Ricostituire dalle macerie un nuovo tessuto socioeconomico sostenibile. 1di3

Due ingenue considerazioni che possono cambiare il punto di vista progettuale e semplificare praticamente il sistema operativo.

Nulla di nuovo sotto il sole; i cicli storici si alternano continuamente tra ideologie e pragmatismo, tra capitalismo e socialismo, tra lotte di classe e corporativismi.

E mentre la storia continua a macinare eventi, più o meno degni di nota, accade spesso che ci si trovi alle prese con nuove contingenze, situazioni paradossali e contraddittorie che, pur in presenza di infinite possibilità, sembrano bloccare la capacità di usare praticamente le risorse disponibili.

 

Mai come oggi infatti disponiamo di infrastrutture, attrezzature, risparmi e una abbondante pioggia di denaro, ma abbiamo perso la capacità di concepirne un uso coerente con le necessità di una vita dignitosa. Una vita che non sia solo una mercificazione dell’essere umano quale mero componente produttivo e consumistico.

 

Certo non sono un esperto economista, né un sociologo, né uno psicologo, né un altrimenti titolato, per fare proposte sufficientemente credibili, però ho potuto fare esperienze particolari in tempi non sospetti.

 

Esperienze che, indipendentemente da come possano essere giudicate, mi hanno insegnato quanto ogni cosa sia possibile, sempre nel limite del lecito, se non siamo noi stessi a porvi troppi vincoli restrittivi e soffocanti.

 

Per spiegarmi meglio userò come esempio la sintesi di una attività imprenditoriale che per circa dodici anni ha fornito ad un certo numero di persone un ritorno economico dignitoso e la possibilità di stabilire relazioni diverse dal semplice rapporto di lavoro, basate sulla stima e il rispetto reciproco.

 

Il gruppo di progettazione di cui fui cofondatore molti anni fa arrivò ad essere composto tra sette e undici soci, direttamente coinvolti nelle attività o no, oltre ad alcuni dipendenti per scelta, e collaboratori esterni. I soci erano suddivisi in due fasce di partecipazione percentuale agli utili e alle perdite e non avevano stipendio fisso. Non c’erano orari imposti a prescindere dalle necessità e quindi a volte potevamo disporre di tempo libero per altro, oppure sostituirci l’un l’altro. Ognuno era responsabile di un lavoro e poteva disporre degli altri per la sua realizzazione, per cui ogni socio era contemporaneamente responsabile del proprio lavoro e subordinato ad un altro socio per un altro lavoro. La stessa cosa valeva anche per i dipendenti e i collaboratori. Avevamo una cucina in cui preparare il proprio pranzo che consumavamo insieme, e ci occupavamo tutti, a rotazione, delle pulizie, servizi igienici compresi. Tutti potevano fare pause e riposini estemporanei alla bisogna senza chiedere permesso a qualcuno in particolare poiché i rapporti si basavano sulla fiducia reciproca. Ci frequentavamo anche al di fuori del lavoro, e l’ufficio era utilizzato anche come sede di associazione o luogo di aggregazione e festa. Perfino i clienti non disdegnavano di farci visita semplicemente per condividere parte del nostro tempo. Ci furono anche duri confronti dai quali ne uscimmo tutti più rafforzati e uniti. Nei momenti in cui scarseggiava il lavoro, ci trasformavamo tutti in imbianchini, curando il luogo in cui prestavano attività come fosse stato casa nostra. Da questo amalgama ne scaturì una modalità operativa che ci permise di offrire un lavoro di prima qualità (diventammo primi fornitori di progetto di diverse realtà prestigiose), con un impegno trasversale ottimizzato che ci consentì di ridurre al minimo gli sprechi e offrire costi altamente competitivi. Fornitori, dipendenti, collaboratori, e perfino le scadenze fiscali, furono sempre pagati alle scadenze previste e prima dei soci. Quando non c’erano possibilità temporanee di distribuire anticipi del dividendo ai soci, si faceva ricorso al mutuo soccorso fino a quando necessario. Allo scioglimento di questa attività, decisa all’unanimità al culmine del redditività e al massimo del fatturato, avvenuta alle prime avvisaglie del conclamarsi di una delle ennesime prevedibili crisi periodiche del settore, tutti trovammo comunque una nuova collocazione, per certi versi ancora migliore. Evito di dilungarmi oltre, sperando che sia comunque chiaro il senso.

 

Da queste esperienze ne ho tratto due considerazioni che possono essere assunte come principi ispiratori di nuove attività in questo momento di marasma generalizzato e trepidanti attese di soluzioni:

 

  • la prima è che, giacendo in gran parte inutilizzato, quindi sia un costo e non produca utile, tutto ciò che abbiamo a disposizione possa essere offerto, a chi ne sappia fare un uso corretto e responsabile, senza attendersi nulla in cambio prima che vi sia un ritorno economico coerente dalla filiera produttiva nel quale “quel tutto” sarà inserito;

 

  • la seconda è che chiunque faccia parte dell’ambito, organismo, o impresa messi in atto, a qualunque titolo e impegno, dia e riceva direttamente una parte dell’utile prodotto da ogni attività presente sul territorio, in uno scambio reciproco continuo.

 

Come dicevo all’inizio dell’articolo, nulla di nuovo sotto il sole, ma un diverso uso dei contenuti di quanto dato per scontato può produrre paradossalmente opportunità inaspettate e sostenibili, che possono integrarsi, senza creare competizione, nell’attuale contesto generale.

 

Approfondiremo queste considerazioni nei prossimi articoli.

 

grafica e testo

pietro cartella

 

 

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Articolo pubblicato il 21/08/2020