissime sponde dell'Arno". Nulla sappiamo della sua educazione, della giovinezza, dei suoi primi interessi, come ben poto conosciamo in genere della sua vita.

 

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Articolo pubblicato il 25/07/2023