Un Conte di Bronzo – Il monumento ad Amedeo VI di Savoia

Di Alessandro Mella

Infinite sono le bellezze che la città di Torino, come tutte quelle italiane del resto, conserva tra le sue vie e nelle sue piazze. Proprio di fronte al Palazzo di Città, il celebre municipio sabaudo, sorge una statua di grande bellezza la quale, purtroppo, non è recentemente sfuggita né alla famigerata “cancel culture” né a forme di protesta che si possono definire solamente e semplicemente sciatte e sciocche perché figlie dell’ignoranza storica, del fanatismo e dell’incapacità delle nuove mode di contestualizzare fatti, personaggi ed eventi storici.

Anche le più sacrosante cause, purtroppo, possono trovare pessimi profeti e deprecabili forme di espressione.

Il monumento torinese ad Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, rievoca e ricorda una delle più importanti figure della storia della più antica dinastia europea.

Fu opera del celeberrimo Pelagio Pelagi e fu finanziata da Carlo Alberto, che non fece a tempo a vederla, come dono alla città di Torino in occasione dello sposalizio tra il giovane Vittorio Emanuele e Maria Adelaide.

Il nobile avo dei sovrani sardopiemontesi venne raffigurato in combattimento, durante le guerre trecentesche in Oriente, intento a sottomettere un soldato orientale. Il principe, sul petto, porta lo scudo di Savoia, nella mano destra la spada levata e pronta a scagliare il proprio colpo.

Curiosamente la decisione di inaugurarla in occasione delle celebrazioni dello Statuto diede origine ad una piccola polemica spicciola che, a leggerla bene, non pare novità:

Il Monitore del Moschino (*) si maraviglia e s'indegna perché il monumento del Conte Verde sia inaugurato in occasione delle feste dello Statuto. «Il Conte Verde, dic'egli, fu poco democratico, e niente libertino». Che gran trovato! Come se in una solennità letteraria italiana s'inaugurasse il busto di Virgilio, ed un pedante gridasse maravigliato e sdegnoso «Ma Virgilio scrisse tutto in latino, e niente in italiano!».

Virgilio scrisse secondo la lingua dei suoi tempi, il Conte Verde fu grande secondo gli usi del suo paese ai suoi tempi.

Noi costituzionali lo celebriamo con imparzialità, come, tuttoché cristiani, troviamo grandi Esiodo ed Omero che parlano degli Dei del paganesimo.

Ma il Monitore del Moschino continua domandando «…quali sono i principi costituzionali che si onorarono col senno e colla mano sino a lasciar nella storia gran fama di sé; anzi se possa toccare gran gloria a colui che regna ma non governa…» Il Monitore del Moschino ha la memoria della mente e del cuore molto debole! Egli appetto al Conte Verde dimentica subito Carlo Alberto (per non parlare che degli spenti, e non uscir di patria). «Ma, dirà il foglio di sagristia, Carlo Alberto fu vinto».

Sì, ma il Cristo sofferse peggio, e tuttavia lasciò molto più gran fama di sé che non tutti i despoti della terra insieme uniti, e creò molto più grandi cose. Del resto essendo carattere del despotismo di avvilire tutti i cittadini per far emergere il sovrano solo, non è meraviglia che un despota anche quando è un nano morale e politico sembri grande.

Ciò non vuol però dire che lo sia in realtà: vuol dire unicamente che si separa di più dai suoi che non un re costituzionale: così un pastore, qualunque siasi, è più distinto, più grande dei porci sottoposti, di quello che un magistrato (per quanto degnissimo) sia più distinto e più grande dei semplici. cittadini.

Non ne segue però certamente che un pastore, qualunque siasi di porci, sia più grande d'un degno magistrato, e che l'essere pastore di porci sia carica più nobile e più gloriosa che l'essere degno magistrato di liberi cittadini.

Ai clericali del Moschino può sembrare altrimenti: ed è cosa naturalissima. L'ideale della grandezza per gli anzidetti animali è colui che dà ghiande e bastonate senza che essi pensino al proprio governo. (1)

Si era già di fronte alle prime schermaglie tra il clero, reazionario e conservatore, ed il mondo liberale che, facendo riferimento proprio a Cavour, guardava al futuro. Anzi, memore delle sfortune ma anche degli ideali del biennio 1848-1849, seguitava a pensare con fede e speranza nella libertà italiana e nella sua causa:

Esordivano le feste nazionali dello Statuto collo scoprimento in piazza di Città del monumento in bronzo, così detto del Conte Verde. Diciamo così detto, perché meglio che il Conte Verde pare che in esso monumento sia raffigurato il duello storico del Conte Rosso, altrimenti riescendo strana l'idea di fare un monumento che rappresenti un individuo che uccide due sconosciuti e che minaccia di dare una terza sciabolata sulla testa del pubblico.

A parte il concetto del componimento, che lasciamo a giudicarsi da' più intelligenti di noi, il cavaliere Palagio Palagi avrà pur sempre il merito di aver condotto un modello che ha pregi moltissimi.

In quanto poi al getto in bronzo eseguito nella fonderia Colla, esso fu lavorato con tanta cura, con tanta squisitezza, le infinite difficoltà furono così pienamente superate, che ove il futuro monumento a Carlo Alberto venisse con inqualificabile azione dato ad eseguire fuori paese, ciò non sarebbe più soltanto uno sfregio alle nostre arti nazionali, ma sarebbe addirittura un impugnare la verità conosciuta, peccato che grida vendetta al cospetto dello Spirito Santo.

È ben vero che lo spirito né santo né profano non presiede sempre alla Commissione incaricata del monumento a Carlo Alberto, ed a questo particolare il ministro Paleocapa può vantarsi di essersi già guadagnato un posto in paradiso fra le sedie chiuse dei poveri di spirito.

Scoperto il monumento in bronzo (nome generico) il ministero passava nelle sale del municipio a rogarne l'atto di donazione alla città di Torino. Questo atto fu dato da Cavour, e ricevuto dall'ottimo sindaco Notta collo scambio di liberi sensi, che non solo alludevano, ma esprimevano il gran pensiero che sta nel cuore di tutti: l'indipendenza d'Italia (…). (2)

Lo stesso Camillo Cavour, del resto, presenziò ben volentieri all’inaugurazione dell’opera il 7 maggio dell’ormai lontano 1853. Solo due anni dopo lo stesso, proprio in favore della causa italiana, avrebbe mandato i bersaglieri e le artiglierie in Crimea.

In ogni caso lo scoprimento del monumento riuscì felicissima iniziativa e fu posta, tutt’attorno, una staccionata lignea poi sostituita con una metallica probabilmente rimossa durante il ventennio e ricollocata, ex novo, in occasione del restauro del biennio 1993-1995:

Il Conte Verde torna in piazza. Dopo oltre due anni di assenza, il monumento al «Conte Verde», Amedeo VI di Savoia (1344-1383), tornerà - perfettamente restaurato - al suo posto: in piazza Palazzo di Città.

La cerimonia ufficiale, presieduta dall'assessore all'Arredo urbano Gianni Vernetti, si svolgerà lunedì prossimo, nel cuore di una piazzetta storica dal volto completamente rinnovato.

L'accurato «lifting» è costato in tutto 160 milioni. Un procedimento che ha consentito al monumento di conservare la patina verdastra regalata dal tempo. (3)

Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna destinato ad ascendere al trono d’Italia, volle onorare il fonditore, monsù Colla, con l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro:

Fu data la croce di S. Maurizio al signor Colla, l'ottimo fonditore del monumento in bronzo del Conte Verde. (…). Nella croce data al signor Colla noi vogliamo ancora vedere un buon indizio, perché dal momento che vengono premiati i nostri operai, è evidente che essi sono finalmente riconosciuti capacissimi ad eseguire anche il futuro monumento a Carlo Alberto. (4)

L’onorificenza gratificò il bravo artista, ma divenne anche uno degli appigli, come si legge, per la polemica sul monumento a Carlo Alberto che si temeva potesse esser fuso all’estero, a Parigi.

In ogni caso, al netto dei blitz di qualche vandalo, il monumento al Conte Verde sorge ancora lì nel cuore della città. Con tutta la sua storica bellezza da mostrare a turisti e cittadini!

Alessandro Mella

NOTE

(*) Così la Gazzetta del Popolo definiva sprezzantemente il giornale L’Armonia della religione colla Civiltà, fondato a Torino nel 1848 dal sacerdote e giornalista Giacomo Margotti, il più intransigente oppositore della politica di Cavour.

1) La Gazzetta del Popolo,104, Anno VI, 2 maggio 1853, pp. 2-3.

2) Ibid.,109, Anno VI, 9 maggio 1853, pp. 2-3.

3) La Stampa, 338, Anno CXXIX, 15 dicembre 1995, p. 43.

4) La Gazzetta del Popolo, 125, Anno VI, 28 maggio 1853, p. 6.

 

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Articolo pubblicato il 18/10/2023