A proposito dei libri di testo

Qualche riflessione sulle cosiddette “nuove edizioni”. E non solo.

Anche quest’anno si è da poco concluso il rito della prenotazione-ritiro dei  libri di testo per alcuni, mentre, per altri, che magari abbiano avuto il coraggio di mettere al mondo tre figli e non intendano ( o non possano) immolarsi sull’altare della cultura, è finita  la caccia all’usato in buono stato o a quella al parente-amico insegnante  che possa magari prestare una (o più) copie-saggio. Sì, perché il tetto massimo di spesa consentito per una prima media o una prima superiore si avvicina ai trecento euro, qualcosa in meno in prima media; è vero che negli anni successivi le cifre si abbassano notevolmente, ma per una audace  famiglia con due o tre figli, magari monoreddito, non è proprio un’inezia. C’è anche il buono-scuola, è vero, ma con i limiti legati al reddito e allo sciocco senso di imbarazzo che ne accompagna spesso la richiesta, non è così facile da utilizzare. La scuola, purtroppo si sa, in Italia si arrabatta in mezzo a mille difficoltà, considerati i continui tagli al mondo dell’istruzione e della cultura operati da decenni  da tutti i governi che si sono avvicendati. É un mondo dimenticato da tutti, dove nessuno, al di fuori degli operatori che vi lavorano,  si sogna di investire energie e tanto meno denaro, una bella fanciulla negletta e abbandonata.

Ma c’è un momento dell’anno scolastico in cui questa Cenerentola, dimenticata davanti al camino da politica, economia e finanza, miracolosamente si trasforma nella bellissima fanciulla che fa innamorare il principe e lo spinge a ricercarla casa per  casa. Parlo del periodo da marzo a maggio,  quando le case editrici, camuffate da  principi azzurri ahimè pronti a tradire allo scoccare della data definitiva per la nuova adozione o conferma dei libri di testo, non aspettano neppure Cenerentola al ballo, ma cominciano già a cercarla in ogni scuola, con l’insistenza del principe della favola, ma senza la sua bellezza e la sua passione negli occhi. E la proposta  non è quella di amore eterno, ma per lo più di una “nuova edizione”, che, dicono “Vedrà, professoressa, è una bomba, un ampliamento, una semplificazione”, insomma qualcosa di ghiotto per chi vuole fare una buona lezione e aiutare i suoi studenti ad avere un efficace sussidio a casa. Ora, dopo avere insegnato quarant’anni al liceo e a meno che negli ultimi cinque anni le cose non siano considerevolmente cambiate, due parole in proposito me la sento di scriverle, con cognizione di causa: facendo naturalmente la premessa che i contenuti di  lingua e letteratura italiana nonché quelli di lingua e letteratura latina che si insegnano al liceo non cambiano molto nel corso degli anni, ma che non per questo si deve cadere nell’errore di credere che ogni anno gli insegnanti ripetano la stessa lezione. 

I ragazzi cambiano, i tempi cambiano, gli autori su cui puntare quindi ovviamente cambiano, come le richieste e il modo di presentare gli argomenti, se si vogliono ottenere  partecipazione e risultati (in quest’ordine, secondo me). Ma, tenuto conto di questa premessa di buon senso, Manzoni è sempre Manzoni e l’ablativo assoluto è sempre qualcosa di grammaticalmente  sciolto dal resto del periodo. Teniamo anche presente che le ore di letteratura italiana al triennio del liceo scientifico sono quattro e quelle di latino, sempre  allo scientifico, sono state ridotte a tre. Quindi, per cominciare, qualche considerazione sul numero di pagine delle antologie. Alcune, per altro ottime, antologie sono state proposte in sette, dico sette, volumi, non volumetti, addirittura suddivisi in “tomi” ( anche nelle antologie scolastiche esistono i tomi, come nelle enciclopedie, incredibilmente) con un numero di pagine di tutto rispetto; si tratta di strumenti di consultazione che è certamente un bene avere nella biblioteca di casa, ma che  porteranno comunque sempre su di sé il peccato originale di essere testi scolastici, per cui guardati forse con simpatia, ma magari invece con astio da chi li ha usati e fonte a volte di dolce nostalgia da parte di genitori o fratelli più vecchi, ma anche di scarsa considerazione a priori da parte di coloro ( e sono molti) per cui la cultura “che non serve”, come quella umanistica, è meglio confinarla solo alla scuola, per cui, voilà, buttiamo via questi libroni inutili e facciamo posto … a che? Buttiamo via tutta questa carta: tanto c’è internet, no? Scena deprimente, ma temo realistica.

Comunque poiché  a scuola i libri ci vogliono, i nostri poco lungimiranti ( o invece molto lungimiranti?) principi-editori hanno cominciato a diminuire il numero dei volumi e il numero delle pagine di ciascuno, scoprendo che forse il materiale si poteva ridurre, approntando un’edizione per il liceo classico, una per lo scientifico e una per ogni “liceo” partorito dalla fantasia della ex-ministra Gelmini (con buona pace di Aristotele che ne aveva un’idea un tantino diversa), una per gli istituti tecnici, un’altra in cui ogni tomo è suddiviso in “agili  volumetti, comodi  e leggeri nello zaino” ( raccontano i rappresentanti, per altro gentilissimi, dei vari principi-editori). Per non parlare della “inevitabilità”, secondo i focosi principi azzurri, di nuove edizioni legate a cambiamenti della normativa vigente, “inevitabilità” spesso tutta da dimostrare. Naturalmente ogni benché minimo cambiamento prevede una “nuova edizione”, con conseguente inevitabile aumento di prezzo e di difficoltà nel reperire un usato in buone condizioni, ma soprattutto che corrisponda a quello in adozione a scuola: sì, perché c’è anche da considerare l’impossibilità, da parte del docente che voglia adottare un nuovo libro di testo, di adottarne, appunto, uno che non sia l’ultima edizione. In realtà la normativa prevede che si debba scegliere l’ultima edizione solo se la precedente è in esaurimento, ma di fatto il docente è obbligato a farlo, considerato che nessun editore garantisce la precedente. Sempre a proposito delle nuove antologie, pensiamo allo spazio che occupano le schede storiche che riportano informazioni facilmente reperibili sui testi di storia o le immagini di opere d’arte del periodo, spesso oggetto di spiegazione nello stessa fase dell’anno scolastico da parte del docente di storia dell’arte. Naturalmente anche in questo caso la presenza o meno delle diverse schede o la loro sostituzione con altre porta ad una nuova edizione, con le conseguenze già esposte. 

Calo un velo pietoso sulle antologie di letteratura latina, ormai dominate da passi per lo più tradotti o  con testo a fronte. Sembra che presentare una pagina in latino, con qualche nota introduttiva, qualche aiuto qua e là per la traduzione e avere la pretesa che i ragazzi, dopo averci lavorato un po’, sappiano tradurre il passo avendo davanti a sé solo il testo latino, sia qualcosa di disdicevole. “Per i ragazzi è troppo difficile “ sostengono alcuni soloni ministeriali,  attuali depositari della verità rivelata sulle capacità degli studenti. Mi chiedo come mai miriadi di studenti, diciamo almeno dalla riforma Gentile fino ad una quindicina di anni fa, ci siano riusciti senza riportare gravi  conseguenze né fisiche né mentali; forse i licei italiani sono stati frequentati per quasi un secolo da geni incompresi e misconosciuti. Ad ogni modo, a me i ragazzi di oggi  sembrano perfettamente in grado di tradurre un passo di latino commisurato alle loro conoscenze. Certo qualcuno deve essere in grado di motivarli e dare loro le basi linguistiche necessarie, sulle quali gli studenti dovranno poi esercitarsi autonomamente. Ma questa è un‘altra storia. Torniamo ai libri di testo, più precisamente alle grammatiche di latino. Da qualche anno a questa parte è invalsa la moda di cambiare l’ordine in cui presentare gli argomenti: prima facciamo solo l’attivo delle quattro coniugazioni, al passivo ci arriviamo a fine anno, prima facciamo le consecutive, molto dopo le finali, i pronomi ce li dimentichiamo proprio e ne accenniamo alla fine della seconda, i deponenti forse li vedremo al triennio, ma inseriamo l’ablativo assoluto subito dopo aver spiegato il participio presente e magari mescoliamo le due classi di aggettivi: oggi la prima della prima classe, domani la terza della seconda classe e via dicendo. Nulla vieta che tutto ciò possa avere un senso, ma questi spostamenti implicano poi esercizi diversi da proporre agli alunni, il che non è cosa da poco; capita che una grammatica già in uso da tempo ( e magari ottima), se così modificata, diventi una nuova edizione, con tutte le problematiche già esposte. E non pensiamo che il digitale abbia portato qualche soluzione in questo senso.

Insomma, per concludere: cerchiamo di evitare di cambiare troppo spesso i libri di testo e teniamoci cari quelli che hanno dato buoni risultati. E cerchiamo di sfruttarli al meglio; In una scuola media, tanto tempo fa, i libri di testo venivano dati agli studenti in comodato d’uso, diciamo. Consegnati ad inizio d’anno, dovevano essere riconsegnati a giugno. Se normalmente usurati, venivano ricollocati in biblioteca per poi passare nelle mani di altri studenti, se risultavano danneggiati dovevano essere  ripagati da chi li aveva resi inutilizzabili. Senza tanti discorsi sul sociale, mi sembra un modo molto semplice, ma efficace, per insegnare il rispetto per sé e per gli altri. Nonché un risparmio per le famiglie e una boccata d’aria per la foresta amazzonica. Certo, se ogni  anno i testi cambiano la faccenda diventa più complicata.   

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Articolo pubblicato il 16/10/2023