Tragedia davanti al maxischermo. Vittime delle nostre nuove e terribili paure

Quanto successo in piazza S. Carlo a Torino ci obbliga ad ammettere la fine di un'epoca. Quali risposte?

Sto ascoltando i commenti sulla finale di Coppa, analisi tecniche, solite banalità, ha vinto il migliore, è così che vanno ancora le cose nello sport.

Ho ascoltato le strazianti testimonianze di quanto è successo davanti al maxischermo: mille feriti, alcuni sono gravi, un bambino è in condizioni disperate. Pare un bollettino di guerra, forse in parte è così e l'idea mi fa rabbrividire.

Nessun attentato, sembra una bravata che neppure pochi anni fa sarebbe passata inosservata senza fare alcun danno. Un piccolo scoppio che ha innescato a raffica un panico dalle origini terribilmente nuove. Sbagliato risvegliare fantasmi di altre tragedie legate alle finali bianconere, sbagliato definirlo un tragico falso allarme.

Attentati a Parigi, a Londra, a Nizza. Nessuno ignora quella minaccia jiadista che alla televisione si rinnova ogni giorno ormai. Occorre riflettere, la paura si è insinuata subdola in tutti noi. Non è più la stessa cosa entrare in un luogo affollato, salire su un treno, scendere nella metropolitana, ritrovarsi a un concerto, camminare semplicemente per la strada. Il veleno della consapevolezza è giunto silenzioso alla nostra mente.

Lo scoppio è sotto analisi, si cercano colpe nell'organizzazione, dentro agli zainetti, sul cedimento della protezione, tra le troppe bottiglie di birra, simbolo della nostra distratta decadenza. Forse la verità più vera è davvero un'altra, il suo nome è: paura.

La paura è penetrata dai giornali e dallo schermo nelle nostre consapevolezze, è diventata a far parte delle nostre quotidianità. A nulla serve tentare di ignorarla, gridare al vento che non ci piegherà, sfrattarla mantenendo intatte le nostre abitudini civili e praticare la cristiana assoluzione del perdono. La paura serpeggia là dove fino a ieri si sollazzavano le evolute, occidentali, rilassate menti.

È bastato poco all'ideologia del terrore per sconfiggerci quasi senza combattere. Non si intravede una via d'uscita. Aumentano i controlli, spuntano le camionette per far vedere che lo Stato c'è, mentre diminuiscono le nostre libertà, mentre si cerca un dialogo con un nemico senza volto, senza numero, senza casacca. Tentare di ignorare questa sconfitta vuol soltanto dire accelerarne il corso. Niente è già più come prima, niente mai più lo sarà.

Il futuro non è roseo, tanto vale rendersene conto. Quanto è successo nel centro di Torino è un libro aperto sul triste tramonto di una breve epoca che già ci manca. Quali contromisure? La domanda è complessa, le risposte ancora di più.

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Articolo pubblicato il 04/06/2017