Roma - I primi cento africani in casa del papa

Una nuova via di accesso all’Italia aperta da un magistrato siculo in concorso con la CEI

Sono discesi dalla nave “diciotti” dove, secondo un magistrato siculo, erano stati “sequestrati” dal Ministro degli Interni del governo italiano. Senza che un altro siculo, quello asportato a Roma da Palermo, trovasse nulla da ridire sulla decisione del suo conterraneo, anche se era tale da innescare un conflitto tra il governo italiano e la magistratura impersonata da un ambizioso giudice di Agrigento.

 

Venti dei 170 africani portati a Catania da una nave, la diciotti, il cui equipaggio aveva il dovere di proteggere le coste italiane ed invece scorazzava libera per tutto il Mediterraneo, sono stati accettati dall’Albania. Un’altra ventina sono in partenza per l’Irlanda.

 

Gli altri stati europei si sono defilati ed hanno rifiutato ogni collaborazione. E’ nostro dovere, loro dicono, versare i miliardi che l’UE ci impone, ma gli africani devono essere tutti “cosa nostra.”

Sulla nave “diciotti” ne rimangono un centinaio, tra i quali quattro pericolosi scafisti accusati di torture e di stupri, e lo stato vaticano ha ora deciso di accoglierli nei suoi territori.

 

E qui si apre un iter che è limitativo definire caotico perché pone problemi di normativa e di diritto nazionale ed internazionale. E’ chiaro soltanto il fatto che si tratta di africani dello stato vaticano e non di africani dello stato italiano.

 

Il vaticano dispone di limitati territori da destinare all’accoglienza.

 

Nella città di Roma, le sacre mura rinchiudono uno splendido parco, ricco di piante pregiate, alberi da frutta, e coltivazioni di fiori esotici. Sono in tutto ben 23 ettari che potrebbero ospitare almeno cinquanta immigrati.  Ma gli uomini della CEI non hanno nessuna intenzione  di  metterlo a disposizione, perché queste “risorse” bergogliane, dovrebbero poi essere lasciate libere, non solo di circolare all’interno del parco, ma anche di entrare ed uscire dall’Arco delle campane, confine finora più inviolabile di quello della Francia di Macron.

 

Non sia mai.

 

Impedirlo, potrebbe costare, da parte di qualche altro magistrato democratico, ambizioso e desideroso di apparire, un’ accusa di sequestro di persona, come quella fatta al Ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Il piccolo stato ha sovranità su pochi altri piccoli territori, come Castel Gandolfo, la basilica di Assisi (dove i serafici fraticelli al comando di padre Fortunato non vedono l’ora di abbracciare con affetto questi vigorosi uomini del continente nero) ed infine le diocesi periferiche, come ad esempio quella retta dal Nosiglia in Torino.

 

I dubbi riguardano non solo ogni tipo di rapporto tra i cittadini italiani e questi primi cento arrivati assunti dal Vaticano (è chiaro che migliaia di altri seguiranno il percorso tracciato dalla CEI, in collaborazione con il magistrato della sinistra estrema),  ma anche i rapporti tra gli africani ultimi arrivati e quelli di etnia magrebina e centrafricana già insediati nei nostri paesi e nelle nostre periferie da anni.

 

In primo luogo, non è chiaro chi dovrà provvedere al sostentamento di questi primi cento immigrati bergogliani. E’ difficile che a pagare le spese di alloggio, vitto,  vestiario,  giochi,  telefonini di ultima generazione e cure sanitarie siano i ricchi enti finanziari (IOR e affini), gestiti a Roma nel più geloso segreto dai gerarchi della Conferenza Episcopale. Tra i quali vi sono sempre stati personaggi  dotati di protervia, ma che oggi sono anche intrisi di quello spirito di doppiezza tipico della cultura gesuitica che pervade l’odierno papato.

 

E’ molto facile che a pagare, attraverso le manovre mascherate ed i raggiri della Caritas, siano, come in passato, gli italiani.

 

Il vescovo di Torino, mons. Nosiglia è tra i candidati ad accogliere.

 

Lo ha fatto in passato ospitando in curia famiglie di zingari che si sono dileguate asportando importanti attrezzature. Subito dopo, ha proposto di aprire nei quartieri cittadini ai diseredati del MOI lasciato alla città da Chiamparino, alcune delle migliaia (vanno calcolate anche quelle del Cottolengo) di strutture abitative di cui il clero è proprietario, ma la cittadinanza non ha gradito.

 

Ora è in poll-position nell’accoglienza di qualche immigrato sbarcato dalla “diciotti.” Lui è un campione di bontà e li ospiterà in curia, ma saranno liberi di entrare ed uscire e di circolare per la città anche nelle ore notturne.

 

Come si comporterà nel caso che un suo ospite divenga uccel di bosco e poi si renda colpevole di un crimine immondo o di uno stupro? E nel contempo si dedichi allo spaccio della droga, come è successo (e succede ancora) nella città di Macerata? Quali provvedimenti prenderà se gli immigrati del Vaticano entreranno in conflitto per i loro commerci, od anche solo per la questua, davanti alle chiese od ai supermercati,  con gli altri gruppi di immigrati che sono qui da anni?

 

Chiederà l’intervento del servizio d’ordine dello stato Vaticano (dove ci sono solo le guardie svizzere con l’alabarda nella loro variopinta uniforme medioevale?) o si rivolgerà ai carabinieri italiani o alla nostra polizia già oberati da troppi compiti?

 

La CEI si accollerà le spese delle indagini e dei processi alle “risorse” che ha accolto, o se ne infischierà bellamente, lasciando agli italiani il compito di provvedere?

 

Le carceri per gli africani della CEI saranno quelle italiane?

 

Ha pensato a tutto questo ed alle altre prevedibili conseguenze del suo modo avventato di agire il nostro buon monsignore?

 

Lo sapremo nei prossimi mesi. Per ora sappiamo che una nuova via di accesso all’ltalia è stata aperta da un magistrato di Agrigento (membro di quella casta che in base alla Costituzione è libera di sbagliare, e di non pagare mai i suoi errori),  in concorso con i prelati della Conferenza Episcopale Italiana.

 

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Articolo pubblicato il 09/09/2018