“Arte” estemporanea all’ex Giardino Zoologico?

A 36 anni dalla chiusura tra contestazioni e ricordi nostalgici.

Riprendo l’incipit di un precedente articolo pubblicato da Civico20news 7 anni fa, il 15.12.2016:

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=22556


Difficile dimenticarsi di quel Giardino Zoologico frequentato da migliaia di torinesi che durante tutti i giorni della settimana affollavano il Parco Michelotti per incontrare animali provenienti da Paesi lontani.
Difficile dimenticarsi dell’Acquario/Rettilario, disegnati dall’Architetto Enzo Venturelli, che ospitava grandi vasche tropicali, ampie finestre su ambienti esotici e teche adibite all’accoglimento di rettili di varie specie e dimensioni.
Lo Zoo aveva un fascino tutto suo, permetteva alla gente di approcciarsi a un senso dell’esotico che attraeva adulti e giovanissimi, mettendoli a contatto con animali mai visti prima e che potevano anche essere nutriti direttamente con le proprie mani.
Molto si è detto sul senso di strutture simili, molte le critiche degli animalisti che portarono alla chiusura definitiva dello Zoo. Non dobbiamo dimenticare che negli anni ‘50 non esistevano ancora programmi televisivi dedicati alle faune esotiche, né documentari che potessero divulgarne le immagini o le abitudini: la Televisione ha iniziato il proprio percorso regolare il 3 gennaio del 1954
”.


Sono passati più di 7 anni dalla pubblicazione di quell'articolo e nulla sembra essere cambiato.
La struttura originale dello zoo è stata completamente stravolta in un avvicendarsi di gestioni politiche, il cui colore è meno importante di quello delle foglie invernali che tappezzano i viali deserti e abbandonati del vecchio giardino zoologico.


Nonostante una recente e moderna illuminazione, durante la notte l’ex zoo sembra popolarsi di nuove “presenze” che cercano di donare qualche segno di vita a quelle strutture fatiscenti di un parco di Torino che appartiene, oramai, all’epoca della preistoria.
Passeggiando lungo i viali tappezzati di foglie morte, immerse in un fango indurito che lascia spazio a piccole pozze d’acqua dove vanno ad abbeverarsi gli scoiattoli, sembra di udire ancora le voci dei bambini affascinati dalla presenza di scimmie, tigri e leopardi.
Vecchi fantasmi di un lontano passato, nostalgici ricordi di un tempo che appartiene alla seconda metà del secolo scorso, immagini che il tempo cancellerà definitivamente.


Ora tutto sembra cristallizzato in una sorta di laconica attesa che ricorda alcuni passaggi de “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Progetti proposti e poi abbandonati, promesse elettorali, discussioni sulla “rinascita culturale”… tante belle parole cadute in quel nulla che è diventato la cifra del nostro Paese.
Tuttavia, come i muschi che nascono tra le fessure dei muri, qualche forma di vita reclama il proprio diritto di nascita per celebrare quell’esposizione di ben altre vite che abitavano nelle strutture oggi abbandonate.


Si tratta di opere di sconosciuti artisti che hanno rivestito i muri dei vecchi stabulari con graffiti dai colori sgargianti e dalle grafiche di un discreto interesse.


Potremmo anche aprire una finestra sulle problematiche relative all’Arte, e tentare di rispondere a quelle domande che sorgono spontanee e che per pudore, o forse per timore reverenziale, siamo abituati a non verbalizzare.


Parlare di Arte sembra essere appannaggio unicamente dei grandi critici o eminenti cattedratici, i quali hanno l’incondizionato potere di decidere, secondo rigorose deduzioni scientifiche e metastoriche, che la “Merda d’Artista”, opera di Piero Manzoni del 1961, possiede un valore non solo artistico ma anche economico. In un’asta di Milano, il 7 dicembre 2016,  un collezionista privato si è aggiudicato l'esemplare n. 69 a 275.000 euro, compresi i diritti d'asta, rappresentando un nuovo record mondiale. Ricordiamo che le scatolette contenenti il prezioso apporto biologico vennero prodotte in 90 esemplari, rigorosamente numerati e firmate dall’autore.
Che la “merda” avesse un valore lo sapevamo anche prima, i concimi naturali, biologici, DOC, ne sono un eclatante esempio… ma forse qui si esagera…


Dobbiamo anche considerare che molto spesso i grandi artisti, quelli veri, sono persone semplici, a volte non acculturate se non dirittura analfabete. Tuttavia questi Artisti sono riusciti a produrre autentiche opere immortali, il cui valore oggettivo forse sfuggiva alla loro comprensione.
Per questo motivo diventa difficile attribuire un valore alle opere che divertono i muri con colori sgargianti e scritte incomprensibili, mi limito a proporre ai Lettori alcune immagini che rappresentano tali opere lasciando lo spazio ad ogni personale valutazione.


Non ho voluto far cenno ai sacchi tagliati di Alberto Burri o ad alcune opere di Lucio Fontana che utilizzando il bisturi al posto del più tradizionale pennello eseguiva tagli sulle tele. 


Riprendiamo da Wikipedia alcune frasi: Le sue tele monocrome, spesso dipinte a spruzzo, portano impresso il segno dei gesti precisi, sicuri dell'artista che, lasciati i pennelli, maneggia lame di rasoio, coltelli e seghe. Tutto è giocato sulle ombre con cui la luce radente sottolinea le soluzioni di continuità."

"Fontana giunge alla sua poetica delle opere più famose (i tagli sulla tela), nel 1958, meditando la lezione del barocco, in cui, come egli scrisse le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio. Come gesti apertamente provocatori vanno intese certe sue tele monocrome che, quali i buchi e i tagli, scandalizzarono il pubblico anche per la facilità con cui è possibile rifarle".


Non ho ovviamente nulla da eccepire sulle opere di questi grandi artisti, resto solo un poco perplesso sul valore e sul significato, oggettivo, che viene dato ai loro Lavori.


Se il parametro del giudizio è la storia dell’artista o il suo curriculum, nulla da eccepire.
Se si parla di idee originali e innovative, sicuramente la “merda nei barattoli” ha un suo perché.
Altre valutazioni potrebbero riguardare la “bellezza”, soggettivamente intesa o le dimensioni delle opere.


In ogni caso il valore lo crea il mercato, lo creano le mostre d’arte e la storia personale dell’artista, quindi troviamo una quantità ingestibile di parametri che ci disorientano nell’espressione di giudizi di valore sulle opere considerate…

Diventa fin troppo facile, visto gli esempi sopra citati, attribuire un valore oggettivo al "Periscopio rosso posizionato dentro la gabbia di una coppia di criceti che osserva la ruota tramite telecamere digitali collegate al satellite..." di A.A. (Artista Anonimo) Opera in fase progettuale che rappresenterà il desiderio morboso di osservare due piccoli roditori durente le peripezie atletiche nella loro Ruota. La scultura vivente e semovente potrà essere tranquillamente esposta in un museo d'arte moderna con affiancata una enciclopedica spiegazione sul rapporto Periscopio e Natura: la Vita e la sua rappresentazione nella Gabbia che contiene i criceti, metafora sublime di un' Umanità prigioniera del mondo delle apparenze, partecipa all'evoluzione spirituale di tutta la popolazione umana imprigionata e ignava di quello che succede in quella sorta di novello Truman Show zoologico.

Sulla delicata "Vexata quaestio del Periscopio" potremmo anche scrivere un altro articolo...


Tornando ai viali del nostro storico ex Giardino Zoologico di Parco Michelotti, lo sguardo si posa sulle figure in movimento dei rari passanti intenti a leggere e scrivere messaggini sul proprio cellulare piuttosto che dribblare le merde, questa volta dei cani, che si mimetizzano tra il fogliame marcescente.


Qualora volessimo tornare ad osservare i graffiti dipinti sui muri delle vecchie case di giraffe, elefanti, scimmie e felini, forse potremmo, anche in questo caso, offrire a quelle macchie e scritte policrome, gratuitamente donate da autori sconosciuti, un sia pur simbolico valore artistico dedicato alla loro immaginazione, ovviamente nulla di paragonabile a quello della merda preziosamente inscatolata da Piero Manzoni.


Fotografie di Parco Michelotti di Giancarlo Guerreri

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Articolo pubblicato il 19/12/2023