La Pellerina di Torino, fra passato e presente

Dove ville e cascine hanno ceduto il passo alla presunta modernità

La zona oltre il Martinetto viene definita dall’architetto Grossi (1), nella sua dettagliata guida di fine Settecento, come «cascina del sig. negoziante Francesco Serralunga situata sulla destra del canale di Collegno vicino alla bealera Meana, ed a’ molini di questa città di Torino…».

Elisa Gribaudi Rossi (2) ritorna sul territorio dopo oltre due secoli e mezzo e scrive: «Sino a qualche anno fa, scomparsi insieme alla cascina i molini antichi, in capo a via San Donato erano rimasti quelli moderni a ricordare lo sfruttamento della bealera che noi chiamiamo Pellerina; e lungo questo canale, in parte coperto, restano i cadenti cancelli delle ville affacciate su corso Appio Claudio».

Questa decadente immagine della zona è di certo rimasta negli occhi dei meno giovani, che ricorderanno la trasformazione da periferia urbana con ville e cascine a parco e residenze signorili.

Addentriamoci nella Pellerina, oltre via Pietro Cossa, dove «il corso Appio Claudio si riduce a stradina di campagna, seguendo l’antico percorso col nome di strada comunale della Pellerina. Sull’angolo di sinistra si allineavano tre modesti edifici rurali, il Boglia, il casotto del conte di Pollone, il chiabotto Ferroglio. A destra della strada rimangono i Tetti della Bassa (…)», scriveva ancora la Gribaudi Rossi nel 1970.

Proseguiamo il nostro cammino, su strade ben diverse da oggi, con il prezioso volume Cascine e ville della pianura torinese fra le mani.

«La strada della Pellerina, con un fondo paurosamente sconnesso, porta a quello che oggi chiamiamo il Cascinotto, terza cascina dei dintorni appartenente un tempo ai Nomis di Pollone.  La villa Pollone occhieggia tra gli alberi dall’alto del terrazzo fluviale, il Cascinotto è in basso, in mezzo ai prati che occupano parte dell’ampio letto della Dora. La cascina è bella, abbastanza grande, in ottime condizioni. Nella cucina modernamente arredata, un armadietto accanto al lavello nasconde la data del 1759 incisa su una lastra di metallo».

Questa è una esplorazione urbana garbata come lo spirito torinese di un tempo, rispettosa dell’ambiente, che non lascia graffiti o danni ambientali; anzi, consegna ai posteri la fotografia e la memoria di uno spaccato storico in cambiamento, che sarà in gran parte cancellato, ed è oggi difficilmente leggibile. Il Cascinotto esiste ancora ed è una azienda agricola in attività, “ai bordi di periferia”, come in una canzone di Eros Ramazzotti. Attraversiamo la stretta stradina.

«Di fronte al Cascinotto vi è il Mineur, semplice e solida casa di campagna come si conveniva alle famiglie della borghesia che la abitavano, in bella posizione sulla riva verdeggiante della Dora».

Il fabbricato sta subendo, da alcuni anni, un attento ed esegetico restauro, che intende riportare tutto il possibile all’antico splendore. Vera residenza di campagna, è stato più di una volta set cinematografico per serie italiane e straniere.

“Mineur”, nome curioso cha fa pensare a chissà quale origine o appellativo. Niente di tutto questo!

«Anche i Mineur appartenevano a famiglia borghese, di quella borghesia che di generazione in generazione, silenziosamente, ricopriva pubblici uffici con operosa serietà. Sul finire del settecento Nicolò Mineur era cassiere della Tesoreria della città, suo fratello Francesco era tesoriere dell’Ospedale Maggiore: i loro avi, che, come dimostrano le carte e i documenti relativi all’assedio (del 1706, N.d.A.) possedevano questa casa di campagna all’inizio del settecento, avevano ricoperto cariche del genere».

E, infine, l'edificio scomparso di Villa Morozzo segna la nostalgia di un tempo che è stato cancellato da ruspe e bulldozers per fare spazio a nuova cementificazione (era sempre indispensabile? viene da chiedersi).

«Del Morozzo (…) rimane oggi (1970, N.d.A.) pochissimo. Ma prendendo in considerazione il disegno della villa sulle mappe sette e ottocentesche, l’area attuale della proprietà (pur tanto ridotta), il cancello di ferro battuto sul sottostante corso Appio Claudio, e soprattutto la piccola e devastata cappella, dove miracolosamente sopravvivono angioletti e rami d’acanto in stucco, si può pensare a duna dimora elegante.

Oggi, quel pochissimo che del Morozzo rimane, un edificio basso e lungo, affacciato quasi sul ciglio della scarpata, serve di abitazione a un giovane falegname che pare vivere felice in splendido e scomodo isolamento. Un palmo di orticello e la magnifica vista sulla Dora, sono l’unica ricchezza della modestissima casa.

(…) Ora gli abitanti della zona aspettano i bulldozers che prima o poi verranno a preparare il terreno per nuove costruzioni: allora, essi dicono, sarà possibile rintracciare i caminetti di marmo ed altri particolari della villa sepolti sotto i detriti lungo la scarpata».

La demolizione è puntualmente avvenuta, chissà se anche qualche ritrovamento abbia avuto luogo e che fine abbiano fattoi quei preziosi reperti del passato torinese.

Tutto cambia e niente cambia, in fin dei conti.

La borghesia operosa torinese si mescola con le dinastie patrizie, come nei nobili palazzi del centro città; si esce da Torino per cercare residenze più tranquille e in aree verdi; cambi di destinazioni d’uso dei fabbricati, quasi sempre per motivi economici e produttivi, hanno affrettato la fine di molte ville e cascine; scavatori e ruspe demoliscono quel che è ritenuto vecchio per far posto a nuove costruzioni, a volte più brutte di quelle che le hanno precedute.

Note

(1) Amedeo Grossi - Guida alle cascine, e vigne del territorio di Torino e' suoi contorni - 1790

(2) Elisa Gribaudi Rossi – Cascine e ville della pianura torinese – Piero Gribaudi Editore - 1970

 

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Articolo pubblicato il 18/08/2023