Cascine scomparse fra Torino e Beinasco

La città avanza e distrugge campi e cascine. A quando il vero “km 0” urbano?

L’ombelico di Beinasco, come lo definivano i progettisti, era una vecchia cascina ottocentesca abbandonata e fatiscente, figlia di un passato agricolo che in tanti paesi e città si è tramutato in villette e casette a schiera. Nel lontano 2009, il Consiglio Comunale di Beinasco approva un piano di edilizia convenzionata, 48 abitazioni di pregio, ultimo anello di una serie di interventi che in un decennio ha cambiato il volto del centro storico.

«Con questo progetto – raccontava al quotidiano La Stampa l’allora sindaco Maurizio Piazza - andiamo a completare il recupero del cuore della città, caratterizzato da vecchi cascinali dove un tempo c’erano allevamenti di bestiame. In compenso, i privati restaureranno la cappella all’angolo tre le vie Principe Amedeo e Fornaresio, uno dei beni storici più preziosi di Beinasco».

Nasce, in contemporanea, un tratto di zona pedonale nel centro storico: via Principe Amedeo, nella porzione corrispondente al muro perimetrale della vecchia cascina, mantenuto come «testimonianza storica» e preservato con opere di consolidamento.

Il tratto pedonale rende più sicuro l’accesso alla scuola materna Fornaresio, ospitata nell’edificio di fronte alla cappella. Tra le opere a beneficio del Comune, è compreso anche il recupero di una tettoia agricola di circa 300 metri quadrati, destinato a spazio pubblico. Il quotidiano torinese intitolava il suo pezzo “Dove c’erano i vecchi cascinali rinasce l’ombelico di Beinasco”.

A poca distanza da qui, al confine fra Torino e Beinasco, esisteva la Cascina Tre Tetti Nigra.

Del complesso dei “Tre Tetti Nigra”, un tempo composto da tre cascine isolate, rimane solo l’antica cascina Carassio, in strada del Portone angolo via Bertani. Ne abbiamo notizie dal XVII secolo, con tre cascine situate a poca distanza l’una dall’altra, con planimetria a “C”. Leggiamo la trasformazione del 1740 – 1742 da una carta su cui si rilevano i nomi dei proprietari: Truchi, Gastalda e Carossio.

Su tutto il complesso delle cascine denominate “Tre Tetti Nigra” esistono scarse tracce documentarie; solo grazie alla cartografia storica è possibile acquisire alcune informazioni relative alle planimetrie e alle proprietà, a partire dalle carte seicentesche. Nella Carta della Montagna del 1694, per esempio, sono rilevate come “Carassio”, “Truquis” e “Padri de Saint Antoine”. Nella Carta Topografica della Caccia del 1762 le tre cascine, censite come “Carossia”, “Gastalda” e “Truchi”, sono tutte a corte chiusa ed impianto planimetrico a “C”, con la presenza di giardini prospicienti la cascina Gastalda.

L’architetto Amedeo Grossi, nel 1790, rileva le tre cascine, ma descrive solamente «il Carassio cascina dell’Illustrissima signora Contessa Della Villa Dama d’onore di S.A.R. la Duchessa di Chiablese posta a sinistra della strada d’Orbassano lungi tre miglia da Torino».

Nelle mappe del Catasto Gatti del 1820 le tre cascine sono censite come un unico complesso denominato “I Tre Tetti”, composto da case rustiche, prati, campi ed orti. In quella data sono proprietari dell’intero complesso i fratelli Nigra, ai quali si deve l’attuale denominazione.

Un ampliamento significativo è rilevato nel Catasto Rabbini del 1866, da cui appare l’unitarietà del complesso mediante il prolungamento dei corpi di fabbrica tra le cascine. Altri ampliamenti si registrano all’inizio del XX secolo, come risulta dalla Carta I.G.M. del 1935.

Attualmente, delle tre cascine che componevano il complesso dei Tre Tetti Nigra rimane solo quella più a nord, l’antica “cascina Carassio”, destinata in parte ad attività produttive ed in parte a uso abitativo.

Le città avanzano e distruggono suolo verde e adibito a coltivazione, inglobando o distruggendo cascine e proprietà rurali, definite “vecchie” da La Stampa già nel 2009. Mi domando, quindi, cosa sia vecchio e cosa sia nuovo, per questo progresso liberistico ed industriale sempre più sfrenato, dove si salutano con applausi i "Fridays for Future", si ascoltano con attenzione le previsioni catastrofiche sul clima e si continua a inquinare e a cementificare, in barba alla logica e perfino a qualche normativa, nazionale o locale. E a privilegiare i macrointeressi e il grande capitale che manovra il liberismo senza regole, ben lontano dai nostri allevatori e coltivatori.

Mi piacciono e apprezzo le iniziative di Coldiretti e CNA, tese a portare i banchi dei coltivatori nel centro delle città, per far conoscere prodotti e produttori vicini (o non troppo lontani). Eppure… il chilometro zero c’era già e lo abbiamo distrutto con le industrie e i condomini nei perimetri urbani. Ora è da rifondare quello che i nostri nonni ci avevano lasciato, intonso e funzionante da secoli.

Ricostruire senza nostalgia o sull’andazzo di “com’era verde la mia valle”, ma con la coscienza di dare un futuro sostenibile ai nostri figli e ai nostri nipoti. E quando incontriamo un produttore, stringiamo un patto con lui, andiamo in cascina a vedere cosa e come produce, diventiamo suoi clienti abituali, in un rapporto di mutua fiducia che può ridurre le distanze fra città e campagna, fra urbanesimo sbagliato e coltivazioni che ci permetteranno di mangiare in modo più sano e con distanze più prossime al desiderato e decantato “chilometro zero”.

 

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Articolo pubblicato il 25/11/2023