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Il fascino della crudeltà nelle serie Tv, dagli sceneggiati alla “Pulp Fiction”, ai giorni nostri
Un’evoluzione di trame sempre più sanguinarie, specchio della realtà o morboso accanimento di un modello negativo che fa audience?
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 11/08/2021

Agli albori della tv, erano gli “sceneggiati”. In Italia iniziarono nell'era del bianco e nero e perlopiù venivano girati negli studi televisivi: telecamere fisse, interni, poche telefonate, poche scene in movimento, tanta recitazione.

Per quanto riguarda il fascino, dell’indagine e della figura dell’investigatore, si attinse a personaggi della letteratura quali: il commissario Maigret e Sherlock Holmes, o si diede vita a memorabili poliziotti made in Italy, ma dai richiami americani. Uno fra tutti: l’ispettore Sheridan.

In quegli anni 60, più morigerati dell’epoca attuale, il delitto, la trama investigativa e la soluzione del caso, si sviluppavano secondo una impronta prettamente poliziesca. L’efferatezza del crimine e lo spargimento di sangue erano limitati a scene lievi che oggi fanno quasi tenerezza. Poca atrocità nell’omicidio, pochi spari, poca perversione, eppure non mancava il pathos.

Gli anni 70 videro sbarcare in Italia le serie americane, con epici detective ancor oggi riproposti. L’animazione dei polizieschi si articolava di più negli esterni, l’automobile diventava una star, a volte quasi protagonista: il tenente Colombo e la Peugeot, Simon Templar e la Volvo coupé, Magnum PI e la Ferrari, le Charlie’s Angels e le loro GT americane, Starsky & Hutch e la Ford gran Torino…

Il talento del detective e qualche omicidio dall’intrigo più cervellotico che cruento erano quasi lo sfondo di casi vivaci e divertenti. La trama era ancora “verticale”, e cioè, limitata ai singoli episodi.

Ben poca aberrazione nei gialli di Agatha Christie o nella Signora in giallo. Omicidi in famiglia per questioni di eredità o per faccende di cuore. In generale, la morte violenta era presente, ma quasi in disparte e i killer seriali, ancora in divenire.

Però, l’evoluzione della razza umana non si è mai distinta per garbo o pentimento verso la parte più oscura della propria natura. La crudeltà si è sviluppata nei quartieri delle città; altrettanto dentro al video, dando vita a nuovi scenari di una realtà in brutale evoluzione, mentre sia la fiction che la malavita perdevano vecchie regole per abbracciarne altre. La trama diventava sempre più “orizzontale”, sviluppata in una serie di puntate. Le riprese e gli effetti più cinematografici, si facevano costosi, ma coinvolgenti.

Droga, traffico d’armi, e pacchi di dollari, a partire dagli anni 80 hanno preso il posto di eredità e gioielli. Da Miami Vice ad Hunter le trame implicano: talpe, informatori, indagini interne, sparatorie, inseguimenti e molte vittime ad ogni puntata; sangue e morte sono più espliciti. I detective si muovono in coppia: amicizia e feeling sono valori aggiunti.

Nell’84, l’Italia iniziò a produrre le miniserie de: “La Piovra”. Buon prodotto da esportazione: dure diapositive di un’Italia mafiosa, spietata e corrotta, così come in effetti è ancor oggi.

Anni 90: irrompono sulla scena scienza e tecnologia. Il computer e il cellulare diventano pratici accessori per risolvere casi sempre più complessi e la medicina legale ruba il protagonismo al vecchio ispettore. Molte ossa in primo piano.

La crudeltà latente del genere umano trova nuova collocazione in scenari sempre più sinistri e raccapriccianti… Inizia la serie infinita di Law & Order, il delitto a sfondo sessuale prende la scena, è il prologo del nuovo millennio: un altro balzo di ferocia che non dà certo il buon esempio, eppure, lo stupro e il cadavere mutilato prendono la scena ad un lenzuolo e all’obitorio.

Le serie americane la fanno da padrone: protagonisti affascinanti, medicina legale e sensitivi si accavallano in intrecci sempre più agghiaccianti che mescolano i ruoli dei protagonisti. Anche il mostro di “The following” ha il suo fascino e le scene di vittime rapite, abusate, torturate e uccise dopo indicibili sofferenze risucchiano lo spettatore in una malvagità crescente.  

Gli investigatori di un genere misto tra giallo, thriller e horror, si muovono in gruppo, è il tempo dei serial killer & delle serie: CSI, NCIS, Bones, Mentalist, mentre dal ‘99, la penna di Andrea Camilleri propone un poliziotto all’antica, intuitivo e alternativo, il commissario Montalbano: casi di una Sicilia fuori dal tempo e indagini a carattere locale; la malavita quasi una comparsa; una cartolina turistica davvero niente male.

Il tempo scorre: anni 2000. Il fascino del male si affina e la recrudescenza irrompe nelle case dalle tivù. Fioccano le nuove serie di mostri, vampiri, licantropi e zombie; dilaga la Pulp Fiction. Il pulp è un genere letterario dai contenuti forti, con abbondanza di crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre che viene apparentato con il  thriller poliziesco e l'horror. In inglese, come forma colloquiale, significa anche: “narrativa di basso costo o da quattro soldi”.

Sempre più lontani i tempi l'”hard boiled”, che in gergo significa essere sodo, duro. Spade e Marlowe erano i capostipite del detective hard boiled: incorruttibile e irriverente, ma umano. Un genere travolto dal potenziale criminale dell’informatica che imperversa anche nella realtà.

L’attacco hacker alla regione Lazio è attualità anticipata dalle fiction. Gli assalti cibernetici, gli algoritmi, i microchip e le menti matematiche hanno preso la scena  all’intuito del detective. Gli iper computer ora sono l’arma di poliziotti e criminali. Le nuove minacce da sventare: attacchi terroristici, virus letali, furti di dati e di segreti industriali, ricatti per miliardi di dollari. È la nuova realtà.

Le ultime serie USA hanno abolito la recitazione. I protagonisti, inespressivi ma belli e multietnici, selezionati con cura per ritorno di audience, entrano ed escono da uffici della C.I.A. e dell’FBI infarciti di megaschermi e tastiere per scovare chiunque in tempo reale. Programmi di riconoscimento facciale identificano ogni persona. I movimenti bancari si rintracciano in un bit. Agenti e delinquenti sfrecciano su neri suv scambiandosi raffiche di mitra in episodi sempre uguali, uccidendosi a bizzeffe.

Non è più trama intrigante, ma spettacolo ipnotico tendente ad adeguarci a un futuro già presente; l’intelligenza artificiale è la nuova arma per il crimine e per l’indagine, mentre quella umana è sempre più comprimaria; beneficio di pochi. Già si intravedono gli automi. La saga di Terminator e i suoi cyborg assassini, iniziata nell’84 aveva già scritto le regole.

Dal 2014, l’Italia diffonde invece la sua criminalità obsoleta, ma sempre in voga: sanguinaria, collusa e infiltrata. La serie Gomorra ne è uno specchio benfatto, persin troppo: realistici cast di effettivi tagliagole; solo dialetto napoletano; linguaggio volgare sdoganato; sfarzo; sottotitoli in italiano per l’ascoltatore non partenopeo. Sarà un prodotto finanziato proprio da chi celebra se stesso? 

Ogni serie delle varie fiction “crime” meriterebbe un’analisi a sé. Come su un binario del tempo e della società, scorrono le evoluzioni della criminalità a beneficio dell’intrattenimento. Oggi fanno quasi tenerezza le investigazioni di Poirot e Sherlock Holmes, ma a seguirle con curiosità ci restituiscono un garbo e un’eleganza che abbiamo perduto, ormai non più timorati di Dio, ma sedotti dal magnetismo di pratiche demoniache.

La nostra crudeltà incompiuta ci appaga dalla tivù? Le serie più efferate, in genere son quelle di maggior audience. Un dato di fatto all’interno del quale potremmo trovare molte risposte sulla natura dell’uomo e del nostro “io”.

 

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