Elezioni in Argentina: l'italiano Sergio Massa in vantaggio sull'anarco-capitalista Milei
Stemma presidenziale argentino

Nel primo turno vince sopra ogni aspettativa Sergio Massa. Ora bisognerà aspettare il ballottaggio di novembre.

Il 22 ottobre si sono tenute le elezioni presidenziali in Argentina, che hanno visto la coalizione peronista di centrosinistra guidata da Sergio Massa ottenere il 36,68% dei voti, superando le aspettative e diventando la più votata.

Il vincitore del primo turno delle elezioni presidenziali è stato quindi il ministro dell'Economia Massa, il quale è riuscito a contenere l'avanzata del suo concorrente anarco-capitalista.

Tuttavia, poiché nessun candidato ha raggiunto il 45% dei voti necessari per essere eletto al primo turno, si terrà un ballottaggio il 19 novembre per decidere il futuro presidente. 

La situazione economica del paese è da diverso tempo critica, con un'inflazione del 138% su base annua ed una soglia di povertà oltre il 40%.

I due candidati al ballottaggio, Massa e Javier Milei, hanno visioni opposte su come risolvere la crisi economica. Milei propone di abbandonare la moneta nazionale a favore del dollaro e di eliminare la Banca Centrale argentina, mentre Massa promette politiche più attente ai mercati e tagli delle spese, ma con riguardo verso gli effetti sulla popolazione. In queste elezioni ha prevalso la paura dell’ultradestra liberista rappresentata da Milei, ma c'è anche tanta rabbia verso un governo che ha portato il paese nella peggiore crisi economica dal 2001. La candidata di centrodestra Patricia Bullrich è arrivata terza e Milei ha subito fatto appello alla destra di Bullrich per lavorare insieme a lui contro il "nemico comune" rappresentato dal kirchnerismo progressista.

Milei rappresenta l’equivalente di quello che fu Bolsonaro in Brasile. È il massimo riferimento di Trump nel Paese latino-americano. Vicino ai vecchi regimi militari del secolo scorso. La sua politica economica lo accomuna con altri trumpiani liberisti, come Netanyahu in Israele o l’ex premier Boris Johnson nel Regno Unito.

Nel continente americano, così come in Europa, vige oramai una dialettica politica incentrata su due fronti, entrambi aderenti all’ideologia liberale, ma con sfumature differenti. Vi è una tendenza di destra liberista, conservatrice, populista e con venature anarchico-individualiste da un lato; mentre dal lato opposto vi è un campo liberal-progressista fortemente attento alle tematiche ambientaliste e ai diritti civili delle minoranze (non sia mai della maggioranza!).

Entrambe queste tendenze non mettono minimamente in discussione lo status quo. Esse si limitano a commentare il fatto del giorno. Divenendo così attori passivi dell’informazione. Vi era un tempo in cui era la politica a fare l’informazione, oggi avviene il contrario. La politica è succube della narrazione del mainstream. L’Argentina, aimè, in questo non fa eccezione.

Le due finte anime che si contendono lo “scettro” del potere esecutivo non sono che mere emanazioni di una dicotomia già presente nel paese dell’egemone dominante: gli Stati Uniti. Quello che avviene lì, prontamente si manifesterà per emanazione nei paesi satelliti che lo circondano. 

Quindi, se come italiani non possiamo che augurarci di vedere un italo-argentino alla Casa Rosada, dall’altro abbiamo l’obbligo morale di essere consapevoli che non cambierà mai nulla in Argentina come in nessun altro paese del blocco occidentale. Nulla almeno che non sia già successo negli Stati Uniti d’America.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 24/10/2023