Racconto di Francesco Cordero di Pamparato
Alla fine degli anni Cinquanta, Alberto era uno dei tanti adolescenti ancora ingenui. In quegli anni la mentalità era rimasta alquanto all’antica. L’Italia si stava rialzando dalla tragedia della guerra e tra la gente c’era ottimismo. Ogni giorno succedeva qualcosa che infondeva fiducia alla popolazione. Le famiglie cominciavano ad andare in vacanza. Alcune al mare, altre in montagna. Di solito mogli e figli stavano in vacanza due o tre mesi. I mariti invece arrivavano il venerdì sera con un treno soprannominato il treno dei cornuti. Chissà perché…
Era il cinquantotto, quando a fine maggio, il padre di Alberto ebbe un brutto incidente. Si ruppe una gamba cosa che gli aveva procurato non pochi problemi. La moglie, per essergli d’aiuto, aveva rinunciato alle vacanze, però entrambi avevano pensato che non sarebbe stato giusto tenere in città anche Alberto, che era stato promosso a pieni voti. Avevano deciso di mandarlo a casa del fratello del padre, al mare. Questi aveva accettato con piacere di ospitarlo, però lui e la moglie sarebbero stati all’estero per molto tempo.
Sarebbe stato accolto da Massimo, il loro figlio, che si era laureato da poco in Economia. Era un ragazzo simpatico, famoso per le sue avventure galanti, ma molto legato al cuginetto, di otto anni più giovane di lui. Probabilmente, estroverso com’era, lo avrebbe aiutato a vincere la timidezza.
Alla stazione Massimo era venuto ad aspettarlo con la sua nuova Giulietta spider e lo accolse cordialmente: “Ben arrivato Alberto! Hai fatto buon viaggio? Caspita se sei cresciuto! Sei più alto di me che sono più alto della media. Hai anche dei bei muscoli, sembri più vecchio di quello che sei. Dimostri vent’anni! Vieni, andiamo a casa. Ti piace la mia macchina nuova? È un regalo per la laurea. Se tu avessi l’età giusta ti farei guidare”.
“Ciao caro Massimo, grazie ho fatto buon viaggio. Grazie per quello che mi dici, ma ho fatto sport e palestra. Sì, la tua macchina è proprio bella! Complimenti! Sarà difficile da guidare”.
“Non preoccuparti non è difficile, e poi in paese vado piano. Mi piace vedere che me la ammirino. Fa molto colpo sulle ragazze”.
La sera Alberto era stanco e andò presto a letto. Massimo invece era andato fuori con un’amica, ed era poi tornato con lei durante la notte, ma Alberto non se ne era accorto. Il mattino dopo, per andare in spiaggia dovettero aspettare che Massimo fosse pronto, che fu verso mezzogiorno.
Massimo in spiaggia gli presentò la persona dell’ombrellone di destra: Era una signora di nome Alice, la madre dell’unico ragazzo giovane dello stabilimento. Quella, infatti, era una spiaggia alquanto esclusiva. Costava cara, ma gli ombrelloni erano pochi. Siccome non era permesso giocare con la palla, i giovani erano quasi tutti negli altri stabilimenti.
Dopo qualche giorno, Alberto era un po’ deluso. Aveva conosciuto diverse persone, ragazzi e ragazze, ma tutti erano più vecchi di lui. Alto e robusto era subito piaciuto a molte ragazze, ma quando avevano saputo che era così giovane e non aveva la macchina, lo avevano scartato. A quei tempi, alle ragazze interessavano i ragazzi più vecchi, che avevano soldi e la macchina, che le portavano in giro.
Era passata una settimana e, per consolarsi, era andato a giocare a pallone nello stabilimento vicino. Oltre ai ragazzi più vecchi, c’era anche Gianfranco, più giovane di lui e figlio di Alice, la signora dell’ombrellone vicino a quello di Massimo.
La partita era stata alquanto violenta e a un certo punto il più grande di tutti, Mario, fece un brutto fallo su Gianfranco, tanto che il ragazzino cadde e si mise a piangere. Alberto era in squadra con lui e quasi subito ebbe l’occasione di restituire il fallo. Mario era più vecchio ma lui era più robusto e lo fece volare per terra. La partita era finita, anche grazie ai falli. Alberto aiutò Gianfranco a tornare al suo ombrellone, dove la madre stava aspettando. Il ragazzo spiegò la situazione alla mamma del ferito. “Signora Alice, una carogna ha fatto male a Gianfranco, ma io gliel’ho resa. Ho accompagnato Gianfranco, perché vedo che zoppica”.
Alice vide che il figlio zoppicava leggermente e lo abbracciò, poi guardo Aberto, vide quel bel ragazzo alto e robusto e gli sorrise. “Grazie caro. Sei stato molto gentile ad aiutare Gianfranco. Adesso lo porto del medico, ma mi sembra che non ci sia niente di grave. Tu sei Alberto, il cugino di Massimo, vero?”.
Sì, signora Alice, sono il cugino d Massimo”.
La donna sorrise: “Chiamami Alice e dammi del tu, Alberto. Sei simpatico. Vieni a trovarmi domani”.
“Grazie, Alice, molto gentile” rispose il ragazzo confuso. Poi guardò con curiosità quella donna. Era bella, molto alta con lunghe gambe. Un po’ in carne, ma allora solo lui e pochi altri facevano ginnastica. La sera, sempre un po’ confuso, raccontò l’episodio a Massimo. “Sai Alice mi ha ringraziato e mi ha detto di andarla a trovare. Mi ha sorpreso, Ha tanti anni più di me, di cosa potremmo parlare? Non vorrei andare a fare la figura dello stupido”.
Massimo scoppiò a ridere. “Alberto, sei proprio un ingenuo! Quella mica vuol fare tanti discorsi! Ti vuole per fare sesso con te! Ha un marito che ha oltre vent’anni più di lei e che poi non c’è mai”.
“Davvero? Ma come mai ha sposato uno così più vecchio di lei? E come mai gli fa tante corna?”.
“Dopo la guerra suo padre si era trovato in grosse difficoltà. Aveva un palazzo che era stato distrutto dai bombardamenti e quindi era diventato povero. Un suo amico si era preso una cotta per Alice, che era bellissima. Lui era ricco e in cambio del matrimonio li salvò dalla miseria. Più tardi il padre di lei si arricchì di nuovo, ma grazie al genero”.
Dopo una breve pausa proseguì: “Intanto gli anni di differenza si facevano sentire. Il marito è un uomo intelligente e capì che doveva chiudere un occhio e così non si è mai opposto alle avventure di lei, che è sempre stata molto corteggiata, ma che non vuole dare scandali. Quindi tu domani vai pure tranquillo. Imparerai qualcosa. Non temere. Non essere imbarazzato. Le donne sposate non parlano mai in pubblico di come si comportano i loro amanti. Coraggio Alberto”.
Il giorno dopo, Alberto poco dopo le tre del pomeriggio, suonò il campanello della bella villa di Alice. La donna venne ad aprirgli di persona. Indossava solo una vestaglia trasparente e sotto aveva solo degli slip molto minuti.
Quando lo vide sorrise: “Benvenuto Alberto, Gianfranco è andato a ripetizioni, tornerà solo dopo le sette. Siamo soli, vieni ti offro un caffè”.
Il ragazzo si accomodò in salotto e dopo poco Alice venne a sedersi vicino a lui. Il ragazzo non sapeva molto bene come comportarsi. Da un lato si sentiva imbarazzato con quella donna molto più vecchia di lui, dall’altro avrebbe voluto prenderla e darsi da fare, ma qualcosa lo frenava. Lei invece era divertita dal suo imbarazzo e dal fatto che stava per impartire un’educazione sentimentale a quel ragazzo. Lui era alto e robusto, ma di fatto era poco più di un bambino. Toccò quindi a lei prendere l’iniziativa. “Vieni Alberto, ti faccio vedere la mia casa”. Lo prese per mano e lo portò rapidamente per tutte le stanze della villa. Alla fine, andarono in camera sua. Appena fu entrato, chiuse la porta dietro di sé. Alberto era rimasto interdetto, ma Alice prese subito il controllo della situazione. Gli gettò le braccia al collo e fissandolo negli occhi gli chiese: “Come mi trovi tesoro, ti piaccio?”.
La risposta fu immediata e ovvia: “Sei bellissima e mi piaci molto cara Alice”.
Lei lo baciò e lui ricambiò il bacio, poi i due rimasero insieme per varie ore e Alberto ebbe le prime lezioni dell’arte dell’amore.
La relazione durò sino a metà settembre con rispettivo piacere, si vedevano quasi tutti i giorni sino a quando entrambi ritornarono alle rispettive città. Alberto aveva abbandonato la compagnia degli altri giovani. Le ragazze non lo interessavano più. Erano insipide, offrivano poco e pretendevano di essere scarrozzate in auto per tutta la costa. Lui non guidava e godeva della compagnia di una donna appassionata e più matura. Alice a sua volta trovava piena soddisfazione in quel giovane dotato di energie quasi inesauribili. Alla fine dell’estate erano ripartiti. Si sarebbero rivisti l’anno seguente?
Anche nell’inverno e lungo l’anno scolastico, Alberto aveva prestato poca attenzione alle compagne di scuola. Nessuna di loro aveva qualcosa di paragonabile e quella donna, che aveva vent’anni più di lui.
L’estate successiva Massimo, che conosceva la situazione, lo invitò di nuovo al mare. Alberto ne fu felice e per tutto il viaggio non fece che chiedersi se avrebbe ritrovato Alice.
Si ritrovarono e ripresero a frequentarsi come nell’estate precedente sempre con grande soddisfazione e con grande passione. Quello che era successo l’anno prima si ripeté come fosse già stato scritto. L’inverno successivo di nuovo solo studio. Alberto trovò beneficio della situazione. A scuola non era distratto da amori con le compagne e, se la situazione preoccupava i genitori, d’altro lato non era distratto e studiava moltissimo. Finì gli studi secondari con il massimo dei voti. Come premio ebbe anche lui una Giulietta spider. Il giorno dopo, felice volò con l’auto nuova al mare dal cugino, ma questa volta provò una delusione.
Alice non era venuta.
Non solo, ma la villa era stata messa in vendita.
Non sarebbe tornata mai più.
Si sarebbero persi per sempre. Lei per prudenza, non aveva mai voluto che si scambiassero i numeri di telefono e gli indirizzi, così non era più possibile rintracciarla. La città dove viveva era molto grande e lontana dalla sua.
Passarono gli anni e Alberto si iscrisse all’Università, lì conobbe Anna, una bella ragazza, molto intelligente anche se non brillante, ma avevano legato e dopo qualche anno si sposarono. Fu un matrimonio sereno, ma non felice. Un proverbio dice che la moglie ideale dev’essere: cuoca in cucina, signora in salotto e birichina a letto. Ovviamente gli attributi descritti non devono cambiare stanza, se no sono guai. Anna era la moglie ideale per quanto riguardava le prime due qualità ma non era birichina in nessun modo. Alberto le era stato sostanzialmente fedele, tranne poche piccole scappatelle.
Il matrimonio era stato allietato dalla nascita di un figlio, che era stato chiamato Massimo, come il carissimo cugino. Il ragazzo era cresciuto esuberante pieno di gioia di vivere, e il padre stravedeva per lui. Alberto aveva creato una piccola azienda meccanica, che stava ampliando con l’aiuto del figlio. La cosa lo aveva riempito di entusiasmo. Aveva un maschio che avrebbe continuato la sua famiglia, alquanto antica e illustre. Il figlio era entusiasta del suo lavoro e avrebbe continuato il nome e il lavoro. Sentiva che la sua vita, aveva avuto un significato e si sentiva un uomo fortunato e realizzato.
Tuttavia, le sciagure capitano quando meno ce le aspettiamo. Massimo aveva voluto comprarsi una macchina sportiva tedesca, un giorno aveva voluto farla provare alla mamma. Erano andati su di una strada di montagna. In una curva aveva perso il controllo della vettura, che aveva sbandato. Erano precipitati in un burrone e non si erano salvati.
Alberto ne era stato distrutto. Voleva bene ad Anna, ma adorava il figlio. In lui vedeva la sua continuità, lo sentiva come una parte di sé. Ora non aveva più nessuno.
Era solo.
Sentiva che la sua vita era diventata inutile. Gli affetti che aveva provato erano scomparsi di colpo, cosa che aveva reso ancora più dura la loro scomparsa. Per molto tempo non seppe come reagire. Non gli. importava più di niente, a cosa valeva aver creato una bella azienda, se non aveva nessuno a cui lasciarla?
Un giorno era a casa triste come al solito, e stava meditando sul suo futuro, quando sentì suonare il campanello. Non aspettava nessuno. Chi poteva essere?
Gli si presentò un signore distinto. Era vestito in modo elegante, avrà avuto una quindicina di anni meno di lui, così almeno gli sembrò.
“Scusi se la disturbo, lei è il dottor Alberto Rossi vero? Io mi chiamo Alberto de Nardis, avrei bisogno di parlarle”.
“De Nardis? Il suo nome mi ricorda qualcosa…”.
“Probabilmente le ricorda Alice de Nardis, mia madre. Adesso viviamo qui, in questa città. Mia madre è molto malata, temo che ne abbia per poco e vorrebbe vederla prima di morire”.
Alice era molto malata, distesa in un letto e parlava a fatica. Il figlio la chiamò. “Mamma ti ho portato Alberto, è venuto subito per vederti”.
“Alberto! Dopo più di cinquant’anni! Certo che non ci potevamo riconoscere. Come è cambiato tutto! Mio marito è morto che aveva novantotto anni. Gianfranco è andato in India e vive in una comunità. Mi è rimasto questo figlio. Si chiama Alberto, come te… dimmi di te. Avrai famiglia immagino”.
“Sono vedovo, Alice, avevo moglie e un figlio. Sono morti in un incidente d’auto. Adesso sono solo e non ti nascondo che dopo quella tragedia la mia vita è diventata inutile. Ho lavorato tanto, ma non ho un erede. Sono vecchio per avere un altro figlio”.
Alice fece uno sforzo e sorrise: “Ma tu hai un figlio vivo caro Alberto! È questo figlio mio che hai conosciuto adesso. Ti ricordi le nostre estati? La nostra è stata una bella avventura. Non tornai più in Liguria, perché avevo avuto un bambino, un figlio tuo. Mio marito non volle dire niente, ma aveva capito e allora mi chiese di non tornare più. Volle vendere la villa perché preferiva che non ci vedessimo. Ora sto per morire e ci terrei a che vi conosceste e diventaste amici. Non so se potrai o vorrai riconoscerlo, ma non sei solo Alberto”.
L’uomo era rimasto sbalordito. Si appoggiò per un momento ad una seggiola per non cadere, ma si riprese presto. Tirò un lungo respiro prima di parlare: “Se potrò riconoscerlo lo farò con piacere. Oggi non ho trovato solo un figlio, ma una donna che, nonostante tutto, ho molto amato”.
Francesco Cordero di Pamparato
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Articolo pubblicato il 17/02/2024