De Magistris in attesa di sospensione? La legge è uguale per tutti, occhio per occhio dente per dente

Il sindaco di Napoli condannato ad un anno e tre mesi per abuso d'ufficio, ma lui non intende dimettersi. Anche se innocente, Luigi De Magistris deve fare un passo indietro e vi spieghiamo perchè

De Magistris deve dimettersi e lasciare la carica da sindaco di Napoli, se non altro per coerenza.

La famigerata legge Severino, approvata dal governo Monti, prevede l'incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'art. 1, c. 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190.

Il decreto stabilisce chiare conseguenze per gli amministratori locali: per giungere alla sospensione basta una condanna in primo grado o un provvedimento restrittivo.

Luigi De Magistris è stato condannato in primo grado, ad un anno e tre mesi, per abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta “Why not”.

Quindi se la legge è, come da sempre si ripete e come si legge sopra le teste dei giudici, “uguale per tutti”, l'ex pm vi si deve adeguare anche se innocente.

 

Invece lui non molla e punta tutto sulla lettura della motivazione della sentenza; il pm inoltre, pare non abbia richiesto la condanna del sindaco e il Tribunale ha di contro riconosciuto la non menzione.

Una svista oppure conseguenza del fatto che il reato è stato commesso non quando era sindaco, ma quando era magistrato?

Si comprende perfettamente l'intenzione di sollevare la questione della retroattività, mossa tentata tempo fa anche dai legali di Silvio Berlusconi.

Ma è per questo che il sindaco di Napoli non vuole dimettersi? Perchè innocente e in quanto tale non accetta la condanna o perchè non vuole alzare il suo deretano dalla poltrona rossa?

In ogni caso, per un uomo che ha fatto della Costituzione il proprio faro in questi tempi bui e il proprio baluardo con cui difendersi dagli attacchi nemici, ostentandone i principi prima da pm e poi da sindaco, non ci sarebbe altro da fare che un passo indietro.

Come fece circa tre mesi fa il sindaco di Agrigento, che decise di dimettersi dopo essere stato condannato, seppur in via non definitiva, a due mesi di reclusione.

 

Ma De Magistris il 26 settembre, in consiglio comunale ha risposto così: “mi chiedono di dimettermi per questa condanna, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici. Siamo di fronte a uno Stato profondamente corrotto. Avverto intatta la mia forza, ma anche un’energia più forte. Chiedo a chi ha la forza di andare avanti, a chi vuole giustizia e non legalità formale di mettercela tutta – e prosegue - quando si alza il tiro e non ci si piega, l’artiglieria pesante diventa più pericolosa. Noi non abbiamo armi ma sappiamo resistere e resisteremo. La nostra esperienza non è solo Napoli ma va ben oltre e la porteremo fino alla fine”.

 

Detto ciò, volgiamo uno sguardo al processo.

Qual è il reato di cui si parla?  La stampa parla di “intercettazioni illegali”, commettendo un errore dato che il processo verteva sui tabulati telefonici, non sulle intercettazioni.

Nel 2007, il consulente tecnico Gioacchino Genchi lavorando sull'inchista “Why not” acquisì centinaia di tabulati, quindi centinaia di utenze, fra cui quelle di otto parlamentari: Prodi, Mastella, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli, Rutelli, Pisanu.

Secondo la legge Boato, per ottenere il permesso di usare questi dati il pm avrebbe dovuto chiedere il permesso al Parlamento: questo è il reato, questa è l'accusa mossa a De Magistris.

Ma per chiedere il permesso a qualcuno di utilizzare il suo numero di telefono, devi sapere a chi è  intestato e per farlo ti devi rivolgere alla compagnia telefonica a cui fa capo.

I giudici di Roma non si spiegano perchè De Magistris e Genchi chiedessero alla Tim e alla Vodafone di chi fossero quei numeri di telefono: ovviamente avrebbero dovuto conoscerli a memoria! Ma insomma... fai il pm e non conosci a memoria i numeri telefonici dei parlamentari?

Allora signor De Magistris si prenda i suoi 15 mesi di condanna, così la prossima volta ci penserà per bene a farsi le amicizie “giuste” e di conseguenza ad avere i giusti numeri in rubrica.

Intanto ci risponda del suo abuso d'ufficio che, come ricorda anche Il Fatto Quotidiano - 26 settembre, editoriale di Travaglio – “non è più reato dal '97 a meno che “produca un danno ingiusto o un ingiusto vantaggio patrimoniale. E quale sarebbe il danno patito dagli 8 politici? La conoscibilità di dati esterni di traffico relativi alle loro comunicazioni”.

Che suona molto come un “mica è colpa loro se frequentano certe persone, siete voi che ci andate a ficcare il naso, quindi è colpa vostra”.

 

Agli occhi di chi mastica un poco il pane giuridico parrà strano anche che il processo si sia svolto a Roma: sugli eventuali reati di un pm di Catanzaro non è competente la procura di Salerno?

Sì, infatti la procura di Salerno aveva già assolto gli imputati dallo stesso reato discusso poi a Roma. Strano ma comprensibile, d'altronde qualcuno doveva pur emettere questa condanna.

Se fin qui vi siete straniti o fatti qualche risata, sentite anche questa: Achille Toro è il pm che aprì l'inchiesta romana. Chi è Achille Toro? Lo stesso magistrato che si è dovuto dimettere quando venne indagato per i suoi rapporti con la cosiddetta P4. Un magistrato che emise un’ordinanza di sequestro di tutto il materiale che Genchi usava per lavorare (anche quello non coinvolto nel reato; in pratica impedì al consulente informatico di lavorare per settimane) e che si rifiutò di consegnarglielo quando la Corte di cassazione annullò il sequestro in quanto illegittimo.

 

L'occhio di bue ora è puntato sul prefetto di Napoli Francesco Musolino, che si astiene dal commentare la vicenda della sospensione.

La faida tra il sindaco e i suoi ex colleghi intanto, non sembra arrestarsi: ''vorrebbero applicare per me la sospensione breve, in base alla legge Severino, un ex ministro della Giustizia – Pietro Grasso – che guarda caso è difensore della mia controparte nel processo a Roma. E la norma è stata approvata mentre il processo era in corso".

A quanto pare da queste parti sembra essere ancora in auge la legge del taglione “occhio per occhio, dente per dente” che oggi risuona con un eco altrettanto noto: “ la legge è uguale per tutti”.

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Articolo pubblicato il 29/09/2014