Negli Usa ha inizio la crociata contro le banche

Una multa record è stata inflitta alla Bank of America, una sanzione che veste i panni di una spedizione punitiva nei confronti dei responsabili della crisi finanziaria del 2008

In questi anni di crisi economica, crisi anche di valori e di identità, nella nostra penisola la rassegnazione sembra farla da padrone.

La colpa di questa crisi è tutta delle banche e dei grandi della finanza, che tanto la crisi non la sentono e restano impuniti”, queste le frasi che si sentono ripetere tra i bar, le strade e le case italiane.

Per una volta invece, pare si tenti finalmente di far giustizia: è stata infatti inflitta una sanzione record di 16,65 milioni di dollari nei confronti di una banca che non è una banca qualsiasi, ma la Bank of America.

Ciò non costituisce solo una rivincita morale e pecuniaria per le famiglie americane, gettate sul lastrico dai mutui subprime (prestiti ad alto rischio finanziario effettuati da parte degli istituti di credito verso clienti a forte rischio debitorio), ma una vera e propria ufficializzazione della responsabilità delle banche in questa crisi, ormai mondiale.

Questa multa, che costituisce un vero e proprio record è inoltre la prova che il dipartimento di giustizia non ha preso di mira, come si diceva, solo le banche estere come Bnp-Paribas e ciò lo si può affermare tranquillamente, sopratutto dopo la multa da 13 miliardi di dollari patteggiata (che coraggio!) dalla J.P Morgan nel novembre 2013.

 

Dove finiranno i soldi di questa multa ce lo spiega un articolo su Le Monde: la Bank of America “si impegna a versare 9,6 miliardi allo stato federale e a sei stati dell'unione, mentre i sette miliardi rimanenti saranno spesi in aiuti alle famiglie rovinate dalla crisi”.

Attenzione però, non si tratta di una sentenza dal valore vincolante, ma di un accordo “amichevole” estrapolato, secondo il New York Times, attraverso l'uso della minaccia.

A quanto pare il ministro della giustizia Eric Holder ha intimidito l'amministratore delegato del secondo istituto di credito degli Stati Uniti con la minaccia di conseguenze giudiziarie.

Si può dunque desumere che la separazione dei poteri in America sia ancora viva e vegeta e forse che il potere giudiziario svolge tuttora il suo ruolo guardiano di “check and balance”? Che si stia prendendo in considerazione, la teoria di Sun Yat-sen attualmente applicata a Taiwan, secondo cui lo stato deve svolgere un ruolo di controllo non solo sul governo (yuàn di controllo) ma anche di esame meritocratico dei funzionari pubblici (yuàn di esame), tentando però, in questo caso, di sculacciare con mano pubblica fondoschiena privati?

 

In un periodo storico in cui si insegue una devastante liberalizzazione, questo è un segnale molto importante:“dimostra che Washington sa fare pulizia anche in casa sua”, si legge su Le Monde.

Una tappa storica nel nostro impegno a proteggere gli americani dalla frode finanziaria” afferma il ministro della giustizia Eric Holder, lasciando trapelare una buona dose di compiacimento.

Questo non può e non deve sembrare un traguardo, ma un punto di partenza dal quale iniziare a mettere ordine nel mondo della finanza, un mondo che si fa sempre più virtuale, in grado com'è di far fallire intere nazioni: per rendersene conto basta volgere lo sguardo allo scandaloso caso argentino in cui un gruppo di hedge fund, fondi speculativi americani, ha rifiutato gli accordi firmati invece dagli altri creditori del governo di Buenos Aires.

La Corte di Giustizia americana ha dato ragione agli hedge fund, facendo pesare la clausola pari passu che impone a Buenos Aires di non fare discriminazioni tra creditori.

Ma l'Argentina non paga i creditori rimasti,come accade alla maggior parte dei debitori insolventi, non perchè non voglia pagare ma perchè non può farlo: dovrebbe versare, nelle casse dei creditori, una cifra che si aggira intorno ai 16 miliardi di dollari, cifra che il governo argentino non può permettersi di sborsare.

 

La liberalizzazione selvaggia (senza l'abbassamento delle tasse), verso cui anche l'Europa veleggia è la festicciola delle multinazionali e la miseria delle classi medie e povere.

Una inversione di rotta è ancora possibile e paradossalmente, sono gli Usa a ricordarcelo, lanciando un “messagge in a bottle”, un avviso che non è detto giunga fino alle nostre coste, ma se giungesse in qualche anfratto, verrebbe letto?

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Articolo pubblicato il 02/09/2014