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“American Gods” – gli dči di Neil Gaiman
immagine da blog.screenweek.it
Prodotta da Bryan Fuller, la prima stagione della serie tv tratta dal romanzo di Neil Gaiman č una delle piů stimolanti novitŕ del piccolo schermo della stagione
Articolo di Enrica Maccari
Pubblicato in data 18/07/2017

Tra gli scrittori alle cui opere cinema e televisione hanno attinto a piene mani non si può non annoverare Neil Gaiman, visionario romanziere, fumettista e sceneggiatore britannico dalla cui mente prolifica sono nati mondi immaginifici poi portati sul grande schermo come Stardust, Coraline e MirrorMask. Se a ciò aggiungiamo l’altrettanto fervida immaginazione di Bryan Fuller, creatore e produttore di serie come Pushing Daises e Hannibal, affiancato da Michael Green (co-sceneggiatore dell’attesissimo Blade Runner 2049), il risultato non può che essere sorprendente.

American Gods, tratta dall’omonimo romanzo di Gaiman del 2001 vincitore dei premi Hugo, Nebula e Bram Stoker, prodotta dalla rete americana Starz e distribuita internazionalmente da Amazon Video, ha ottenuto recensioni più che positive per la prima, fulminante stagione.

Shadow Moon viene rilasciato dal carcere qualche giorno prima del previsto poiché sua moglie Laura è morta in un incidente stradale. Sull’aereo che lo riporta a casa incontra il misterioso Mr. Wednesday, che sembra sapere molto su di lui e gli offre un lavoro come guardia del corpo senza fornirgli molti dettagli. Shadow si ritroverà in una realtà incredibile quanto tangibile, nel bel mezzo di una guerra tra gli antichi dei, dimenticati ma sempre presenti, e i nuovi idoli della società contemporanea.

Sin dalle primissime sequenze ci troviamo davanti a qualcosa di molto diverso e imprevedibile. Gli otto episodi che compongono la prima stagione portano lo spettatore in un irreale e all’inizio incomprensibile universo che viene svelato poco per volta, componendo come in un puzzle le numerose vicende.

La storyline principale vede come protagonista Shadow, con, da una parte, la sua storia personale, la scoperta delle circostanze in cui è scomparsa la moglie e il suo misterioso ritorno, e dall’altra ciò a cui prende parte seguendo Mr. Wednesday nel suo viaggio attraverso l’America per cercare antichi dèi di diverse mitologie e tradizioni per poter combattere quelli nuovi e ipertecnologici. Così a ogni episodio conosciamo diverse incarnazioni di divinità, a partire dall’enigmatico e carismatico Wednesday, il cui vero nome viene pronunciato solo nell’ultimo episodio ma che lo spettatore non faticherà a riconoscere (è spesso accompagnato da due corvi e ha un occhio di vetro…).

In questa sorta di Olimpo americano incontriamo l’oscuro dio russo Chernobog, gli egizi Anubis e Thoth, il dio ragno africano Anansi, il guerrafondaio Vulcano, un’enigmatica e seducente dea del sesso, l’antichissima dea della primavera Ostara e altri ancora, comprese numerose incarnazioni di Gesù Cristo. Tutti trasferitisi in America, vivono sotto mentite spoglie, dimenticati dai fedeli che adesso venerano ben altri dei, quelli delle nuove tecnologie.

All’inizio di ogni episodio un breve prologo racconta come le diverse divinità sono giunte nel Nuovo Continente; questi intermezzi appaiono come contorni alla narrazione principale, ma hanno un grandissimo potere evocativo e aiutano a entrare meglio nell’ottica dell’universo immaginato da Gaiman (che appare anche come produttore esecutivo).

A primo impatto American Gods può essere di difficile comprensione, specie per chi non ha letto il romanzo. Nonostante ciò, la trama e la regia sono così accattivanti che se si prosegue non si potrà che esserne catturati e stregati. Al suo carattere intrinsecamente dissacratorio ed eversivo, la serie affianca  momenti di inevitabile ilarità ed altri che fanno riflettere sulle origini degli Stati Uniti come paese di immigrati; nonostante Gaiman abbia dichiarato che non è mai stata sua intenzione politicizzare la sua opera, non si può non pensare all’attualità vedendo la tratta degli schiavi sulle navi negriere o la storia di Salim, mercante musulmano omosessuale.

La più grande qualità di American Gods è riuscire a destabilizzare perennemente lo spettatore; immagini apparentemente senza senso, incontri che non portano a niente, misteri irrisolti sono le fondamenta della serie. Se alcuni tasselli vanno al proprio posto con l’evolversi della storia, altri rimangono in sospeso. E una sottile ma percepibile sensazione di instabilità rende la visione di American Gods ancora più stimolante ed entusiasmante.

Dal punto di vista visivo la serie è esplosiva. A partire dai titoli di testa, dove psichedeliche luci al neon illuminano supposte divinità rivisitate in chiave moderna (su tutte, un astronauta crocifisso), il surreale è la cifra di una regia, più che onirica, allucinatoria, che si prende molto spazio per divagare e per raccontare soprattutto per immagini.

Non mancano violenza e volgarità, ma mai fini a se stesse e sempre velate di una certa malinconica ironia (pensiamo alle tragicomiche circostanze della morte di Laura, raccontate da lei stessa senza alcun pentimento o tristezza).

La colonna sonora accosta i più disparati generi musicali, dal folk al jazz ai richiami etnici delle tradizioni dei diversi continenti, ad un accompagnamento strumentale a dir poco disturbante, creato da Brian Reitzell (già autore delle sconvolgenti musiche di Hannibal), che sottolinea vigorosamente lo stato di precarietà che aleggia sovrano, semplicemente perfetto per l’epica allucinatoria della serie.

I numerosi interpreti sono di primissima qualità, a partire dal criptico, magnetico Mr. Wednesday di Ian McShane, leader indiscusso del cast, un mare in tempesta dietro lo sguardo di ghiaccio sopra un gran faccia da schiaffi. Ricky Whittle interpreta magnificamente Shadow Moon, tormentato e confuso protagonista la cui consapevolezza (e fede) crescerà di episodio in episodio. Pablo Schreiber veste i panni di Mad Sweeney, non propriamente un dio ma un leprecauno, personaggio fondamentale soprattutto per Laura, moglie non-morta di Shadow, interpretata da Emily Browning, le cui vicende sono le più intrise di black humour di tutto lo show. 

Peter Stormare è Chernobog, sorta di Uomo Nero slavo, e Gillian Anderson è uno dei nuovi dei, quello dei media, che appare di volta in volta con l’aspetto di idoli della cultura di massa come Judy Garland e Marilyn Monroe (splendida la sequenza in cui incontra Shadow nei panni di David Bowie e si rivolge a lui con i testi delle canzoni del Duca Bianco). Crispin Glover (il papà di Marty McFly, proprio lui) è Mr. World, presentato come il capo dei nuovi dei ma apparso pochissimo nella prima stagione. Da segnalare, nel cast, la presenza di Cloris Leachman, l’indimenticabile Frau Blücher di Frankenstein Junior, qui splendida novantunenne che impersona un’antica dea slava.

Inevitabile che la serie venisse confermata per una seconda stagione, essendo la prima un grandioso prologo alla grande guerra tra dèi che vedremo nei dieci episodi già annunciati da Gaiman come molto diversi dai precedenti.

 

Dialoghi folgoranti, un’ambientazione onirico-allucinante, intenti epici e dissacranti a un tempo, American Gods è la serie tv da vedere assolutamente per chi cerca qualcosa di originale, spiazzante e provocatorio, senza rinunciare al fascino della narrazione e della recitazione con la r maiuscola.

 

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