Trainspotting 2, quella vita sballata vent'anni dopo

Danny Boyle si conferma un regista visionario e precursore, senza montare nessuna "operazione nostalgia"

L'attesa nei confronti di questo film era molta. Se ne parlava già da diverso tempo, tra conferme, smentite e notizie create appositamente per alimentare la voglia dei fan di poter rivedere sul grande schermo le vicende dei personaggi che hanno fatto di Trainspotting un film culto per l'intera generazione degli anni Novanta.

Per il sequel è stato confermato tutto il cast del primo film, che tornano a vestire, a distanza di vent'anni, i panni dei personaggi che li hanno resi famosi a livello internazionale.

Ecco che Ewan McGregor torna ad essere Mark "Rent" Renton, ex giovane scozzese ormai uomo disilluso dalla vita e dalla società, che dopo una sincera ed onesta vita dedicata all'eroina ( tra tentativi di riabilitazione e ricadute), si ritrova ad aver sviluppato una dipendenza da fitness.

Ritorna ad Edimburgo e ricontatta gli amici di gioventù Sick Boy (Johnny Lee Miller) e l'eterno sfatto Spud (Ewen Bremner) per restituire ad ognuno la sua fetta di bottino dopo averli deburati durante il suo traffico di eroina narrato nel film precedente.

Vent'anni è un lasso di tempo non indifferente: cambiano le vite, le abitudini. E le persone, in qualche modo. Ma non tutti sono felici del ritorno a casa di Rent. In particolar modo Sick Boy, il quale sbarca il lunario gestendo un bordello camuffato da sauna e la cui attrazione principale è la sua fidanzata dell'est, estorcendo denaro a facoltosi clienti che vengono ripresi a loro insaputa mentre danno adito alle loro perversioni più recondite.

Spud ha passato gli ultimi vent'anni ad essere vittima dell'eroina e ha sempre il ruolo del più scoppiato e simpatico del gruppo, anche se poi si mostra il più felice del ritorno a casa di Mark.

Il vero collante della trama è Franco Begbie (Robert Carlyle), che fugge di galera e che vorrebbe mettere le mani addosso a colui che è stato la causa dei suoi principali problemi negli ultimi vent'anni.

Il film scorre bene in un turbinio lisergico di situazioni grottesche, fughe impossibili, attività improbabili e la certezza dei vari personaggi protagonisti di quanto sia cambiata la loro esistenza. La vita intorno a loro è completamente cambiata, così come il mondo che stanno vivendo.

Vi è stato l'avvento dell'Euro, il progresso tecnologico, il successo dei social network e tanto altro. E proprio questo fattore darà lo spunto a Rent di cambiare il famoso monologo sul scegliete la vita con elementi più affini ai tempi dell'Internet 2.0

Danny Boyle si conferma un cineasta visionario e sperimentatore, in grado di mettere in scena in maniera sapiente ciò che già sapientemente Irvine Welsh è stato in grado di scrivere nero su bianco.

Oltre alla capacità del cast originale di essere in grado di dare una gradevolissima interpretazione, una particolare nota di merito va alla scelta della fotografia e della colonna sonora ( nella quale non poteva mancare l'inno di una generazione e simbologia musicale di entrambi i film, ovvero Born Slippy degli Underworld).

A differenza del primo capitolo, questo non si può definire un film cult. Anche perchè negli ultimi anni, forse, si è un po' persa l'arte di fare film per puro e semplice amore nei confronti della Settima Arte ( e questo ne risente a livello di qualità).

Il film può piacere o meno, ma è stato scongiurato il rischio imminente di bollare questo film come secondo ed inconcludente sequel, perchè non è un sequel vero e proprio. Passano gli anni, il mondo cambia, la società cambia, cambiano le persone e le dipendenze. 

Ma non si può venire meno a quello che si è. Da vedere senza prendersi troppo sul serio e prenderlo per quello che è: uno sguardo irriverente verso vizi e virtù dei giorni nostri, attraverso lo sguardo dei personaggi che vent'anni fa sono entrati nel nostro immaginario collettivo.

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Articolo pubblicato il 28/02/2017