La chiesa del Corpus Domini, a Torino

A memoria del Miracolo Eucaristico del 6 giugno 1453

Nelle Giornate d’Autunno 2023, il FAI Giovani di Torino ha organizzato la visita alla chiesa e alla sacrestia del Corpus Domini, in via Palazzo di Città 20, elevata a Basilica Minore da papa Pio XI, con Motu Proprio del 2 agosto 1928.

Il luogo di culto è sempre stato, ed è tuttora, di proprietà del Comune; la sua storia parte da molto lontano. A Exilles, dopo la vittoria sulle truppe di Renato d’Angiò, i soldati sabaudi ottengono il diritto di saccheggio; dalla chiesa parrocchiale vengono asportati arredi e l’ostensorio, contenente le ostie consacrate.

Avvolta la refurtiva in un sacco, i ladri discendono la Valle di Susa a dorso di un mulo, fino a Torino; e qui, nella Piazza del Grano, il mulo cade a terra, resiste alle percosse del conduttore, come inchiodato a terra da una forza ignota.

Alle cinque del pomeriggio del 6 giugno 1453 avviene il Miracolo Eucaristico di Torino: il sacco si apre, ne fuoriesce l’ostensorio e un’ostia si solleva, fra lo stupore degli astanti. Le grida di meraviglia e la notizia del fatto giungono subito in Duomo, dal quale accorre l’Arcivescovo, Mons. Ludovico dei Marchesi di Romagnano, preceduto dai Canonici.

Il secondo miracolo si verifica quando il Vescovo, genuflesso nella preghiera «mane nobiscum Domine», vede discendere l’ostia fra le sue mani. Ricostituito l’ordine con un evento soprannaturale ed inspiegabile, una processione di devoti raggiunge, infine, il Duomo. 

Sul luogo viene eretta, nel 1528, un’edicola disegnata da Matteo Sanmicheli (Verona, 1484 – Verona, 1559); l’antica chiesa di San Silvestro, sede della Confraternita dello Spirito Santo dal 1575, che sorge alle sue spalle, ne accentua l’effetto di fragilità e precarietà. Sotto il patrocinio del Comune inizia l’attività dell’Oratorio del SS. Sacramento, da subito caro ai fedeli e alla devozione dei torinesi.

La virulenza della epidemia di peste del 1598 induce il Comune a fare un voto per la cessazione del morbo, rivolto a sostituire l’antica cappella con una chiesa più grande, affidandone il progetto all’ingegnere militare e architetto Ascanio Vitozzi (1539-1615).

Il 20 luglio l’accordo tra il Comune e la Confraternita porta alla chiamata del «S.r. Ingegnier Vittoci per trattar seco della nova fabrica da farsi», come riporta Luciano Tamburini nel testo Le chiese di Torino dal rinascimento al barocco.

Vitozzi lavorerà anche alla nuova chiesa della Arciconfraternita dello Spirito Santo, al posto della più antica San Silvestro. L’originario disegno per la facciata, delineato nel 1607 dall’architetto conte Carlo di Castellamonte (1560-1640), prevede un recupero, dal sapore quasi antiquario, dei rilievi scolpiti nel tempietto del Sanmicheli, che non verranno inseriti tra le partiture del primo ordine al momento della sua esecuzione, nel 1656. Il progetto di fondere i due luoghi di culto vicini (l’Oratorio del SS. Sacramento e la chiesa di San Silvestro) non troverà mai applicazione. E ci rendiamo conto della conformazione dell’area da un «Disegno dell’antica chiesa di S. Silvestro e Capella del C. Domini avanti l’unione di detta chiesa».

Fra l'8 ed il 9 settembre 1653 un incendio distrugge l’altar maggiore, si muove da Rivoli anche la Corte, la Madama reale promette il suo contributo, l’Arcivescovo visita la chiesa, in conformità alle nuove disposizioni del Concilio di Trento. Dobbiamo a lui la descrizione completa dei locali: «unica navi media fornicata, et dealbata cum six trunis lateralibus», le due prime ancora «rusticis et non delbatis» e con «altaria latiritia nuda». Il 4 dicembre dello stesso anno la chiesa è affidata ai Filippini, per soli due anni; il 13 marzo 1655 la Città stipula uno strumento di concessione alla Congregazione dei Preti teologi del Corpus Domini.

Al fine di completare la chiesa, il 18 luglio 1664 il Comune acquista alcune botteghe attigue dovendo «fabricare l’altar maggiore del Corpus Domini con marmi… ed una sacristia commoda con lume conveniente». Il lunghissimo tempo di costruzione ed elaborazione dell’opera fa sì che la consacrazione solenne avvenga soltanto il 30 novembre 1769, nel frattempo fregiata di un nuovo tabernacolo del Vittone. 

La descrizione delle varie fasi del miracolo, su notizie storiche coeve al fatto, è effigiata nella volta della Basilica, su realizzazione di Luigi Vacca del 1853, in occasione del quarto centenario del miracolo. Dopo i danni della Seconda Guerra mondiale, il loro restauro è affidato al pittore torinese Nicola Arduino.

Nella seconda cappella destra si trova il quadro raffigurante la Madonna delle Grazie, esposto dal Beato Sebastiano Valfré, Rettore della chiesa dal 1653 al 1655.

La statua che raffigura S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, Canonico del Corpus Domini, opera di Davide Calandra del 1917, è memoria della sua ispirazione, qui maturata, di fondare la Piccola Casa della Divina Provvidenza, per ospitare malati e bisognosi. 

Nel 1675 si completa la facciata, con la posa di quattro statue raffiguranti Mosé, Sansone, un angelo e Melchisedec. 

Sull’altar maggiore, opera di Bartolomeo Caravoglia, una grande tela ritrae il vescovo in preghiera di fronte all’Ostia. 

Nella seconda cappella sinistra, dedicata a San Carlo Borromeo e a San Francesco di Sales, è collocato il grande quadro che raffigura i due santi in adorazione dell’Eucaristia, unica opera torinese del pittore Agostino Cottolengo (Bra, 22 ottobre 1794 – Bra, 8 aprile 1853), fratello minore del santo sociale. Nella cappella sono ricordati anche la beata Anna Michelotti e San Giuseppe Marello. 

Circa a metà dell’unica navata, sulla sinistra, una cancellata rettangolare in ferro battuto protegge la lapide posta nel pavimento, a ricordo del miracolo: «Qui il 6 giugno 1453 cadde il giumento che portava il Corpo del Signore; qui l’Ostia Sacra scioltasi dai legami s’alzò in aria; qui discese benigna nelle mani supplichevoli dei torinesi; qui dunque memore del prodigio piega a terra le ginocchia, e venera e temi il santo luogo».

Ad ogni ricorrenza centenaria la chiesa si è arricchita di lavori e opere. Gli interni vengono rifatti dall’Alfieri nel 1753, con nuovi stucchi e ornamenti. La sacrestia ha beneficiato di un recente restauro, che ha messo in luce il poco che rimane degli affreschi nella volta e di una serie di iscrizioni parietali. Nel medesimo ambiente è collocato il fonte battesimale, all’interno di un mobile in legno, consistente in una piccola coppa lignea con coperchio, un esemplare unico nelle chiese torinesi.

 

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Articolo pubblicato il 17/10/2023