Un glorioso stabilimento abbandonato, in una città che meriterebbe un museo all’industria
Ex Superga, nuovo capitolo di una triste telenovela. Il Comune di Torino continua a mettere all’asta la ex fabbrica di via Verolengo, fra Madonna di Campagna e Borgo Vittoria, senza esito, pare non interessi a nessuno. La nuova scadenza fissata da Palazzo Civico era il 14 novembre 2023, a un prezzo base di 954.900 euro. Entro quella data, chi avesse avuto intenzione di acquistare l’area e i fabbricati doveva farsi avanti. Non abbiamo notizie sull’esito della procedura, un mistero dalla prevedibile soluzione; il silenzio e l’abbandono. L’ultima asta, in ordine di tempo, scadeva il 19 luglio scorso, ancora una volta nessuno si è presentato e l’ex Superga continua ad essere un monumento al degrado.
«Il lotto - scriveva il Comune nel bando - continua a risultare non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’Ente e per la sua valorizzazione non sono state individuate soluzioni alternative alla dismissione». Davvero non ci potrebbero essere altre soluzioni?
Ripercorriamo la sua gloriosa storia, simile a tante altre esperienze di lavoro vincenti sotto la Mole. La Superga nasce nel 1916 nel complesso delle Fabbriche Riunite Industria Gomma Torinese (ex Martiny, fondato nel 1913). Lo stabilimento è realizzato tra via Verolengo, che ospita direzione e uffici commerciali, e via Orvieto. Alla iniziale produzione di materiale in gomma si affiancano lavorazioni di tipo calzaturiero: stivali, pantofole in gomma e, soprattutto, scarpe da tennis; il modello 2750, una sportiva in tela, ne segna il successo su scala nazionale e internazionale, insieme allo stivale in gomma di colore verde, impermeabile, con suole e tomaia in gomma di caucciù vulcanizzata, che ha avuto un ruolo importante per il suo uso in agricoltura. Quest’ultima tecnologia si è resa possibile grazie al brevetto di Charles Goodyear per la vulcanizzazione della gomma (1).
Dallo stivale in gomma l’attenzione si focalizza, quindi, sulla scarpa da ginnastica, caratterizzata dalle suole in crèpe di gomma naturale, resistente all’abrasione e molto elastica, composte da un ulteriore strato interno di gomma nera, ricoperto da una superficie, sempre in gomma, rinforzata sulla punta e il tacco, mentre all’interno della scarpa il piede appoggia su una duplice soletta rivestita di cotone. Il suo successo è immediato e viene presentata, fin dai cataloghi degli anni Trenta, come la “scarpa che respira”. Queste scarpe, dai campi in terra rossa, rappresenteranno il simbolo della libertà associata al mondo giovanile degli Anni Settanta.
Con la Seconda guerra mondiale la Superga diventa “industria ausiliaria” e produce, tra l’altro, maschere antigas. Nel 1943 i bombardamenti la danneggiano gravemente; nel luglio 1944 le maestranze fanno nascere una sezione aziendale del C.L.N. Superate le difficoltà postbelliche, nel 1951 l’azienda è acquistata dalla Pirelli e riprende volumi significativi di produzione e profitti, rinnovando reparti e tecniche di lavorazione: all’inizio degli anni Sessanta nello stabilimento di Torino lavorano 1.380 persone e le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro.
La diffusione della scarpa in tela esplode negli Anni Settanta, quando si preferisce spostare il centro della produzione dell’azienda verso l’Asia (su un modello di scala intrapreso da molte altre aziende italiane ed europee, per aumentare i profitti e diminuire la conflittualità interna). La crisi degli anni seguenti riduce la manodopera, che scende a 751 addetti nel 1976, fino alla chiusura, negli Anni Novanta, dell’unità produttiva residuale di Torino; gli stabilimenti vengono in parte demoliti e sostituiti da edifici residenziali. La palazzina di via Verolengo e il magazzino di via Orvieto sono stati conservati e destinati a nuovi usi, infine abbandonati ad un destino di degrado, oggi recintati da impalcature e lucchetti arrugginiti. Di tutto il complesso sopravvive soltanto l’asilo municipale “Assisi”, già nido aziendale della FRIGT, poi Superga.
La storia della fabbrica Superga non finisce, però, con la chiusura dello stabilimento torinese. Il calo del fatturato nel corso porta alla vendita dell’azienda a BasicNet, che nel 2004 diventa licenziatario mondiale di Superga e nel 2007 ne perfeziona l'acquisto diventando proprietaria esclusiva del marchio. Questa cessione coincide con una rinascita del “brand”, favorita dalla collaborazione con altri marchi, tra cui Fiat, Swarovski, Disney e K-Way.
Il nome del marchio riprende la Basilica di Superga, uno dei simboli di Torino, creando una forte strategia di comunicazione che richiama i valori del territorio. Fondamentale, a questo riguardo, è stata la collaborazione con il grafico Albe Steiner (2), che nel 1962 ne progetta il logo, all’insegna della semplicità. In seguito, quel logo viene declinato per le diverse famiglie di prodotto (City, Vulcanized, Sport, Country e Solid), poi leggermente modificato; nel 2001 si attuano ulteriori variazioni nella composizione del simbolo e nel suo colore. Come mezzi di comunicazione vengono utilizzati testimonial e sponsorizzazioni per la creazione delle campagne pubblicitarie. L’obiettivo è associare i prodotti ad atleti e personaggi famosi, passando dall’ambito sportivo alla quotidianità: il testimonial non viene rappresentato come atleta ma come consumatore del prodotto. Tra i vari personaggi chiamati a pubblicizzare i prodotti troviamo Dino Zoff e Adriano Panatta.
Oggi le scarpe Superga continuano ad essere in voga, fino agli ultimi e moderni modelli “sneakers”, mentre lo storico stabilimento torinese langue e sta per morire. Per quale motivo a nessun Sindaco o Giunta torinese è mai interessato creare un museo dell’industria, nella città che ha fatto nascere gran parte delle produzioni del Novecento? E la ex Superga, con il suo marchio torinesissimo, non sarebbe uno dei luoghi adatti? Questo sforzo richiederebbe creatività, impegno e progettazione, forse è più facile mettere all’asta un immobile, con la speranza di fare cassa a breve.
Note
1) La vulcanizzazione è un processo di lavorazione della gomma, la quale viene legata chimicamente allo zolfo mediante riscaldamento. Attraverso questo processo, inventato da Charles Goodyear nel 1844, si ottiene un materiale elastico e poco rigonfiabile se tenuto a contatto con solventi organici. Oggi per "vulcanizzazione" si intende qualsiasi processo chimico, anche diverso da quello originario inventato da Goodyear, che ottenga risultati analoghi.
2) Albe Steiner, all'anagrafe Alberto Massimo Alessandro Steiner (Milano, 15 novembre 1913 – Raffadali, 17 agosto 1974). Figlio di Fosca Titta e Emerico Steiner, nipote di Giacomo Matteotti. Alla morte del padre, dopo il diplomato in ragioneria, Albe intraprende lo studio del design e della grafica e approfondisce la conoscenza del Costruttivismo sovietico (El Lisitzkij), del Bauhaus e degli astrattisti italiani (Soldati, Licini, Radice, Fontana, Melotti, Veronesi); si interessa di pittura e fotografia collaborando con lo Studio Boggeri. La sua prima mostra grafica è del 1940, alla VII Triennale di Milano. Gli sono stati intitolati tre istituti professionali statali, a Torino, a Milano e Ravenna.
Fonte della foto: Archivio Pelassa.
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Articolo pubblicato il 23/11/2023